Personaggi africani: impiegati nella pubblica amministrazione

Personaggi africani: impiegati nella pubblica amministrazione

Padre Oliviero Ferro

Tutti abbiamo a che fare con queste persone. Anche in Africa, naturalmente. Vengono piazzati in zone strategiche della città e dei paesi all’interno. Ci sono quelli alle dogane che controllano tutto quello che entra e che esce. Di solito si pagano le tasse e bisogna dimostrare che quello che c’è nei container, nei camion e in altri mezzi di trasporto, sia giustificato da documenti, da fatture. Però…si può sempre chiudere un occhio o anche due. Dato che i funzionari, alla sera, devono dare la relazione ai superiori e quindi anche il denaro ricevuto, ci si può sempre mettere d’accordo, dichiarando di meno, in modo che anche loro abbiamo un piccolo guadagno. Insomma tutti contenti o quasi. Da notare che queste persone rimangono sul posto di lavoro (es: in Congo) per alcuni mesi. Quando arriva l’ordine di andare in un’altra zona, dovranno svendere l’alloggio che avevano, mettersi in viaggio (magari centinaia di chilometri) e ricercare un nuovo alloggio. Non c’è niente di sicuro e insieme a loro, viene trasferita anche la famiglia. Il mettersi d’accordo è la concretizzazione dell’art.15 “se debrouiller (arrangiarsi). Infatti questo viene evidenziato da questa frase “il faut cooperer pour rèussir (bisogna cooperare per riuscire, cioè per ottenere ciò che si desidera)”. Quelli che lavorano al mercato, per conto del comune, fanno pagare le tasse a chi entra ed esce e chi ha il suo posto dove vende. Spesso sono le mamme che portano il frutto del loro lavoro che devono sottoporsi a queste richieste, oltre a quelle dei posti di blocco lungo la strada, dove la polizia esige la sua parte. Alla fine cosa porteranno a casa? Non c’è pietà. Bisogna pagare e guai a ribellarsi. Un’altra cosa che ci è successa all’inizio dell’esperienza missionaria in Congo. Siamo nel 1984. Andavamo alle Poste centrali per spedire le lettere e naturalmente si acquistavano anche i francobolli. Si sperava che tutto andasse per il verso giusto, cioè che quello che veniva spedito, arrivasse a destinazione. Ma spesso capitava che tutto ciò non si realizzava (gli impiegati pagati male e in ritardo, toglievano i francobolli e li rivendevano e naturalmente le lettere finivano nella spazzatura). Così ci è stato detto che quando portavamo le lettere, di farle timbrare nel medesimo momento, così si era quasi sicuri che partissero, non potendo più rivendere il francobollo. La cosa più interessante (non si sa se ridere o piangere? Era quando arrivavano i pacchi, sempre alle Poste centrali di Bukavu (capitale del Sud Kivu) dove c’era la casa centrale dei saveriani in Congo. Si andava a ritirare il pacco, ma prima si doveva pagare la tassa di giacenza. Poi ci veniva consegnato e…lo si poteva sollevare con un dito (anche se era scritto 3kg). Cos’era successo? Era stato aperto, svuotato e richiuso con lo scocc e quindi non si poteva protestare (cosa che succede anche oggi in qualche parte d’Italia, da qui il detto “mi ha fatto un pacco”). Per un a volta si poteva anche perdonare. Poi abbiamo cercato di trovare il rimedio e di fare arrivare i pacchi a Bujumbura, in Burundi. Si pagava sempre la tassa di giacenza, quella alle dogane…insomma i pacchi arrivano interi e…pieni.