Avventure missionarie: la malaria

Avventure missionarie: la malaria

Padre Oliviero Ferro

Si può fare amicizia con tante persone, con tante realtà, ma con una, in particolare, sarebbe meglio evitarla. Il problema è che, se anche non lo vuoi, lei vuole a tutti i costi fare amicizia con te. Prima di partire in Africa, avevamo fatto la profilassi per tante malattie (febbre gialla, tetano, ecc.), ma con lei non c’era ancora un vaccino (ora lo stanno sperimentando, dopo tanti anni e tanti morti). La malaria c’è stata anche in Italia nel secolo scorso. Ma in Africa è quella che miete più vittime. Come arriva? Si serve delle zanzare. Una volta si faceva la disinfestazione degli stagni e di altri luoghi dove si ferma l’acqua. Poi le varie autorità hanno pensato bene (!), invece di utilizzare i fondi per sradicare questa malattia, di usarli per altre cose e così la malaria è diventata sempre più aggressiva, cominciando dai più piccoli fin o agli adulti. Non guarda in faccia a nessuno, non fa differenza di colore, se hai più o meno soldi. Insomma è meglio farsi furbi. E ai primi sintomi (febbre, male alle ossa, problemi di stomaco…) si deve intervenire subito con le medicine. Ora che le zanzare si sono fatte più robuste, bisogna agire immediatamente, altrimenti si rischia la malaria cerebrale e…l’ultimo viaggio è assicurato. Naturalmente sul letto bisogna montare una zanzariera. Anch’io, mio malgrado, sono caduto nelle sue braccia. Alla fine sono stato salvato dal chinino che per tre giorni mi ha reso fuori di me. Poi, per fortuna, ha deciso di andarsene fino al prossimo incontro. Se chi è al potere si curasse veramente dei cittadini che non possono pagarsi le medicine, allora ci sarebbero meno morti, ma purtroppo, come dice il proverbio africano “la capra mangia dove è legata”… In parole povere pensano solo ai loro interessi e a quelli dei loro amici che si tengono ben stretti. Infatti, come recita un altro proverbio “chi sta sulla pianta, butta i frutti a chi sta in basso”. E in tanto la gente soffre, ma, come dicono “non è il mio problema” (si kazi yangu: non è il mio lavoro).