Sapri: Premio Pisacane a don Aniello Manganiello ed al prof. Aniello Montano

Sergio Barletta

Si è conclusa a Sapri dell’edizione 2010 del Premio “ Carlo Pisacane “. La manifestazione è stata inserita nell’ambito dei festeggiamenti per il Bicentenario della Fondazione del comune di Sapri  dal 26 agosto al 20 agosto. L’evento è stato ricco di momenti emozionanti che hanno riscosso un notevole successo. Quest’anno, il principale partner della manifestazione organizzata dalla Civica amministrazione è stato l’Esercito Italiano. L’ obiettivo dell’Esercito Italiano era quello di stare con la gente e tra la gente per far conoscere sempre di piu’ una realtà in continua evoluzione. Esso,è stato rappresentato durante tutto il periodo della manifestazione  dal Generale Guido Landriani Comandante del Comando Militare Esercito Campania, dal Col. Flavio Rizzo Comandante del Centro Documentale di Salerno, dal Ten. Col. Salvatore Sileo, dal  Lgt. Sergio Barletta e 1°Mar. Pasquale Trezza. Nella quattro giorni si è assistito a diverse attività tra cui   un Gran concerto da parte della Banda dei Granatieri di Sardegna al quale hanno assistito duemila persone. Il giorno successivo, convegno storico – culturale nella Villa Comunale, al quale hanno partecipato illustri relatori di fama nazionale ed internazionale. Nel corso del convegno, seguito da oltre 500 persone si è discusso del Carlo Pisacane giovane allievo della la scuola militare Nunziatella di Napoli ed illustrata in chiave storica la fondazione del comune di Sapri. Particolarmente ricca di avvenimenti la giornata di Sabato 28 agosto, con il sorvolo di aerei leggeri e, lancio di paracadutisti e   la grande Rappresentazione   del regista Gaetano stella “ Sapri rievocazione storica” che ha visto sul palco l’attore Sebastiano Somma. Alla rappresentazione, hanno partecipato nella gremita Piazza San Giovanni oltre tremila persone che hanno particolarmente apprezzato l’esibizione artistica revocatrice. La manifestazione si è conclusa domenica 29 in Piazza Plebiscito con la consegna del Premio “Pisacane 2010”, assegnato al Prof.  Aniello Montano ed a Don Aniello Manganiello. Il Prof. Aniello Montano ha insegnato Storia della filosofia nella facoltà di lettere   e filosofia dell’Università degli Studi di Genova ed attualmente è direttore del dipartimento di filosofia presso l’Università degli Studi di Salerno. Il Prof.Montano è stato accolto e premiato dal Generale di Brigata Guido Mandriani e dal Sindaco Dott. Vito D’Agostino. Don Aniello Manganello  è un uomo di chiesa che ha scelto il coraggio della fede  in terra di camorra. Anni di lavoro con ragazzi difficili in un contesto in cui domina la camorra. La storia di Don Aniello  è una storia che da sedici anni a raccolto consensi, affetto, impegno. Una storia che fa bene alla gente, alla chiesa, al sud e fa male solo alle mafie. La recente notizia del suo trasferimento in un quartiere borghese tranquillo di Roma, deciso dai superiori ordini ecclesiastici  a scatenato la reazione del popoloso e degradato quartiere di Scampia, rompendo un equilibrio precario che ogni giorno tiene in piedi la speranza del cambiamento per tanta gente. Nel corso della premiazione,  affidata a  Mons. Angelo Spinillo Vescovo di Reggiano – Policastro, Don Aniello ha affermato  “Io Scampia non la voglio lasciare. Non lascio questa gente, la mia gente “ e, la sua gente non l’ha lasciato solo ed è scesa in piazza per affermare un rumoroso e pacifico “No” al trasferimento.  Don Aniello ha convertito alla fede e soprattutto alla legalità molti camorristi. Ancora oggi si rifiuta di  dispensare i sacramenti a coloro che rimangono fedeli al solo culto mafioso. Cosi come si rifiuta di battezzare i loro figli perché senza conversione ogni sacramento diventa solo esercizio di ostentazione privo di Dio. Il mio obiettivo ha proseguito il sacerdote  “Dimostrare che si può battere il male, anche quando si chiama camorra, che si può vivere nella legalità, si possono riportare uomini sulla strada della felicità e della libertà”. La conduzione della serata finale è stata affidata al regista Gaetano Stella. Al termine della manifestazione  il Sindaco  Vito D’Agostino ha ringraziato tutti coloro che si sono adoperati per la perfetta riuscita della manifestazione, ed in particolare all’Esercito Italiano,all’attore Sebastiano Somma, al regista Gaetano Stella, all’Associazione Nazionale Paracadutisti di Pontecagnano, all’Aeroclub “Gen.Nicola Collarile” di Benevento. Il  Generale  Guido Landriani, ha dichiarato: “Sono contento, l’Esercito è sbarcato a Sapri, dove ha incontrato grande ospitalità e disponibilità e ci gratifica il risultato ottenuto oltre 1000 visite al Villaggio Esercito allestito sul lungomare della città della Spigolatrice, per fornire ai giovani informazioni sui concorsi per accedere nell’Esercito ne è la dimostrazione”. 

