Il Partito, che non c’è!

 Fulvio Sguerso

 E’ cominciato, o meglio, è stata impressa un’accelerazione, sabato 13 dicembre 2008, al processo fondativo e formativo del nuovo soggetto politico della Sinistra con l’assemblea svoltasi all’Ambra Jovinelli di Roma. A incendiare la platea del teatro è stato l’intervento numero 22: “Io non ho l’autorevolezza per farlo, qui ci vuole un compagno importante che dica: chi vuole fondare un nuovo partito si alzi in piedi e andiamo un’altra stanza”, ha gridato l’anconetano Maurizio Foglia, e quasi tutto il teatro si è messo a scandire la parola magica par-ti-to, par-ti-to…. Ma il partito nuovo ancora non c’è per il semplice motivo che ci sono ancora i vecchi, con i loro simboli, e soprattutto con i loro apparati. L’esigenza, o meglio la necessità  di dare vita a un partito diverso da quelli che hanno così miseramente mancato l’obiettivo di unificare le sparse membra della Sinistra è stata la nota dominante di tutti gli interventi che si sonno succeduti sul proscenio, sotto l’occhio attento e partecipe di Moni Ovadia, giustamente rigoroso nella scansione dei tre minuti assegnati ai compagni e alle compagne  sorteggiati tra chi si era iscritto a parlare. Qualche distinguo è emerso sui tempi e sulla durata della gestazione del nuovo e da troppo tempo atteso soggetto politico diverso (e prospetticamente alternativo) rispetto alle tattiche e alle strategie che hanno portato a una sconfitta che difficilmente si può evitare di definire “storica” di tutta la Sinistra di questo sfortunato Paese. Storica non vuol dire, sia chiaro, definitiva; ma perché una sconfitta storica non divenga anche una condanna della Storia è necessario non ricadere negli errori che hanno consegnato “la politica” in mano agli affaristi, ai pubblicitari, ai mercenari mediatici, ai voltagabbana di questa neodestra razzista, presidenzialista, populista e fascistoide (cfr.il programma della Loggia P2 del venerabile Licio Gelli). Perciò bisogna tramutare al più presto il diffuso e crescente bisogno di un’opposizione vera, sociale, politica e culturale a tutta l’attuale classe politica in un soggetto che sia all’altezza del compito storico (ma anche etico ed estetico) che solo una Sinistra veramente nuova e veramente democratica può, e a questo punto deve, assumere, interpretare e mettere in opera. Ma che cosa significa “una Sinistra veramente nuova e democratica”? In che cosa si deve distinguere dalla, o meglio, dalle sinistre vecchie e “sinistrate”? E inoltre: è possibile ricostruire (non più, per favore, “rifondare”) un Partito nuovo semplicemente raccogliendo le sparse membra dei partitini della vecchia sinistra radicale? Una Sinistra veramente nuova non dovrebbe, tanto per cominciare, rinnovare di sana pianta i suoi quadri? E’concepibile che a guidare il processo di formazione del nuovo Partito siano gli stessi strateghi che hanno portato al fallimento il cartello elettorale dell’Arcobaleno? E da dove e come dovrà (il tempo verbale è per forza di cose ancora il futuro) attingere ed eleggere i suoi nuovi quadri? Sono domande aperte a cui è necessario dare concrete risposte in tempi abbastanza ravvicinati, considerato anche il ritardo con cui siamo arrivati all’appuntamento dell’Ambra Jovinelli e con cui arriveremo, forse a febbraio, alla nascita ufficiale del Partito della Sinistra. Che però, questa volta, dovrà essere veramente diverso, pena l’omologazione alla vecchia politica politicante, e quindi un ulteriore e, a quel punto, definitivo fallimento. Se “primarie delle idee” significa che “prima” vengono gli obiettivi, le ragioni e il senso di un impegno civile, politico e culturale, e “poi” le persone più adeguate al compito di tradurre in pratica le idee elaborate ed emerse dalla base, allora dovrebbe risolversi una volta per tutte la questione della “distanza” tra gruppo dirigente ( o leader) e militanti, e si scongiurerebbe una volta per tutte la formazione delle nefaste e letali oligarchie autoreferenziali che trattano i militanti di base come massa da mobilitare e da manovrare solo per fini elettoralistici ,o per mantenere alcune posizioni di potere interno (vedi i “cacicchi” di cui ha parlato Gustavo Zagrebelsky). Dall’inchiesta attuata tramite il questionario distribuito ai compagni e alle compagne che hanno partecipato