L’addio di Bondi

Angelo Cennamo

Le numerose defezioni che i partiti di Berlusconi – Forza Italia, Pdl, poi di nuovo Forza Italia – hanno fatto registrare in tutti questi anni, sono state il più delle volte motivate dalla volontà di potenza dei rispettivi protagonisti, intenzionati a lasciare la casa madre e il padre padrone per fondare nuovi partiti, con gli esisti che conosciamo. Le esperienze fallimentari di Fini, Meloni ed Alfano vanno in questa direzione. L’addio di Sandro Bondi no, è un caso a parte. Bondi non è stato un berlusconiano come tutti gli altri, è stato molto di più. Tanto che la sua totale simbiosi con il leader, le strenue difese del Cavaliere – anche quando i momenti e le circostanze avrebbero richiesto maggiore prudenza – sono state spesso oggetto di scherno da parte degli avversari politici e dei media. Bondi l’amico Silvio non lo apprezzava, non ne condivideva semplicemente le idee politiche: lo amava anche fisicamente, al punto da ispirargli terzine e sonetti poetici. La sua non era una militanza politica ordinaria, ma una vera e propria  venerazione mistica, quasi un’ossessione. Ed è per questo che la notizia della sua “dipartita” dai banchi senatoriali di Forza Italia per sedere – assieme alla compagna Emanuela Repetti – dietro quelli del gruppo misto,  ha sollevato grande clamore, dentro e fuori il partito. Perché Bondi è andato via? Perché dopo 20 anni di cieca fedeltà e di obbedienza al capo ha deciso di abbandonare la creatura che lui stesso ha contribuito a fondare? Ne sono sicuro, quello di Bondi è un atto d’amore. Come numerosi altri militanti che non hanno avuto forse la sua stessa determinazione, ed elettori, che da diverso tempo si sono rifugiati nell’astensione, Bondi ha avvertito il disagio e la mestizia di bivaccare in un partito spento, senza idee, strategie ed organizzazione interna: questo è Forza Italia dal novembre 2011. Ne’ fa testo quella generosa ed epica risalita che Berlusconi seppe realizzare nel 2013, in perfetta solitudine, andando a spolverare la sedia di Travaglio nella tana dei santoriani. In quella storica occasione il Cavaliere non fece altro ( si fa per dire) che celebrare se stesso, difendere la sua innocenza rispetto all’azione insistente ed ossessiva di una certa magistratura e la ferocia dei media, raccontare come i processi legislativi in Italia siano inspiegabilmente lenti e farraginosi, e di come i compromessi e i veti di partiti e sindacati riescano spesso a vanificare ogni sforzo riformista. La narrazione carismatica di Berlusconi ancora un volta risultò vincente e Bersani dovette obtorto collo arrendersi al pareggio. Ma non si trattò, si badi, di una campagna elettorale articolata con proposte di legge serie, obiettivi chiari, prospettive credibili. Berlusconi si limitò ad esibire la sua persona, metterla a nudo e a raccontare la sua vicenda di uomo, imprenditore e di politico da record. Altrettanto vuota di contenuti fu la vigilia delle ultime elezioni europee giocata su assurde promesse odontoiatriche e veterinarie. Quello che è venuto dopo è storia recente: il cerchio magico, i fittiani, il patto del Nazareno e le riforme prima gradite poi rinnegate. I sondaggi danno oggi Forza Italia ai suoi minimi storici (11%). Berlusconi, reduce dai servizi sociali di Cesano Boscone, tace. Insegue la difficile alleanza con Salvini e spera di ricucire con Fitto e Alfano per limitare i danni alle regionali di fine maggio. Scenario mesto e deludente. Anche per un innamorato come Bondi.