Riceviamo e Pubblichiamo: Grazie, Calatrava

Passata l’euforia, si vede meglio l’altra faccia del Crescent, l’opera, definita “grandiosa, straordinaria, necessaria allo sviluppo… di respiro europeo.” Un’opera che passa, di bocca in bocca, come il mostro di “Piazza della Libertà”. E ad aiutarci nella giusta comprensione è un grande nome dell’architettura contemporanea, Santiago Calatrava. Il quale, ieri sera, al Teatro Verdi ha aperto lo scenario sulla “grande” architettura e il suo rapporto col territorio, primo di una serie di incontri sulla trasformazione urbanistica di Salerno. Interessante, coinvolgente, informativo e formativo a un tempo, almeno per quanti non sono versati nella materia. Ed è stato altresì entusiasmante per la grande partecipazione di pubblico, e di giovani in particolare.Stava nell’aria l’attesa di una parola sulla grande opera, ma nessun riferimento specifico negli interventi introduttivi, specie quello del sovrintendente Zampino, molto prudente a tal punto da leggere un paio di paginette messe su con molta prudenza, e direi con stile notarile sulle ultime vicende urbanistiche e progettuali. E molta genericità, del resto, anche nell’intervento dell’imprenditore Gallozzi, centrato sulla funzionalità dell’arte che viene piegata alle esigenze delle società contemporanee : investimenti e opere pubbliche necessari per creare lavoro e uscire dalla crisi. Solo dal sindaco, in verità, il riferimento atteso è stato esplicito e imperioso, con parole di autoesaltazione ormai arcinote, la mente rivolta alle grandi realizzazioni di noti poli urbanistici mondiali, come Berlino. E ha concluso con un riferimento a Calvino, e alla fine che fece la città di Zara che, non riuscendo a rinnovarsi, finì con l’essere dimenticata dai viventi (ma per capire di più, occorre andare alla fonte letteraria).E il pubblico, attraverso una nutrita carrellata sul curriculum di Calatrava, ricco di opere sparse in tutto il mondo, ha potuto saggiare la sensibilità dell’artista e la capacità inesauribile del suo genio innovatore. Tutto un mondo nuovo si è presentato con un fascino inimmaginabile per chi restava ancora irretito nel pregiudizio che l’arte moderna è qualcosa di dirompente con la tradizione e, a volte, a scapito del buon gusto. Il mondo di Calatrava, al contrario, ha provato che è possibile armonizzare innovazione e tradizione, con il vantaggio della funzionalità, perfettamente adattata alle esigenze complesse della società contemporanea. Lo provano, del resto, le sue opere grandiose, per lo più ponti, aeroporti e stazioni ferroviarie, talvolta con incursioni ardite e di rara bellezza anche nel campo di edifici pubblici (biblioteche e altro). E chi, con occhio attento, seguiva le proiezioni sullo schermo, non poteva non andare con la mente al “mostro” in arrivo (finora ancora allo stato progettuale) e alle sue incongruenze, per domandarsi : che cosa c’entra Calatrava con quella bruttura che più bruttura non si può? Venendo a noi, al Crescent, balza in tutta evidenza la necessità del raccordo tra innovazione e tradizione, tra linee nuove e paesaggio, tra creazioni ardite e rifiuto di effetti traumatici nel rapporto con la natura e la tradizione. L’atteso collegamento con la realtà portuale è venuto molto alla larga e senza mai farvi riferimento specifico : senza impegno, quasi a volerne prendere tacitamente le distanze. La visione di Calatrava si è così soffermata sulla valorizzazione delle risorse esistenti in chiave innovativa, ma efficiente e funzionale nell’area della Marina di Arechi”, dove la costa è maggiormente esposta alle offese dell’erosione marina. E qui, seguendo gli schizzi che balzavano sullo schermo, si poteva seguire (a gran fatica da chi era in alto, tra i palchi delle file superiori) quali opere occorrono per proteggerla.Tutto questo rutilava nella mia mente, attratto dalla superba capacità di inventare il nuovo, in forme mai ripetitive, dell’architetto