Proverbi africani: il nome della persona

Padre Oliviero Ferro  

Il nome, espressione dell’identità personale dell’individuo, è una realtà fondamentale nella tradizione africana. L’etica raccomanda che ogni individuo sia distinto e riconosciuto dal proprio nome. Quest’ultimo, nella tradizione africana, non è necessariamente di origine della famiglia biologica. Il nome è determinato da varie vicende, secondo il ricordo delle persone o degli eventi che i genitori vogliono ricordare, nella persona del figlio nascente.

Il nome designa la persona, qualche volta quest’ultima incarna nel comportamento e nel carattere di fondo gli elementi della persona o dell’evento dal quale il nome è tratto. A parte il nome di famiglia, la persona può anche portare una secondo o terzo nome, generalmente chiamato soprannome. Da non dimenticare che chi ha fatto l’iniziazione ha un nome segreto che solo lui conosce (come ad esempio, succedeva per i frati e le suore che dopo il noviziato, ricevevano un nome nuovo). Da notare anche che nell’ex Zaire, ora Repubblica Democratica del Congo, quando salì al potere Mobutu, ci fu l’obbligo di prendere il nome tradizionale. Quindi se uno si chiamava ad esempio Louis, ora si chiamava Machozi Assumani ex Louis. Nella zona dove ho lavorato, come detto sopra, ai bambini e bambini venivano dati dei nomi che ricordavano la circostanza della loro nascita.

Es: Yalala (perché la mamma aveva partorito su un letamaio), Machozi (c’erano delle occasioni di pianto in famiglia), Matata (discussioni, problemi), Furaha (momenti di gioia). Uno poteva essere chiamato: Swedi bin (figlio di) Ramazani…In Rwanda e Burundi, molti nomi portano l’aggiunta di Imana (Dio), quindi: dono…di Dio, ecc. In Cameroun, ecco alcuni esempi: Ma-fo (madre del re), Ghom-si (parola di Dio), Si-mo (Dio creatore dell’uomo), Fam-dyè (casa abbandonata, quando il bambino nasce e il padre è appena morto), La-lo (villaggio-piange, in occasione della morte di una persona importante del villaggio), Si-ka-ti (Dio non mi ha abbandonato), Ta-mnwe (ricordo di un momento difficile della vita del padre), Gho-te (come il Matata: si stava discutendo, spettegolando), Tom-go (tamtam-sofferenza, un padre che ha perso molti figli). Da notare che la donna sposata non aggiunge al suo il cognome del marito (anche sui documenti di identità). Con il nome, il bambino diventa presente (ricordiamoci Adamo davanti a cui sfilano tutti gli animali e lui dà a ciascuno il proprio nome. Gen 2,19-20). Ed ecco alcuni proverbi.

“E’ la persona che muore, il nome non muore” (Malinkè, Senegal). (nel nome di un figlio, il ricordo della persona nominata viene immortalata. Ricordiamoci l’usanza di dare i nomi dei nonni ai nipoti). Sempre in Senegal, i Toucoleur ci ricordano un’abitudine normale (uno è figlio di: padre; non si nomina la madre. Questo succede ancora oggi in molti posti, anche se è poi entrata l’abitudine di farlo registrare all’anagrafe. Leggiamo le genealogie della Bibbia e di altri popoli e ce ne renderemo conto”. “Colui che ha una sorella non sa di quale nome di famiglia salutare il nipote” (è sempre il padre che dà il nome che vengono dalla famiglia paterna). Sempre la medesima tribù senegalese dice “I vestiti nascondo il corpo e non la genealogia” (il nome aiuta immediatamente ad individuare le origini claniche della persona). C’è un proverbio che viene letto in modo diverso dagli Hutu del Rwanda “il nome non è l’uomo” (uno che si comporta diversamente rispetto al nome che porta) o viceversa “Il nome, è l’uomo” (comportamento coerente con il nome).