Radici da non perdere

 Giuseppe Lembo

Il territorio del Cilento è un territorio di cultura (prima tra tutti i saperi eleatici) e di antiche tradizioni sacre e profane, intimamente legate al mondo interiore della gente che le ha vissute e sapute conservare per secoli, tramandandole, da una generazione all’altra. Rappresentano un vero, grande patrimonio di cultura, di identità antropologica, di etica condivisa e di saperi che, tutti insieme, fanno parte del paesaggio umano e naturale della Terra cilentana.Si tratta di un importante patrimonio identitario tutto da conservare; rappresenta in sé l’anima delle persone e dell’intera comunità-società. Cancellarlo sarebbe un grave danno per tutti; scomparirebbe dal DNA dei cilentani un aspetto importante della società, fortemente radicato nei valori fondanti delle tradizioni e del rapporto con la fede e con la madre Terra, tramandata oralmente, da una generazione all’altra. Si tratta di un patrimonio umano che, unito alla natura ed al paesaggio selvaggiamente mitico e dolcemente e solarmente mediterraneo, va conservato, in quanto oggi, sotto la tutela UNESCO, è patrimonio dell’umanità. In questo patrimonio genetico e di tradizioni antiche, c’è l’innesto della mutazione genetica e quindi umana, da una generazione all’altra, con le caratteristiche identitarie di continuità e di cambiamenti. Oggi l’identità cilentana, con le espressioni delle sue radici e della sua appartenenza, è fortemente compromessa dal nuovo che avanza, dove tutto è spersonalizzato, tutto è individualizzato, tutto è ridotto a modelli esterni fatti di appartenenza e di consumismo anche sfrenato. Non c’è più la piazza, l’agorà di una volta, come luogo d’insieme, come punto di incontro e di ascolto per le scelte prese in nome del bene comune. Non c’è più il valore della paesanità, il senso dell’ospitalità amica e della fede, come espressione dell’anima e della festa, come occasione di devozione nella tradizione e di crescita anche nella fede dell’uomo locale. Tutto è soggettivamente riportato al proprio sé, al proprio egoistico interesse personale, senza minimamente sforzarsi a conoscersi e ad interrogarsi sul percorso di un fare sociale che, partendo da sé, deve poi saper coinvolgere anche gli altri. Tanto è necessario premettere per trovare le soluzioni possibili alla conservazione dell’anima identitaria in forte e crescente crisi. È in crisi nei rapporti umani; è in crisi nel comunicare; è in crisi nel vivere anche la stessa religione e fede, ormai ridotta ad un’espressione fortemente distaccata ed esteriore del proprio credere, del proprio essere parte attiva della propria comunità di fede. Nella crisi diffusa del proprio essere territoriale non si salva niente e nessuno. Anche i valori dell’identità, dell’appartenenza, delle radici, sono valori in crisi; indifferenti ai più, si vive assorbendo le esteriorità di mode e di consumi, così come proposti dal bombardamento quotidiano da parte di un mediatico, il solo indiscusso protagonista anche dell’anima cilentana, oggi antropologicamente modificata nella sua vera essenza identitaria. Questa crisi di protagonismo territoriale è carica di gravi conseguenze. C’è di fatto la morte dell’anima paesana; c’è un estraneo sociale, che determina l’allontanamento dal proprio essere, dalle proprie radici, trasformando i più in schegge impazzite senza identità. Purtroppo, nella crescente indifferenza a saper conservare quell’importante parte di sé secondo le tradizioni, si inseriscono continuamente elementi che, a macchia d’olio, rendono irreversibile, una crisi già di per sé grave. È l’indifferenza al legame umano secondo consolidate tradizioni, che si esprime anche nel rapporto con la Chiesa locale. Oggi, siamo ad un rapporto scarsamente significativo per l’indifferenza diffusa a vivere pienamente le proprie tradizioni, il cui percorso, per altro, non è più spontaneo e normale, così come per il passato. Tutto è riportato ad un falso rigore di un’appartenenza che vanifica il vecchio, senza che in alternativa, vengano nuovi percorsi di umanità e di valori condivisi. C’è un vuoto crescente. C’è indifferenza e nell’indifferenza, c’è la confusione di scelte sempre meno condivisibili che non hanno per obiettivo il fare condiviso, ma il compiacimento all’essere contro gli uni agli altri. Un caso recente di crisi dei valori della tradizione lo sta vivendo Ortodonico Cilento, nel Comune di Montecorice, un tempo considerato