Salerno: Itinerari di Fede “San Gennaro e compagni martiri”

Salerno: Itinerari di Fede “San Gennaro e compagni martiri”

a cura di Don Luigi Aversa
Più volte ci sarà capitato in questi giorni di settembre di entrare nella nostra Cattedrale, nella chiesa simbolo della devozione dei fedeli salernitani, spinti da quel legame inscindibile con il santo patrono Matteo; ma chissà quanti, varcando la soglia di quello scrigno di fede e di arte, si è voltato in direzione delle cappelle della navata di destra, a cercare lo sguardo di un altro Patrono, del protettore privilegiato di un’altra città, eppure parte del Paradiso Salernitano: quel san Gennaro – martire anche lui ‘settembrino’ – la cui fede si tinge dei colori di un sangue versato per amore e che per amore
ancora oggi si ‘scioglie’ nella speranza di chi lo invoca.
È proprio il suo prezioso sacrificio diventa l’offerta che Egli innalza a Dio nella tela che orna l’altare della cappella Mazza: la prima delle sei cappelle che scandiscono il percorso della navata di destra secondo i tempi – senza tempo – della devozione locale.
Ricondotto all’alveo dell’accademia solimenesca, il dipinto (fig. 1) è stato, inizialmente, ritenuto un originale di Francesco Solimena, anche sulla scorta della testimonianza di Bernardo De Dominici, il quale, nel registrare l’operato a Salerno di Ferdinando Sanfelice – «che vi ha fatto infiniti disegni di fabriche»1 – , pone l’accento sui progetti di riqualificazione del Duomo, per cui «vi disegnò molti Altari di Cappelle, specialmente quello della famiglia Lembo, l’altro della famiglia del Pezzo, ed un altro per la famiglia Mazza, nella quale li fece fare un bel quadro di S. Gennaro dal Solimena suo maestro»2
.
Il confronto della raffigurazione salernitana con quelle del Solimena relative al medesimo tema, ha indotto il compianto Mario Alberto Pavone a riconoscere nella tela una «rielaborazione di stampo accademico» di modelli solimeniani, avanzando la possibilità di una attribuzione allo stesso Sanfelice: un’ipotesi tanto più credibile dal momento che «l’architetto, nel suo disegno, ne aveva già previsto la soluzione disegnativa»3
.
1 B. DE DOMINICI, Vite dei pittori, scultori e architetti napoletani, Napoli 1742-44, III, p. 656. 2 Ibid. 3 M.A. PAVONE, La produzione artistica tra Seicento e Settecento, in Storia di Salerno, a cura di G. Cacciatore, I. Gallo,
A. Placanica, Pratola Serra 2001, vol. II, p. 254. Il disegno della cappella si conserva al Gabinetto di Disegni e Stampe
del Museo di Capodimonte a Napoli (Inv. N. 1499), per il quale si rimanda a A. BLUNT, Neapolitan Baroque and Rococò
Architecture, Londra 1975, p. 190; R. MUZII CAVALLO, Disegni del Sanfelice al Museo di Capodimonte, in «Napoli
Nobilissima», 1982, XVIII, pp. 219-230. Presso il Museo di San Martino a Napoli si conserva il bozzetto preparatorio.
Cfr. P. LEONE DE CASTRIS, San Gennaro e l’arte napoletana, in San Gennaro tra Fede, Arte e Mito, catalogo della mostra,
Napoli 1997, p. 62.

Fig. 1 Ferdinando Sanfelice, San Gennaro, Salerno, Duomo, Cappella Mazza

L’immagine di san Gennaro, siglata dalla particolare torsione del capo che si accompagna alla rotazione degli occhi verso l’altro, permette di verificare la volontà di celebrare il Santo in una dimensione estatica, quale misura del privilegio da Lui goduto in forza del martirio. Una scelta, questa, in linea di continuità rispetto a una consolidata formula iconografica, la cui fortuna in ambito salernitano è attestata anche dalla tela proveniente dal monastero salernitano di San Michele Arcangelo (attualmente presso il Palazzo Vescovile), dove il taglio ravvicinato consente all’ignoto solimenesco di valorizzare il rapporto tra la muta preghiera del Santo e l’ampollina del sangue che porta al petto (fig. 2).