all’assemblea pre-costituente della Sinistra, è risultato che il primo punto programmatico del nuovo partito dovrebbe essere la speranza di trasformazione dell’attuale assetto economico e socioculturale in cui siamo immersi e da cui non riusciamo a venir fuori. Il secondo (ma, come risulterà chiaro, i primi cinque o sei obiettivi qualificanti della Sinistra che verrà sono talmente interconnessi che possiamo anche metterli sullo stesso piano) dovrebbe essere la centralità e la dignità del lavoro, il terzo la laicità (riguardo, ovviamente, ai dogmi di tutte le chiese), il quarto l’uguaglianza nelle differenze (e quindi anche una sostanziale parità di condizioni e diritti-doveri tra i sessi), il quinto la salvaguardia dell’ambiente, potenziando e puntando sempre più sulle fonti alternative di energia, e della salute pubblica. A questi si può senz’altro aggiungere l’importanza primaria da dare alla scuola statale e una migliore organizzazione di tutto il sistema scolastico , che assicuri veramente a tutti il diritto allo studio, secondo l’art. 34 della vigente Costituzione. Inoltre non è nemmeno pensabile una Sinistra circoscritta nei confini nazionali: l’internazionalismo socialista e pacifista è (o dovrebbe essere) nel suo DNA. Orbene, che cosa impedisce a tutti i partitini della cosiddetta sinistra radicale o “estrema”, estromessa dal Parlamento per “volontà popolare”,  di fondersi – non fondarsi – in un unico Partito della Sinistra riconoscendosi in questi obiettivi programmatici generali? I loro vertici autoreferenziali? Le loro residue basi identitarie? La questione dell’alleanza elettorale con il PD? O cosa d’altro? Certo è che se ancora siamo così divisi e dispersi qualche ragione ci dovrà pur essere!E pensare che non mancherebbero le risorse umane, culturali, valoriali, civili e di esperienza anche amministrativa di tanti compagni e compagne ora disorientati e vaganti in un volgo disperso che nome non ha. Io credo che sia persino un obbligo morale dar vita al più presto al Partito della Sinistra; che appunto si dovrà far carico anche – se non soprattutto – della recidivante “questione morale” che infetta la classe politica e dirigente del Paese. Ma non alla maniera mediatica e populistica del pur generoso ma umorale (e ultimamente appannato) Antonio Di Pietro. Allora come? Il metodo delle primarie delle idee è già diverso dalle elezioni primarie. Più che di candidati si dovrebbe discutere, appunto, di idee e di linea politica (politica, si badi, non partitica); e per far questo è necessario aver chiaro che cosa è, anzi che cosa dovrebbe essere la politica, anche per via negativa (per esempio non è una rete familistica e clientelare!). E poi, anzi prima, aver chiaro da dove nasce la questione morale. Non è certamente con atteggiamenti moralistici o qualunquistici da “uomo della strada” che si può inquadrare il fenomeno della corruzione in politica; qui bisogna attrezzarsi di validi strumenti di analisi storica e culturale perché la questione del rapporto tra etica e politica sarà cruciale e decisiva, io credo, per la fortuna o il fallimento del partito che (ancora) non c’è. Infatti: “La questione morale è il segno di un modo di concepire e praticare la vita pubblica che con il pubblico non ha nulla a che fare. Dietro il cinismo o la disonestà degli amministratori pubblici si annida profonda la crisi della politica, sia come funzione pubblica che deriva e dipende dal mandato elettorale, sia come etica del servizio pubblico. Le due dimensioni sono strettamente legate tra loro. E’ questo il legame che si è infranto in questi lunghi anni di mai compiuta transizione verso una democrazia dell’alternanza. A prescindere da quella che sarà la provata responsabilità legale di alcuni amministratori pubblici, il giudizio politico non può che essere negativo, anche per quel preoccupante uso del linguaggio che è emerso dalle intercettazioni: amministratori pubblici che parlavano di ‘cose loro’ invece che di ‘cosa pubblica’.” (Nadia Urbinati, La Repubblica del 29/12/08). Ecco: ricostruire il legame spezzato tra l’etica e la politica, nel senso di restituire alla politica la sua funzione di agire per il bene comune, cioè per l’umanità nel suo insieme, potrebbe costituire la ragion d’essere del nuovo Partito. Progetto troppo ambizioso? Discutiamone.