 

 

Un pensiero su “Sapri: Premio Pisacane a don Aniello Manganiello ed al prof. Aniello Montano

  1. Come commento non posso che allegare una poesia di Basilio Santòcrile.

    ERAN TRECENTO

    “Eran trecento: eran giovani e forti: E son morti!”
    Gloria ai caduti da ambo le parti …
    ma sotto la bianca bandiera
    banditi … ad invertire le sorti.

    Banditi a difesa di un regno tradito,
    d’un volgo soppresso invaso straniero,
    soltanto canzoni, battaglie, ho udito.

    All’impari lotta di gente si spoglia …
    spogliata di tutto… tranne l’orgoglio
    ai pianti di donne stuprate su soglia.

    Di bimbi che piangon sepolte le madri amate,
    gli sposi l’accoglie il bosco, la spada, lo schioppo,
    non resta nient’altro che terre e case bruciate.

    Si danno alla macchia, combatton sui monti,
    difendon le prole, le spose, la patria, l’onore, il re,
    non furon chiamati soldati… soltanto BANDITI.

    Per questo da terra natia lontano
    furon soppressi nei lager
    fra Torino e Milano.

    Basilio SANTÒCRILE

    ( dal Volume POESIE -) Proprietà letteraria riservata di Basilio Santòcrile, viene consentita la riproduzione dei racconti poesie detti ecc.. per intero a mezzo stampa radio TV ed internet, citando l’ autori e il titolo del libro. – basilio.santocrile@libero.it. Fax 06/99331572

