Fini bacchetta la nuova An

Angelo Cennamo

Ho smesso di considerare Gianfranco Fini un possibile riferimento per la destra italiana – alternativo alla leadership carismatica di Silvio Berlusconi – da parecchio tempo. La storia recente dell’ex delfino, dalla vicenda scabrosa di Montecarlo all’esperienza crepuscolo-decadente di saggista, passando per il flop algebrico di Futuro e Libertà, la ricordiamo bene in tutti i suoi passaggi. Inutile quindi ritornarci. Quello che voglio dire è altro. Oggi l’Huffington Post – il giornale online diretto da Lucia Annunziata – ha ripreso alcune considerazioni espresse da Fini sul partito di Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia – che ho trovato molto interessanti. In estrema sintesi, Fini sostiene che la destra post-berlusconiana di Meloni e La Russa scimmiotti la storia. Per comprendere meglio a cosa ci riferiamo è opportuno forse ricordare l’antefatto, e cioè che non molto tempo fa, Fdi, dopo una burrascosa contesa tutta interna agli ex militanti missini e post missini, ha ottenuto la legittimazione o diritto di utilizzare il vecchio e glorioso simbolo di Alleanza Nazionale, fiamma compresa. Oggi quindi il partito può sfoggiare e presentarsi alle future competizioni elettorali con la doppia denominazione di : “Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale”. Quanto la concentricità dei due loghi possa servire, da sola, a rinverdire i fasti della AN finiana e far guadagnare alla Meloni i consensi a doppia cifra dei bei tempi andati, è difficile dirlo. Le dichiarazioni di Fini, in tal senso, non sembrano tuttavia lasciare margini all’ottimismo. A Fiuggi, dice il primissimo fondatore, la destra italiana trasformò se stessa perché uscì dalla casa del padre con la certezza di non farvi più ritorno. Chi come il sottoscritto ha vissuto in prima persona quell’esperienza può confermare che, nel 1995 e negli anni successivi, tanti italiani che non avevano fatto politica a destra si unirono agli ex militanti del Msi per dare vita ad un progetto innovativo e pluralista. Quella impostata dalla giovane Meloni ( giovane più di Renzi) sembra, invece, una destra obsoleta, valoriale e ideologica, protesa al patriottismo euroscettico e poco avanguardista. A tratti, anche militarista – basti menzionare la campagna a favore dei Marò, che di per sé è apprezzabile, ma non può di certo trasformarsi in una priorità politica, specie di questi tempi. Ecco perché Giorgia Meloni, pur essendo una trentenne dinamica e capace, non riesce a sfondare alle elezioni e nei sondaggi quanto il neo segretario del Pd. E’ giovane ma, a differenza di Renzi, non è nuova. Così come non è nuova la destra che vorrebbe far rivivere in tempi oramai (troppo) diversi da quelli di Fiuggi. Spiace dirlo, ma questa volta Fini ha ragione.