Fig. 2 Ignoto solimenesco, San Gennaro, Salerno, Palazzo Arcivescovile

Una linea interpretativa, questa, di stampo aulico tracciata sull’esempio fissato da Luca Giordano nell’esemplare della chiesa dei Gerolamini a Napoli (fig. 3) e supportata da una ricca letteratura agiografica che, proprio nel corso del XVIII secolo, trova il suo momento di massima fioritura, come ci testimoniano la Istoria della vita, virtù e miracoli di S. Gennaro Vescovo, e Martire… scritta dal Padre F. Girolamo Maria di S. Anna (Napoli 1707), il panegirico dedicato da Domenico Filomarini al Santo che sempre vive a gloria di nostra fede San Gennaro (Napoli 1711) e il racconto del Martirio di San Gennaro Vescovo di Benevento (Napoli 1786).

Fig. 3 Luca Giordano, San Gennaro, particolare, Napoli, chiesa dei Gerolamini

Potremmo parlare di un vero e proprio riconoscimento di valore, in linea di continuità con il radicarsi del culto ianuariano in ambito napoletano, soprattutto all’indomani della traslazione del sacro corpo dal Monastero di Montevergine a Napoli – avvenuta il 13 gennaio 1497 – e che portò alla realizzazione della Cappella del Succorpo del Duomo di Napoli, celebrata anche in forma poetica da Bernardino Siculo, nel componimento dedicato ai probi gesti del martiri famoso S. Gennaro4: il «divo de gran stima», «sancto electo / de Napoli patrono de gran stima, / sancto Jennaro de vita perfecto». Occorre sottolineare come in questa campagna cultuale, san Gennaro fosse in “buona compagnia”, affiancato dai mai dimenticati suoi commartiri a Pozzuoli.

È nota la vicenda che racconta dell’atto di carità che aveva portato Gennaro, vescovo di Benevento, alla chiesa di Miseno, dove era diacono il giovane Sossio per portargli conforto: un atto che provocò la reazione del giudice Dragonzio che ordinò l’immediato arresto dei due, oltre che del diacono Festo e del lettore Desiderio. I quattro, riconosciuti come cristiani, furono condannati “alle fiere” nell’arena di Pozzuoli, insieme a due laici, Eutichete e Acuzione, che avevano manifestato contro la sentenza. La pena venne poi commutata in decapitazione.

Nella celebre versione alla Cattedrale di Pozzuoli (fig. 3), Artemisia Gentileschi ferma, eternandolo, il momento topico del chetarsi delle fiere al gesto benedicente del Santo, motivando le reazioni di lode, come di curiosità, dei compagni.

Fig. 4 Artemisia Gentileschi, San Gennaro all’arena di Pozzuoli, Pozzuoli, Cattedrale

Anche la scelta del Ribera punta in direzione di una valorizzazione del portato salvifico dell’azione ianuriana, nel celebre rame per la Cappella del Santo nel Duomo di Napoli (fig. 4): qui, la testimonianza del sostegno divino – manifesto nell’atto di uscire illeso dalla fornace a cui Gennaro

 

4 Sul poemetto di Bernardino Siculo, cfr. F. STRAZZULLO, La cappella Carafa del Duomo di Napoli in un poemetto del primo Cinquecento, in Napoli Nobilissima ser. III, 5 (1966), pp. 59-71; G. LUONGO, Il poemetto di Bernardino Siculo su

  1. Gennaro, in ID. (a cura di), Munera parva. Studi in onore di Boris Ulianich, II, Napoli 1999, pp. 9-32.

 

era stato condannato dal prefetto Timoteo – provoca la reazione di, disordinato, spavento degli astanti, fissato nel volto del giovane che guarda in direzione dello spettatore, coinvolgendolo nell’evento.

