Personaggi africani: autista di pullman e pulmini

Personaggi africani: autista di pullman e pulmini

Padre Oliviero Ferro

Se ti capita di andare in un parcheggio di pullman, vedrai tanta animazione. Da una parte ci sono gli autisti che cercano i clienti, vendono i biglietti, caricano la merce, sia nel portabagagli come sopra il pullman. Dall’altra ci sono i venditori di mille cose, cominciando dal mangiare, bere, vestiti…La prima domanda da fare all’autista è la più semplice: “a che ora si parte?”. Ti guarda con una faccia divertita, come se venissi da chissà dove. “Appena tutti i posti saranno occupati” è la risposta e continua a vendere i biglietti. Può capitare che arrivi, all’ultimo momento, qualche personaggio importante (tipo : autorità militare, dipendente pubblico…) e allora l’ordine è: “Tutti fuori”. Lasciare il posto a queste persone, poi si può riprendere il proprio. Ma, a volte, succede che si rischia di perderlo, perché non c’è più posto. E allora? Si aspetta il prossimo. Poi finalmente si parte. L’autista va a tutta velocità, perché più viaggi fa, più guadagnerà. Ci saranno le soste lungo la strada, nei villaggi per mangiare, bere e…poi via fino alla grande città. La gente scende e l’autista con il suo collaboratore ricomincerà a vendere i biglietti per riprendere la strada del ritorno ed arrivare, spesso, di notte. Riposo, fatica? Non esistono.

Bisogna lavorare, altrimenti il tuo posto di lavoro verrà dato a qualcun altro che accetterà…questa schiavitù. Poi, come è capitato a me, quando ero in Congo e dovevo andare in Burundi, di fare l’esperienza dei pulmini. Si parte dalla città di confine con il taxi. Si arriva alla frontiera. Controlli, perdite di pazienza, collaborazione con i doganieri. Poi bisogna passare la “terra di nessuno”, quella che c’è tra le due frontiere. E allora c’è l’ebbrezza del mototaxi o del bicitaxi per 2 o 3 chilometri, sempre in posizione precaria sul sellino. Arrivo alla frontiera del Burundi. Controlli (vedi sopra). Io dovevo andare dal dentista nella capitale (Bujumbura). Non c’erano taxi in quel momento. E allora si aspetta l’arrivo dei pulmini in cui si dovrebbe salire. E qui la situazione diventa comica, diciamo così, ma soprattutto faticosa e che richiede una certa dose di fortuna. Teoricamente, diremmo noi, bisogna aspettare che tutti gli occupanti scendano con i loro bagagli per poi lasciare il posto ai nuovi passeggeri. Facile a dirsi. Ma per farla breve: che chi scende e chi sale nello stesso momento. Quindi bisogna aspettare il secondo o il terzo pulmino. Finalmente l’autista mi vede e preso da pietà, mi fa salire davanti, così posso partire. Vado dal dentista. Al ritorno, niente pulmino. Prendo un taxi, che più avanti verrà bloccato da una corda tesa del solito posto di blocco. Solita collaborazione con i poliziotti. Si arriva alla frontiera. Si prende il bicitaxi per la “terra di nessuno”. Alla frontiera del Congo, prendo un taxi. Mi accomodo dietro e scrack, il sedile, ormai troppo stanco, si rompe. Finalmente arrivo alla sede della Diocesi e racconto tutta la storia. Ci facciamo quattro risate. Non fanno male, ma fanno dimenticare l’avventura. La vita continua.