paese della civiltà contadina, paese dell’anima, dove era bello vivere; oggi è, purtroppo, sprofondato nella più assoluta dimenticanza ed in una profonda confusione antropica di tutti contro tutti. Anche la Chiesa che dovrebbe proporsi per il suo impegno al dialogo, purtroppo, non riesce a dialogare e ad attivare percorsi di fede coinvolgenti e partecipanti. Qui la comunità sta vivendo da mesi il grave disagio umano e sociale per una crisi che porta all’impoverimento dell’appartenenza, dell’identità e della tradizione; il tutto, per effetto di un incomprensibile scippo del proprio legame con il passato. Ad Ortodonico c’è un forte culto mariano. Il legame della comunità alla sua Madonna delle Grazie, era rappresentato da un vero e proprio tesoro, “l’oro della Madonna” che si conservava nella comunità e di anno in anno si arricchiva di nuove preziosità, ex voto di fede. Il tesoro della Madonna si riproponeva al popolo gaudente, ogni anno, per i festeggiamenti della Madonna, del 2 luglio. Da quest’anno l’oro della Madonna, un legame con la tradizione e l’identità antropica paesana, è nelle mani della Curia Vescovile di Vallo della Lucania. Un grave strappo alla tradizione di secoli che voleva il suo oro custodito nella comunità e dalla comunità. Non  sarà, purtroppo, mai più così. È, oggi, un bene della fede popolare locale, trasportato altrove; grave le conseguenze sul piano umano ed anche dell’appartenenza ad una fede antica, tradita nella sua espressione-simbolo, rappresentata da ex voto, accumulati di generazione in generazione, a devozione della Madonna delle Grazie, una Madonna peregrina che, secondo la tradizione, è venuta da lontano (si dice dalla Calabria). L’oro della Madonna è considerato un bene della tradizione; un bene che, per secoli, la comunità se lo custodiva, gelosamente, affidandoselo. Tutto secondo tradizione; un sistema di conservazione che ha funzionato per secoli e si è fortemente radicato nella coscienza collettiva, creando un legame che si è, purtroppo, traumaticamente interrotto. Un bene che ad Ortodonico, soprattutto dalle persone anziane e più fortemente legate alla tradizione, è stato ed ancora oggi è  vissuto come il simbolo dell’immaginario e della memoria collettiva basato su di un comune percorso identitario di fede e dei valori dell’insieme comunitario. Il problema dell’appartenenza, delle radici, dell’identità umana che lega il presente al passato e lo proietta nel futuro, è un problema grave e traumatico, se è vissuto come un vero e proprio dramma collettivo. La comunità umana di Ortodonico è traumatizzata; si sente priva di un legame generazionale che durava da secoli e rappresentava l’anima sempre viva della gente del luogo. Il danno è veramente notevole; va oltre la fede e coinvolge la comunità ormai priva, in quanto ne è stata espropriata, di un legame identitario importante la cui mancanza è avvertita come un vuoto incolmabile. Bisogna intelligentemente e presto, correre ai ripari. Bisogna evitare di privare la comunità di questo legame generazionale, visto e vissuto come un forte simbolo delle radici, dell’appartenenza, dell’identità umana in cammino. Per fare questo, è necessario ridare alla comunità umana di Ortodonico, l’oro della Madonna, simbolo di un’appartenenza e di un’identità che non può essere cancellata. Tempi nuovi, soluzioni nuove. Si può rimediare, appellandosi al protagonismo della gente di Ortodonico. Una soluzione possibile potrebbe essere quella di una riappropriazione collettiva dell’oro della Madonna che potrebbe diventare, tra l’altro, anche l’occasione per un’umanità locale rinnovata nella solidarietà globale per il mondo che soffre, per i bambini del mondo che, sempre più spesso, nell’indifferenza di tutti, muoiono di fame, senza diventare mai adulti. Il progetto di idee che potrebbe restituire l’oro alla comunità umana di Ortodonico, è pensato sul protagonismo delle tante persone tradite nella loro identità, nella loro appartenenza, nel loro legame con il passato. Alla base del progetto c’è la riappropriazione, attraverso l’acquisto degli oggetti ex voto dati come espressione di fede alla Madonna, da parte dei soli cittadini di Ortodonico; acquistando le diverse parti del tesoro della Madonna, di fatto, chi acquista né è solo proprietario-custode; gli oggetti, così acquistati, vengono trasferiti in eredità di custodia agli eredi più diretti. Facendo questo si garantiscono due cose importanti:

