Craxi, chi era: un criminale matricolato?

 

Aldo Bianchini

Uno dei titoli più brutti che in questi anni ho letto su Bettino Craxi è certamente quello pubblicato da “la Repubblica” sabato 30 settembre 1995. Quel giorno il quotidiano più letto d’Italia, ancora diretto da Eugenio Scalfari, titolò:”Craxi, il burattinaio”, con un occhiello e sottotitolo: “Clamorosa udienza a Milano: una trama contro Di Pietro e Mani Pulite, D’Alema e la Lega. Da Hammamet tira le fila della Seconda Repubblica. Il pm Ielo: “E’ un criminale matricolato”. Insomma per “la Repubblica”, e soprattutto per Ielo, Bettino Craxi non è né in esilio, né latitante, è semplicemente “un criminale matricolato”. Criminale, una parola che colpì profondamente il mio immaginario che fino a quel momento era invece abituato ad una visione molto più comprensiva della figura umana e politica di quell’uomo che, è da tutti riconosciuto, aveva sostanzialmente spostato la barra della “nave Italia” dirigendola verso l’innovazione e la modernizzazione al passo con i tempi che stavano rapidamente cambiando e che solo lui, Craxi, aveva per tempo intuito. L’articolo di “la Repubblica”, firmato da Luca Fazzo, Riccardo Luna e Umberto Rosso, si apre con le parole pronunciate dal pm Paolo Ielo nell’aula: “”Craxi influenza l’opinione pubblica attraverso campagne di stampa, raccoglie dossier contro gli avversari. Queste sono le carte di un criminale matricolato che aggredisce i magistrati, i servitori dello stato.””  E i tre giornalisti descrivono la scena così: <Con la voce tremante, in un’aula di tribunale, il pm Paolo Ielo mette agli atti oltre duecento pagine di documenti. Si tratta di lettere dell’ex segretario socialista sequestrate a Roma, e di più di tre mesi di intercettazioni telefoniche con Hammamet: l’ex premier latitante emerge come il burattinaio della seconda Repubblica che dalla Tunisia ordisce complotti contro Di Pietro, mani Pulite, la Lega e D’Alema……>. Ebbene la lettura di quell’articolo che elargisce a piene mani altri farneticanti complotti cambiò radicalmente il mio modo di muovermi nel mondo del giornalismo e, soprattutto, cambiò il mio approccio verso i magistrati; non la giustizia che è e resta immensamente superiore alla debolezze umane che la amministrano. Nei giorni successivi a quel 30 sett. 1995 andai a rileggere il discorso , l’ultimo, che Craxi pronuncio nella Camera dei Deputati il 29 aprile 1993 e rimasi colpito dall’ultimo passaggio: “”…Quando Sergio Moroni si uccise un magistrati inquirente sentenziò con parole ignobili <si può morire anche di vergogna>. Dopo aver letto alla Camera la sua lettera-testamento, il Presidente rivolse a tutti un invito alla riflessione. Ebbene penso che questa riflessione dovrebbe ricondurre direttamente ed essenzialmente al valore della giustizia che deve essere rigorosa ma anche e sempre serena, equilibrata, obiettiva, umana. Nel mio caso la Camera può concedere o negare l’autorizzazione a procedere dopo aver accertato se nei miei confronti è stata violata una norma, o sono state violate più norme che proteggono i miei diritti di parlamentare ed i miei diritti di cittadino. Mi auguro che gli onorevoli deputati vorranno farlo, nel modo più franco e libero, con tutto il senso di giustizia di cui sono capaci.””. Per quanto mi riguarda quelle erano parole di un uomo che avvertiva profondamente il distacco dai “pupi e ballerine” anche perché il Parlamento, in quel momento storico, ne era pieno. Un Parlamento che a distanza di qualche mese da quel discorso si dissolse e rovinò su se stesso dando il via alla “seconda Repubblica”.  Dopo molti anni da quei giorni un altro episodio mi ha colpito, questa volta in positivo, della vicenda craxiana. La presentazione al pubblico nella Camera di Commercio di Salerno del libro “Ciampi e il craxismo” scritto da Marcello Sorrentino, amico di famiglia di Bettino. Era il 14 gennaio 2001 e mi stupì l’affermazione del prof. Aurelio Musi (preside della facoltà di scienze politiche della nostra università) tra le contestazioni dell’affollata platea disse: “Le inchieste giudiziarie non possono essere ritenute come l’unica causa della disfatta di Craxi”. Nonostante qualcuno dalla sala gridava <vattene buffone> in effetti Musi proprio da quella sera avviava, credo, la fase del revisionismo storico dell’epopea craxiana. Revisionismo che, dopo la lettera del Presidente Napolitano, a distanza di dieci anni dalla morte del leader socialista può avviarsi serenamente alla conclusione. Quei giornalisti di “la Repubblica” oggi dovrebbero scrivere che non era Craxi il burattinaio e che quel ruolo, forse, era più consono per potenze spionistiche straniere. La rivelazione della presunta appartenenza di Di Pietro alla CIA, se accertata, potrebbe spiegare veramente tante cose.