    Al che mi chiedo:
    …All’isola di Ponza si è fermata,
    è stata un poco e poi si è ritornata.
    E’ stata un poco? Un poco quanto?
    E a fare cosa?
    Ci dice tutto chi questa storia l’ha realmente vissuta e cioè la cittadinanza di Ponza e tra loro Don Giuseppe Vitiello, prete del paese.
    “Il 27 giugno del 1857 a Ponza vi era una gran calura, il mare era calmo e nel cielo splendeva un sole estivo senza precedenti. Alle ore 15 tutta l’isola era impegnata nella quotidiana siesta: i Ponzesi, i detenuti del bagno penale, i militari addetti alla loro sorveglianza, i relegati in semilibertà: tutti dormivano.
    Nella rada del porto, di fronte alla batteria “Lanternino”, apparve ed accostò lentamente una enorme e bella nave a vapore dal nome in oro: “Cagliari”. Non issava la bandiera tricolore, come dice il Mercantini, bensì la “bandiera rossa” di avaria alle macchine. Stancamente dal porto mosse una lancia che accostò all’inconsueta nave per parlamentare ed offrire assistenza secondo le regole marinare. Quella dell’avaria fu solo uno stratagemma per prendere degli ostaggi. E funzionò. Il Pisacane, accompagnato dai compagni armati di fucili e pistole, sbarcò con la stessa lancia aggredendo la guarnigione portuale ed intimando la resa, pena la morte degli ostaggi trattenuti sulla nave. Nonostante le minacce, alcuni militari del presidio reagirono prima di arrendersi generando un vivace conflitto a fuoco che causò morti e feriti. Gli echi dello scontro ruppero il silenzio pomeridiano e la gente, destata di soprassalto, raggiunse incuriosita le finestre, i balconi ed i tetti per osservare cosa stesse accadendo al porto. Il gran trambusto, gli spari, il fermento di uomini, divise e bandiere mai viste prima di allora fecero emergere nella mente dei Ponzesi un ricordo antico e tremendo: i pirati. Terrorizzati, cominciò un fuggi fuggi generale in un crescente panico che, in breve, fece perdere la calma anche a chi non sapeva cosa stesse esattamente accadendo. Isolani, militari e relegati in regime di semilibertà scappavano per ogni dove a cercare un nascondiglio sicuro. Mentre il Pisacane raggiungeva il quartier generale presso la Torre di Ponza, ponendolo in assedio ed intimandone la resa, i suoi compagni, Giovanni Battista Falcone e Giovanni Nicotera, issarono una bandiera rossa nella piazza principale e quindi, a gran voce, cominciarono a dar spiegazioni di quanto stava accadendo. Ripresosi dallo spavento si affacciarono timidamente dapprima i relegati in semilibertà e quindi i residenti che, comunque diffidenti, si mantennero a distanza di sicurezza.
    Ma quelle teorie politiche così lontane dalla realtà del popolo non attecchirono anzi causarono sgomento e maggior timore. Addirittura reazione quando il Falcone, con dire sicuro e sprezzante, inveì contro la religione, il re e le terre demaniali. I Ponzesi solo sette giorni prima avevano celebrato solennemente il Santo Patrono Silverio e le parole dissacranti del Falcone non piacquero affatto. Inoltre a Ponza, così come in tutte le regioni del sud, i contadini coltivavano le terre demaniali quali usi civici loro assegnati gratuitamente come beni provenienti dallo smantellamento graduale degli antichi feudi. Essi sfruttavano terreni dello stato in “enfiteusi perenne” tuttavia senza divenirne mai veri proprietari. Una specie di “sistema comunista” ante litteram. Sconvolgere quel delicato equilibrio, che comunque assicurava la vita, la pace e la giustizia sociale, spaventò i Ponzesi ancor più dei pirati tanto che, alla chetichella, lasciarono il luogo della riunione per vedere il da farsi. Intanto i rivoluzionari infervorati dai loro stessi discorsi parlavano di repubblica e di fantomatiche rivolte a Napoli, Roma, Genova, Livorno e Reggio Calabria ed alcuni militi della “compagnia disciplina” relegati a Ponza sembravano dar credito a quelle parole. Ma ciò non bastava a Pisacane: egli aveva bisogno di far scattare sul serio la scintilla della rivolta generale, non limitarsi a fare un comizio in quella semideserta ed ambigua piazza isolana. Avrebbe voluto cominciare proprio da Ponza la sua rivoluzione coinvolgendo la popolazione di quella sperduta isola, estremo confine dello Stato Napoletano, per poi sbarcare lungo le coste e propagare i moti. Pisacane ben presto si rese conto però che nonostante i suoi incitamenti proprio la popolazione non c’era. Ignorando i veri motivi di quella defezione, pensò di riuscire a coinvolgere tutti con l’azione e l’esempio innescando lui stesso la scintilla della rivolta. Per rendere la cosa più coinvolgente la scintilla la fece partire proprio da dove si governava la popolazione: gli uffici del Comune. Qui Giovanni Nicotera, futuro Ministro dell’Interno dello Stato Unitario, dopo essersi impossessato della cassa del Comune appiccò il fuoco agli archivi ed all’antica biblioteca dei monaci Cistercensi quindi, guidato dai relegati in semilibertà, fece il resto assaltando il dazio ed il giudicato (la pretura). Ma, com’era prevedibile, fu peggio: i Ponzesi presi da maggior sgomento si rinchiusero a doppia mandata nelle case e nelle caverne poste sulla sommità del Monte Guardia.