  • l’appartenenza alla comunità che può sentirsi sicura di avere, come simbolo dell’immaginario collettivo, l’oro della Madonna;
  • l’uso delle risorse per l’acquisto, a fini altamente umanitari di salvare vite umane, soprattutto bambini, purtroppo, destinati a morte sicura, nell’indifferenza dei più.
  • A garantire tutta l’operazione potrebbe essere una commissione di persone del luogo, formata da cinque membri, parroco compreso. Il compito della commissione dovrà essere quello di catalogare gli oggetti, di indire l’asta con un esperto banditore, di mettere a punto il regolamento, di certificare gli oggetti acquistati, di stabilirne il possesso ai fini della sola conservazione individuale di un bene da ciascun acquirente destinato ad uso comune in quanto bene della tradizione, simbolo della memoria collettiva di Ortodonico, per un comune percorso identitario di umanità, di fede e di etica dell’insieme comunitario. È un bel dono per riaccendere nella comunità l’appartenenza a quell’immaginario collettivo, messo fortemente in crisi per mancanza di un legame d’insieme che veniva da lontano e che, tutto ad un tratto, non c’è più. Oltre al ritorno di un simbolo d’insieme che, da sempre ha unito Ortodonico nella sua umanità paesana e nella fede, si realizzerebbe anche il non secondario obiettivo della solidarietà umana dando risorse per salvare vite umane destinate a morte sicura. Ortodonico si candida così, ad essere paese della tradizione, della profonda fede mariana e soprattutto paese della solidarietà umana globale, attraverso l’aiuto  agli altri, i poveri della Terra che, abbandonati a se stessi, muoiono di fame, nell’indifferenza di chi ha. È un progetto di idee, fortemente basato sulla fiducia negli uomini di una comunità che, oltre a voler dimostrare di esistere, vuole, rispettando le proprie tradizioni, la propria appartenenza, spendersi per gli altri, socializzando, umanizzando, facendo pezzi di strada insieme e raccogliendo l’appello dei disperati della Terra, con la mano tesa e la disperazione dentro, un forte grido di allarme al mondo di non volere più morire per fame. Ortodonico intende rappresentarsi come la speranza di un mondo nuovo, di un mondo della vita contro la morte, agli occhi di quel miliardo di persone destinate a morte sicura, in un infame olocausto, che produce, per mancanza di cibo, una morte sicura. Questo progetto serve a dare un forte scossone ed a far rinsavire chi ormai non si accorge più di niente ed è indifferente a tutto. Se Ortodonico ce la farà, oltre a salvare vite umane da morte sicura, sarà un esempio importante per come l’uomo deve altruisticamente darsi agli altri uomini ed al centro di un’etica condivisa, tendere la propria mano solidale per un’umanità sempre più bisognosa dell’insieme umano di questo mondo del Terzo Millennio che, deve saper pensare globale e bene e virtuosamente agire nei propri ambiti locali.

 

                                                            

Un pensiero su “Radici da non perdere

  1. RADICI CILENTANE

    Una vanga antica abbandonata,
    appoggiata ad un muro esterno
    di un vecchio casolare
    isolato nel mare verde
    delle colline cilentane,
    dallo stelo scheletrito
    rosicchiato da famelici tarli,
    dalla staffa consumata
    dai poderosi scarponi
    di contadini non sindacalizzati,
    riporta alla mente del poeta
    le forti e motivate
    radici cilentane.
    Narrerebbe – forse –
    storie semplici
    di pane condito di sudore,
    di sforzi inumani
    per dissodare l’avara terra
    sovente pronta a negare
    quanto dall’uomo programmato,
    nel corso dei giorni,
    nello scorrere dei mesi,
    nel passare degli anni.

    Le radici cilentane
    sono dure a morire.

    Catello Nastro

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