Il linguaggio dell’arte medievale in un libro di Chiara Frugoni

Anna Maria Noia

Su “Medioevo”, una rivista per appassionati di storia ma anche per i curiosi dei tempi antichi, del “bel tempo che fu”, del nostro glorioso passato anche e soprattutto nei cosiddetti – ed è un errore – “secoli oscuri” in cui invece fiorirono arti e mestieri, ricchi di dipinti e pregni del certosino lavoro degli amanuensi (monaci), abbiamo scovato e spulciato verso le ultime pagine un articolo simpatico e particolare, incentrato su un’opera di una puntuale studiosa di arte, iconologia ed iconografia, insomma: di immagini e di loro semiologia. L’autrice di questo volume, intitolato: “La voce delle immagini. Pillole iconografiche del Medioevo”, è la celebre Chiara Frugoni, già nota ai lettori del magazine succitato. Sfogliando la presentazione di questo lavoro, edito per i tipi della Einaudi (Torino) e che consta di ben 328 pagine con illustrazioni a colori (il prezzo è di 35 euro), abbiamo scoperto molte cose interessanti ed utili per una seria e dettagliata ricerca sulle questioni antropologiche ed etnografiche (spesso irrisolte) nell’addentrarsi verso lo studio dei simboli degli elaborati artistici, nella fattispecie e in particolare riguardo i dipinti antichi e soprattutto medievali. L’itinerario percorso dalla scrittrice si snoda – si legge nella nota, nell’articolo su “Medioevo” – attraverso l’analisi di una selezionata antologia di opere d’arte, una piccola raccolta ideale presa a modello (a mo’ di florilegio) per decodificare il significato di temi cari alle immagini pittoriche e non solo del Medioevo, in modo da dare loro voce. Il linguaggio delle stesse icone, dei dipinti soprattutto medievali – si spiega – è per esempio affidato a differenti posizioni di mani, di braccia, di piedi e di gambe poiché – e questo fino al XII secolo – l’espressione dei sentimenti non era demandata come oggi o anche in tempi meno recenti ma allo stesso modo attuali ci si aspetterebbe dalla mimica facciale: sempre per fare degli esempi, le mani che nel dipinto appaiono raffigurate appoggiate sulle cosce sono proprie o del sovrano, o del potente, oppure ancora dei peccatori superbi; invece le braccia incrociate sul petto rappresentano quasi sempre l’umiltà. L’indice puntato in alto è gesto di comando, invece la mano contro il petto aperta e col palmo rivolto verso l’esterno – sempre nell’ambito delle immagini medievali – è il gesto dell’obbedienza mentre l’atto di incrociare le braccia dinanzi a sé con le braccia che gesticolano è proprio di un atteggiamento menzognero. La mano appoggiata sulla guancia – è descritto ne “La voce delle immagini” – esprime nella maggior parte delle opere la sofferenza. Alcuni simboli del potere regio in uso anche modernamente sono mutuati da gesti codificati nel mondo antico ed accolti nel Medioevo. È questo il caso della cosiddetta “mano parlante”, ossia la mano destra raffigurata nei ritratti e nei dipinti con anulare e mignolo flessi. Questo simbolo, già in uso nell’antichità per ritrarre gli imperatori romani nell’atto di dare ordini, fu ben accolto e adottato dai Longobardi, come dimostra la scultura in bronzo detta “La placca di Agilulfo”. In essa si vede infatti il sovrano che parla con imperio, cosa questa che fece nascere anche la versione della “mano di giustizia”, cioè la mano di avorio sugli scettri. La mano di giustizia fu impugnata dai regnanti nel giorno dell’incoronazione, e ciò è rappresentato anche in quadri e realizzazioni non medievali in quanto realmente tale mano era usata e dunque raffigurata nel palmo di Luigi IX e di Napoleone. Molto del retaggio medievale è anche nella semiotica del linguaggio scritto e parlato, cioè nell’ambito del nostro idioma, dei modi di dire: un esempio può essere a tal proposito costituito dall’espressione metaforica e gergale: “Essere nelle mani di qualcuno” (“Sono nelle tue mani…”), “Rimettersi nelle mani di qualcuno”, che sta ad indicare nientemeno che il rito dell’omaggio di devozione (filiale) in uso nella società feudale: il rito prevedeva che il vassallo servisse il senior, in cambio della protezione e del mantenimento da parte di quest’ultimo e lo stesso rito voleva che il vassallo si inginocchiasse e mettesse le proprie mani giunte – retaggio rilevato dal Cristianesimo per pregare e quindi per “mettersi nelle mani di Dio” – in quelle del superiore, accordandogli fiducia. L’intento della Frugoni, inoltre, è quello di dare voce al linguaggio dell’iconografia medievale affrontando anche le convenzioni simboliche relative allo spazio nei dipinti e nella ritrattistica di questo periodo: Chiara Frugoni stessa definisce infatti l’equazione “Davanti= dentro” per ciò che concerne la diversità di regole prospettiche nelle opere del periodo studiato; poi la scrittrice medievalista si sofferma nella sua opera anche sull’equazione “Sopra=dietro”, quest’ultima “adottata” ad esempio dal Maestro della Tavola Bardi (1243) nella quale l’artista raffigura la predica di S. Francesco agli uccelli. Un intero capitolo del libro, così profondo e interessante – stando alla recensione su “Medioevo” – è dedicato ad una vera e propria “rappresentazione del diverso”, particolarmente la stigmatizzazione – xenofoba e crudele quanto si voglia – dell’Ebreo, densa di razzismo, di sfregio, di sfottò, di disprezzo: questo per il motivo “ufficiale” dell’essere gli Ebrei i discendenti degli uccisori di Cristo ma soprattutto per l’altro motivo “vero”, quello “ufficioso” dell’essere ricchi orafi e benestanti sionisti. Le icone dell’antisemitismo, tradotte in immagini dall’arte medievale, erano consuete raffigurare gli Ebrei con il cappello a punta o con una rotella applicata agli abiti (oltre al simbolo della “stella di David” a sei punte) ma con l’aggiunta di elementi volti a rendere ancora peggiori e più sgradevoli – ulteriormente – i loro connotati: naso adunco, tratti somatici accentuati come in caricatura, pelle nera. In questo filone antigiudaico si inserisce l’allegoria della Sinagoga sconfitta di contro alla Chiesa trionfante; questo tema fu toccato anche da Benedetto Antelami, che scolpì la “Crocifissione e deposizione” conservata nella cattedrale di Parma: anche qui lo studio dei segni artistici del linguaggio figurativo è altamente allegorico e metaforicamente cogente, copioso, superbo.