Roma: Sappe su suicidio Carinola

“La notizia dell’ennesimo detenuto suicida, questa volta nel carcere di Carinola, è sempre – oltre che una tragedia personale e familiare – una sconfitta per lo Stato. L’11 ottobre scorso un detenuto italiano del 1951 di Palma di Montechiaro, P.C.R., con “fine pena mai” si è suicidato in cella mediante impiccamento. E’ inevitabile che il carcere determini, come autorevolmente sottolineato dal Comitato nazionale per la bioetica, crisi di identità, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. E allora, essendo l’ennesimo tragico caso di morte in carcere, bisognerebbe darsi concretamente da fare per un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere, argomento rispetto al quale il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, è da tempo impegnato nonostante la colpevole indifferenza di vasti settori della politica nazionale. Serve un carcere nuovo e diverso perché quello attuale è un fallimento“.Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione al suicidio di un detenuto condannato all’ergastolo nel carcere di Carinola. Capece sottolinea come “fino a qualche decennio fa si era riusciti a portare al centro dei problemi della sicurezza e della giustizia il mondo delle carceri, avviando un profondo processo di riforma, coniugando sicurezza con ragionevolezza,  con trattamento,  con umanità. E’ giunta l’ora, in virtù dell’annunciata riforma della giustizia, di ripensare la repressione penale mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere: e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere: una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle storture determinate dal doppio binario per i recidivi, dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere. Si potrebbe quindi ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli. Il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della “messa alla prova”. In proposito, non può sottacersi che la recente Legge 199\2010 non ha dato i risultati sperati, dal momento che ha interessato circa 7.800 detenuti. ll secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello  e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario.”“Nell’ambito delle prospettive future” conclude il segretario generale del SAPPE “occorre che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema. E la Polizia penitenziaria che riteniamo debba connotarsi sempre più come Polizia dell’esecuzione penale, oltrechè di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative.”