Zelarino: Proverbi Africani, il buon esercizio del potere

Padre Oliviero Ferro

Il potere è una realtà molto sentita nell’Africa tradizionale. Si esercita a vari livelli della vita sociale. Le persone potenti sono: il capo-famiglia, il capo-clan, il capo-villaggio, il capo-tribù/etnia, il re, l’imperatore, il principe, etc. La morale antica offre degli insegnamenti per una giusta concezione del potere e del suo buon esercizio in vista del bene comune e della pace nella comunità. In Africa il potere è generalmente quello socio-politico.

E’ distinto da quello spirituale e interessa l’etica, sia per la legittimità, come per l’abuso del potere. Da notare che l’etica teologica pone l’origine del problema del potere in Dio, non per sacralizzare il potere, ma per sottrarne il principio alla disposizione umana. Quindi quello umano è limitato e subordinato a quello di Dio. Ma la laicizzazione del potere ha poi condotto a farlo derivare dalla volontà assoluta del Sovrano o dal Popolo (vedi i martiri che dovevano adorare l’imperatore come un dio). Il potere naturalmente viene esercitato dai più forti, perché sono forti, ricchi, potenti, radicalmente superiori…Vediamo cosa ne pensano i proverbi. Partiamo dai Toucouleur del Senegal “Se il topo ha portato un pantaloncino, sono i gatti che lo tolgono” (se un suddito si arricchisce, il capo e la sua gente lo spogliano dei suoi beni).

Sempre i Toucouleur aggiungono “Non c’è un cattivo re, c’è soltanto un cattivo cortigiano” (i re sono nati buoni, a renderli cattivi sono i loro consiglieri). Si invita, perché non si sa mai cosa possa succedere, a rispettare ogni parente del re, perché appartiene alla stirpe dei capi. E’ quello che constatano i Peul del Senegal “La mosca del re è regina”. Ma un regno non è eterno. Tutto finisce, come dicono gli Amandebele, Zambia. “La regalità è come la rugiada”. E’ importante la voce della maggioranza in ogni decisione, non basta sentire il parere di qualcuno che clikka in un sito, direbbero gli Abbey della Costa d’Avorio. “La polvere “nkula” che è di proprietà del popolo, non si vende a nessun gruppo”.

Chi comanda deve agire con giustizia e punire chi si è macchiato di colpa, altrimenti si espone al rovesciamento, cioè se ne deve andare. Come dicono gli Yoruba della Nigeria “Il tamburino che non si vendica è una zucca bucata”. Naturalmente se chi esercita il potere lo fa in modo pacifico, anche il fisco viene facilmente accettato dalla popolazione” così continuano gli Yoruba dicendo “Il tamburino pacifico non manca di tributo”. Si desidera, si accetta un potere che arricchisce la gente, e non quello che la impoverisce”. Sono sempre gli Yoruba a dirlo “Il tamburino ti dia del latte, non ti dia dell’acqua”. C’è differenza tra il capo e i sudditi e a lui devono obbedire.

Gli Abbey della Costa d’Avorio lo ribadiscono fortemente, dicendo “Il popolo non è uguale al capo”. Ma come ricordano i Luluwa del Congo e i Mossi del Burkina Faso, c’è interdipendenza tra popolo e capo: nessuno può fare a meno dell’altro. “Al capo ci vogliono uomini, agli uomini ci vuole un capo”. Spesso si dà la colpa al capo, quando ci si sente oppressi. Così dicono i Peul del Senegal “Se il malato non si fida di Allah, è perché il suo male viene da lassù”. Quando arriva il capo, tutti si fermano. Guai a fare altre cose. I suoi servitori verranno a ricordartelo energicamente. Ma il capo deve sempre agire con prudenza, saggezza e umiltà, perché non è eterno. Ce lo ricordano i Tutsi del Rwanda “Mentre il re si installa sul suo trono, c’è un altro re che taglia il suo”.