Personaggi africani: missionario

Personaggi africani: missionario

Padre Oliviero Ferro

Tanti anni fa, la figura del missionario che si vedeva sulle riviste era un po’ originale. Aveva un cappello coloniale bianco in testa, una lunga barba, una veste bianca ed era attorniato dalle persone. C’era anche una barzelletta che girava. Un missionario, si racconta, aveva mandato una sua foto ai genitori, insieme a un gorilla. I genitori l’hanno guardata bene e gli scrivono “bella la foto. Ti abbiamo riconosciuto, perché avevi il cappello in testa…”. Al di là di questo, i primi tempi della missione furono molto duri, a causa della malaria, della non conoscenza della lingua, dei lunghi viaggi e delle strade mal ridotte. Ma il missionario non si fermava a questi particolari. Andava dappertutto, perché voleva far conoscere a tutti Gesù Cristo. Poi, piano piano, anche il modo di fare la missione è cambiato. Si è incominciato a conoscere le culture locali, ad apprezzarle, a chiedere la collaborazione di tante persone, a dare responsabilità ai laici. Insomma la “conversione” c’è stata anche per i missionari ed ha prodotto frutti. Certo, dirà qualcuno, che nonostante tutto, ci sono ancora guerre (e alcune molto sanguinose che continuano ancora oggi.

Ricordiamo il genocidio in Ruanda e Burundi, la guerra in SudSudan, , la guerriglia in Congo RDC, l’uccisione di sacerdoti in Nigeria…e mi fermo qui, perché la lista è lunga). Molti cristiani sono morti, dando la loro vita come testimonianza di fede, anche missionari e missionarie. Ma si continua, senza paura, sapendo che andiamo ad annunciare Qualcuno che ci ha detto di “andare in tutto il mondo” e ci ha promesso che non ci avrebbe abbandonato. Anche per me (nel 1984), quando ho mosso i primi passi nella missione del Congo), non è stato facile. Eravamo sulle rive del lago Tanganika, a Baraka (luogo dove nella seconda parte dl 1800, venivano raggruppati gli schiavi per essere portati in Arabia) e metà missione era sulle rive del lago. Si doveva, non solo andare con la Land Rover, o salire sulle montagne, ma anche prendere il battellino per farsi 130 km di lago. Abbiamo imparato a vivere con la gente, ad ascoltarli, a valorizzarli e ad imparare da loro, nella vita di ogni giorno, come è bello (anche se a volte faticoso) vivere da cristiani. E’ stato un periodo importante della mia vita che mi ha obbligato a mettere in discussione tante mie scelte, ma che mi ha aiutato a crescere e a non pensare solo a me stesso e ai miei progetti, ma a viverli insieme con la gente che il Signore mi aveva affidato. Ora che sono “in esilio” in Italia, penso sempre a loro e i ricordi sgorgano come acqua fresca e mi danno il desiderio, se Dio lo vorrà, di andare da loro a vivere qualche istante. Il “mal d’Africa” continua…