spagnolo; e lo scempio del Crescent, e la sua frattura insanabile con il resto della città si delineava con maggiore evidenza con i suoi effetti devastanti : la sproporzione delle proporzioni (fra l’altro, la massiccia costruzione, superiore ai trenta metri, schiaccia e annulla la pregevole stazione marittima). Dovessi riassumerli tutti in forma plastica, gli effetti negativi, non esiterei a fonderli con il profilo immenso del Gigante di Goya, che incombe su uomini e cose. Insomma, a prospettarseli, tutti insieme, c’è veramente da tremare.Ogni scelta, si sa, comporta rinunzia ad altre scelte. E l’esperienza ha provato ampiamente che fu sbagliata la scelta del porto commerciale : distrutte le risorse naturali (zona balneare), si sono rese necessarie opere a non finire (viadotto Gatto e altro) per rimediare al malfatto, senza risolvere il problema. Risultato: sviluppo strozzato, risorse perdute, necessità di uscire dall’imbuto per trovare spazio vitale al porto commerciale. La città, anziché potenziare la sua vocazione marinara, l’ha strozzata con quella scelta sbagliata e, strano a dirsi, continua a sbagliare. In tale contesto si profila un miraggio: i benefici verranno, si dice, e saranno abbondanti. Montagne di capitale privato sarebbero già in arrivo; e si sa pure che, in mancanza, l’opera sognata farà naufragio. Il Comune, divenuto intanto padrone del suolo, dovrà pagare il Demanio che ha venduto il suo gioiello (l’ultimo spazio nel cuor della città). Il pacco progettuale sarà aggiudicato al migliore offerente. E il resto? Sarà il mercato a guidare l’operazione : vendita di appartamenti di lusso, negozi, garage, uffici di prestigio, centri di cultura e documentazione, eccetera eccetera. Già si sarebbero fatti avanti gruppi finanziari potentissimi e privati assai facoltosi, si dice ancora. E poi, a realizzazione ultimata, verrà la manna : centinaia di migliaia di turisti a vedere la piazza “più grande di piazza Plebiscito”. Richiamo turistico sicuro. Espansione del commercio. Proiezione in Europa e nel mondo. Potrei continuare, ma non oso procedere (qui è preferibile lasciare la parola al Sindaco). Solo una domanda : per chi si fa la festa? Sarà veramente un “Crescent” che porterà alla città ricchezza e gloria? E come sarà la città che giustamente pensa a diventare ”attrattore turistico, sociale, culturale”? Siamo alla vendita delle aspettative, ma la ragione reclama il suo spazio.Il progetto è stato calato sulla città. La città che pensa non è disposta a subirlo. E le iniziative programmate sono utili, assai utili per avvicinare chi osa ancora interrogarsi liberamente sulla realtà progettuale in cammino e conquistare un livello di conoscenza adeguato per emettere un giudizio consapevole sul quel che si sta facendo, nel bene e nel male.
Mai come in questo momento il vertice municipale smania di rinnovamenti. Ma prima che il trionfalismo faccia ulteriori passi in avanti, non è ozioso ricordare l’ammonimento di un uomo che tanta rilevanza ha nelle nostre memorie civiche: “[Questa città] “non ha amore per le sue vecchie vie… ove è scritta la sua lunga storia… vuole essere tutto; città industriale e città turistica…città antica e città da Far West… babele e Eden. Cerca sempre, fuori di sé e fuori dal Mezzogiorno, il consenso d’essere quello che non è : la città del parere, e non dell’essere, la città degli ospiti che ne parlano bene.” (da La bella città del “pare brutto” di Alfonso Gatto). D’accordo col Sindaco : non rigiriamoci sempre nel passato, guardiamo al futuro, teniamo conto del dinamismo mondiale. Ma, attenti a non strafare. Attenti, anzi, a fare come si deve fare, mettendo a frutto le esperienze negative del passato. Ecco perché dico : grazie, Calatrava. Ecco perché mi auguro che in tanti si siano interrogati come me, ascoltando la “lectio magistralis” di un grande architetto.

Gaetano Troisi

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