    Il Pisacane, innervosito, deluso e disperato dall’atteggiamento di quella “strana popolazione a cui non andava di rivoltarsi contro il tiranno”, aprì i cancelli del bagno penale della “Parata” che allora accoglieva circa 1800 delinquenti comuni.
    Una minacciosa turpe di individui invase vicoli e strade come un torrente in piena. I loro zoccoli crepitavano sul lastricato ed il brusio iniziale diventò man mano un vociare sguaiato e terrificante. Anni di lavori forzati, rabbia repressa mista ai più profondi e bestiali istinti avevano trasformato quegli uomini in belve dai lineamenti vagamente umani.
    Il paese fu messo a ferro e a fuoco da quei forsennati: gli spari, le violenze, le urla, i lamenti echeggiarono per molte ore. Il fumo soffocante degli incendi propagatisi fino ai vigneti ed agli uliveti delle colline, contribuì a rendere ancora più tremendamente infernale quella notte di anarchia.
    Il Pisacane, per inibire ogni reazione contro la sua operazione, si era preoccupato sin dallo sbarco di prendere in ostaggio il comandante della guarnigione Magg. Antonio Astorino ed i suoi ufficiali ma non pensò al prete: Don Giuseppe Vitiello. Questi, di fattezze minute ma di una furbizia ed un temperamento fuori da ogni immaginazione, comprese immediatamente la natura e gli intenti di quegli uomini. Già dallo sbarco, senza perdere tempo e, soprattutto, senza perdersi d’animo, si era dato da fare per creare una vera e propria linea difensiva a metà isola, raggruppando gendarmi e civili, impedendo così che il Pisacane ed i detenuti del bagno penale ormai liberi dilagassero su tutto il territorio isolano causando ben maggiori danni. Grazie alla prontezza del parroco, figura emblematica e vero eroe ponzese dimenticato, parte della popolazione poté mettersi in salvo raggiungendo anche a nuoto la zona nord dell’isola. Don Giuseppe, inoltre, ordinò un’incursione notturna per l’affondamento silenzioso delle imbarcazioni risparmiate dai rivoltosi ancora galleggianti ed all’ancora nel porto, per evitare fughe di massa ed, infine, organizzò un equipaggio che, con una lancia forte di 8 remi comandata da Ignazio Vitiello, partì alla volta di Gaeta per dare l’allarme e chiedere aiuto.
    Fallita la rivolta popolare, il Pisacane si preoccupò di reclutare tra i relegati stessi quanta più gente possibile per lo scopo primario della sua missione: lo sbarco a Sapri. Ma anche questa volta la sua delusione fu tanta. Oltre alla diserzione dei ponzesi, di quelle migliaia di detenuti solo pochi si fecero avanti e nei volti di quei pochi si leggeva l’unico e vero obiettivo: raggiungere il continente per darsela a gambe. La maggior parte dei forzati che accettarono di seguire la spedizione erano di Sapri e dintorni, essi si erano macchiati di crimini e violenze di ogni genere e pertanto condannati ad espiare la loro pena ai lavori forzati nel bagno penale di Ponza. Gli altri preferirono restare ed accontentarsi di quella inaspettata ed insolita festa. Infatti, molti relegati dopo aver abusato di vino, cibo, canti, balli e violenze si disseminarono lungo spiagge, grotte e campi per abbandonarsi in un profondo sonno. Molti altri, alle prime luci dell’alba, rientrarono prudentemente nel bagno penale. Fatto giorno lo spettacolo era raccapricciante, ma Don Giuseppe, come al solito, non si perse d’animo. Assicuratosi che il Pisacane fosse effettivamente ripartito, fece liberare il comandante della guarnigione, gli ufficiali, i graduati ed il resto della gendarmeria che immediatamente si diede a riacciuffare qua e la i relegati ormai fiaccati dai bagordi notturni. Si spensero gli incendi, si recuperarono le masserizie e le suppellettili, si risistemò alla meglio la chiesa, si recuperarono gli animali, si ritirarono su le imbarcazioni, si aprì l’infermeria ai feriti, si ripulirono le strade e le piazze, fu issata la bandiera sulla Torre. Nel frattempo arrivò una nave da guerra che sbarcò alcune centinaia di militari con il compito di completare la bonifica ed arrestare i più ostinati ancora barricati e nascosti nelle campagne e negli anfratti”.
    Quello che poi realmente successe dalle parti di Sapri e di Padula è un’altra storia. Una storia vera che può essere trovata su internet.

    Alecssio BARTOLINI

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