Salerno: Medusa, un lavoro da suicidio

Aldo Bianchini

Fortunatamente quelli del “Medusa” non sono più dipendenti di Berlusconi ma, si fa per dire, soltanto di Benetton. Un recente passaggio di società, difatti, avrebbe sancito lo scorporo azionario e la nascita della “The Space Cinema spa”. Da “B” a “B”, direbbe qualcuno, e non me ne voglia Lorenzo Cristiani (intraprendente sindacalista) che cerca con le unghie e con i denti di difendere il livello lavorativo dei diciassette dipendenti schierati, braccia conserte, nei locali del Medusa a  poca distanza dallo stadio Arechi. Se fossi nei panni del bravo Cristiani mi preoccuperei più delle condizioni di lavoro, atipiche per giovani del sud, che della promozione dalla categoria “B” a quella di “A” che vivrebbero i colleghi di altre strutture similari del nord. Perché racconto questa storia? Semplice, perché qualche settimana fa ho vissuto un pomeriggio da incubo nella struttura che sembra una vera e propria cattedrale nel deserto. In compagnia di mio nipote dodicenne, di nome Aldo come me, per assistere ad una proiezione cinematografica. Nel bel mezzo di quello che sembra un deserto dei tartari, o meglio ancora la terra di nessuno a dir poco pericolosa sia di giorno che di sera e di notte, sorge (l’avranno visto molti lettori) una struttura, il Medusa, che ha l’aria imponente e la freddezza inusuale per le nostre terre. Entrai all’interno del salone enorme, accogliente, ma desolatamente ed assolutamente vuoto. In giro soltanto un paio di ragazzi-dipendenti rigorosamente in divisa ma con la faccia triste, quasi spenta. Mio nipote, che ha lo spirito ironico tipico dei ragazzini, si gira e mi fa: “Nonno stai attento che qui, in questa confusione di gente, puoi perderti!!” Mi diressi verso l’angolo bar per un salutare caffè vista l’ora calda pomeridiana. Garbato ma netto il rifiuto, a quell’ora per mancanza di clientela la macchina del caffè è spenta. Opto, con mio nipote, per la coca cola e lui chiede in aggiunta anche i classici pop-corn. Noto uno strano armeggiare dietro il banco, chiedo e mi viene risposto che li sta preparando nel forno a micro-onde, e lo fa volta per volta sulla base delle richieste della scarsa clientela. Mamma mia, penso tra me e me, come sono ridotti male qui al Medusa. E in quel momento, non sapendo che la gestione della multisala era passata da Berlusconi a Benetton, pensai malissimo nei confronti del Cavaliere reo di massacrare anche le più banali esigenze lavorative dei suoi dipendenti. Pensieroso mi avviai verso la sala di proiezione sempre con mio nipote Aldo, ci accompagnò un altro ragazzo in divisa. Perplesso cercai di rivolgergli  qualche domanda sul suo lavoro. Lapidaria, secca e scioccante la risposta: “E’ un lavoro da suicidio”. In sala desolatamente vuota, credetemi eravamo soltanto io e mio nipote, ho soltanto intravisto la proiezione e non ricordo neppure il titolo del film, tanta era la mia costernazione per quello che avevo visto e, soprattutto, per quello che avevo sentito dalla viva voce del ragazzo, frustrato e massacrato anche nelle sue migliori intenzioni lavorative e creative, costretto a tenere in piedi “un lavoro da suicidio” pur di sbarcare il lunario nell’attesa di tempi migliori. Alla fine del film chiesi a mio nipote di fermarci ancora per un’altra proiezione; un po’ a malincuore fu d’accordo anche perché gli spiegai che così avremo contribuito con il nostro piccolo sacrificio alla risoluzione dei tanti problemi lavorativi ed occupazionali. All’uscita cercai di fissare negli occhi quel ragazzo, scoprii tanta tristezza. Un vero peccato che un struttura come quella debba rischiare addirittura di chiudere i battenti: prezzi alti e lontananza dal centro urbano inducono molti a portare da casa bevande e pop corn. Con i tempi che corrono una famiglia media di quattro persone non può permettersi il lusso di spendere 60-70 euro per vedere un film.  Un vero peccato  che i sindacati si impegnino sempre, a tutti i costi ed anche in maniera inopportuna, per rivendicazioni di carattere economico e mai, dico mai, per il contenimento dei prezzi a favore delle presenze e per condizioni di lavoro accettabili anche sul piano squisitamente psicologico. Spero tanto di sbagliarmi.

 

3 pensieri su “Salerno: Medusa, un lavoro da suicidio

  1. Signor Bianchini,purtroppo devo deluderla:Berlusconi detiene attualmente il 49% di Medusa e Benetton il 51%!

  2. mi pare di capire che lei attribuisca all’esiguità degli utenti il disagio dei dipendenti della multisala. Probabilmente la sua esperienza è avvenuta in periodo ferragostano, periodo tradizionalmente poco cinefilo.
    Per mia esperienza, anche se indiretta, il “Medusa” normalmente è uno spettatorificio affollato come una babele.
    “…il primo operatore sul mercato italiano delle sale cinematografiche con un market share di oltre il 15%, che sale al 30% contando solo i multisala italiani. “The Space Cinema” potrà contare su 242 sale cinematografiche complessive, su un box office di 15-16 milioni di biglietti all’anno e su un fatturato aggregato di 125 milioni di euro circa…”.
    A me ritorna la depressione se penso alle parole del monopolista mediatico: “…sposa il figlio di un miliardario..” rivolte ad una italiana giovane che chiedeva al primo ministro consigli sul suo futuro.

  3. A Ganti direi che la maggioranza di un pacchetto azionario significa il comando dell’azienda (Bianchini, duindi, no n ha sbagliato!!). A Panormo consiglierei di farsela passaare subito la depressione che per una cosa del genere è davvero sprecata.

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