Fig. 5 Ribera, San Gennaro esce illeso dalla fornace, Napoli, Duomo, Cappella di San Gennaro

 Ma sarà soprattutto la scena della decapitazione presso la Solfatara a segnare l’iconografia di san Gennaro, intervenendo, al contempo, a favore dell’affermarsi anche sul piano figurativo dei suoi compagni di martirio5.

Indicative risultano, in tal senso, le lastre d’argento di stampo tardo cinquecentesco (poste nel 1609 alla base del busto reliquario di età angioina)6, che, nel fissare un significativo precedente iconografico, risultano condizionanti per coloro che interverranno successivamente e porranno particolare attenzione al ruolo dei comprimari, come ci conferma la versione in marmo realizzata da Lorenzo Vaccaro per la chiesa di San Gennaro alla Solfatara di Pozzuoli7.

Il riferimento a Vaccaro non è casuale, anzi riveste una valenza determinante nella nostra prospettiva di analisi, data la commissione a Matteo Bottigliero di una serie di statuine da realizzare per la decorazione della cappella Mazza, attualmente conservate al Museo Diocesano “San Matteo” di Salerno8.

5 Ricordiamo, tra le varie versioni di ambito napoletano, quella di Domenico Gargiulo (Napoli, collezione privata), di Aniello Falcone (Napoli, collezione privata) e di Carlo Coppola (Napoli, Pinacoteca del Pio Monte della Misericordia), per approdare all’esito settecenteschi di Domenico Antonio Vaccaro (Napoli, chiesa della Concezione a Monte Calvario).

6 Napoli, Museo del Tesoro di San Gennaro.

7 Cfr. M. A. PAVONE, San Sossio di Miseno: da seguace a protagonista, in «teCLa», rivista on line dell’Università degli Studi di Palermo, 2014, n. 10.

8 Cfr. L. AVERSA, Museo “San Matteo” di Salerno. Le nuove sale espositive, Montecorvino Rovella 2019, pp. 87-89, con bibliografia precedente.

 

È nella Nota delle suppellettili della… cappella di San Gennaro, allegata al testamento di Diego Mazza (1746) che si trova la prima menzione delle quattro piccole statue, che, assenti nel progetto originario, sono state ricondotte a una fase successiva di intervento, documentata al 1725 e al 1728. I simulacri in marmo dei quattro compagni di San Gennaro – Desiderio, Festo, Procolo e Sossio – si pongono come un ideale completamento alla definizione di una celebrazione del sacrificio di fede del puteolano, restituendo, al contempo, la coralità del martirio.

I compagni di san Gennaro sono facilmente identificabili grazie ai nomi iscritti alla base di ciascuna statua: una soluzione riconducibile ai ‘consigli’ elargiti da Pompeo Sarnelli su «Come si debban dipingere le sacre Imagini» (1685); l’erudito riprende «l’antico uso dei cristiani», ricordando che questi «non venerano le dette immagini, se in esse non leggono i nomi del Santo e della Santa ivi dipinti».

La possibilità di sostenere l’ipotesi di una conoscenza delle norme fissate dal Sarnelli è offerta inoltre dall’attenzione alla resa iconografica, in funzione di una diversificazione dei ruoli ricoperti dai quattro martiri. Esemplare, in proposito, la scelta di raffigurare senza le vesti liturgiche il lettore Desiderio, così da distinguerlo dai compagni diaconi. Elemento comune è invece il poderoso volume, introdotto a favore di un «processo di valorizzazione del livello culturale del soggetto raffigurato»9.

 

9 M. D’ANGELO, Matteo Bottigliero. La produzione scultorea tra fonti e documenti (1680-1757), Roma 2018, pp. 298- 305, cat. 53.5.