Gli estremi del partito personale

Amedeo Tesauro

I politologi, studiosi di quell’intricato campo di battaglia che è la politica, hanno coniato un’efficace definizione per definire i partiti formatisi nella Seconda Repubblica: partiti personali. L’espressione si riferisce a quelle compagini che piuttosto che vivere di luce propria, vivono attorno al carisma di un singolo leader.  Certo, anche la Prima Repubblica aveva visto capi carismatici tenere in mano milioni di persone dettando le linee guida dello Stato (a partire dalla triade De Gasperi-Togliatti-Nenni), ma i partiti erano sopravvissuti a tali uomini, nella ferma convinzione che la rappresentanza non potesse esaurirsi con l’abbandono del campo dei capi, prontamente sostituiti. Ma i partiti di massa non potevano sopravvivere alle mutate condizioni politiche, essi erano figli di un clima teso e partizionato, nati da una guerra mondiale che si era risolta in una guerra civile dai lunghi strascichi. Tangentopoli fece il resto, azzerando quanto sapevamo della politica tricolore; fu allora che i singoli leader emersero catalizzando l’attenzione. A parte il centro-sinistra che ha mantenuto l’impostazione partito-centrica, attraverso le sue varie sigle, tutti gli altri soggetti si fondavano sul singolo uomo: la lega di Bossi, l’IDV di Di Pietro, Alleanza Nazionale di Fini e, naturalmente, Forza Italia di Berlusconi. Quest’ultimo va considerato il vero alfiere del partito personale, tanto che nel suo caso si è anche parlato di partito-azienda, in riferimento a una gestione interna simile se non identica a quella di un’organizzazione industriale. Appaiono quasi mitologici i racconti dei berlusconiani della prima ora, i quali raccontano di come l’esperienza maturata in ambito imprenditoriale fu applicata nelle logiche politiche, producendo un partito governato e amministrato dal singolo leader-presidente. Venti anni dopo la politica è evoluta, alcuni partiti personali sono scomparsi e altri ne sono nati sotto nuove forme (l’M5S), ma il soggetto berlusconiano è ancora forte con milioni di fedelissimi. E nemmeno la gestione interna è cambiata, evidenziando le contraddizioni di un partito che, fondandosi su un uomo solo, non ha creato nessun altro esponente di spicco. La breve esperienza al comando di Alfano ha fatto segnare un brusco calo dei consensi, soltanto il Cavaliere di Arcore riesce a conquistare voti. Nei partiti personali, tenendo fede a tale aggettivo, non esiste un ricambio facile, la forza di questi partiti è allo stesso tempo la loro debolezza. Così non sorprendono le assurdità della situazione attuale, dove a fronte di un provvedimento definitivo della magistratura il PDL non accetta il giudizio e si muove in massa attorno al proprio leader, perché senza di esso non esisterebbe lo stesso PDL. Il risultato paradossale, tale appare all’estero dove assistono increduli alla questione, è che l’intero lavoro parlamentare si fermi sulle vicende di un singolo individuo. Esso è senza dubbio l’effetto più drammatico di un modello che ha caratterizzato la Seconda Repubblica e minaccia di minare le fondamenta di ogni nuova epoca politica.