Avventure missionarie: il dentista

Avventure missionarie: il dentista

Padre Oliviero Ferro

Qui in Italia, basta telefonare, prendere l’appuntamento e, se sei fortunato, puoi andare dal dentista. In Africa, invece è tutta un’altra cose. Se hai mal di denti, ti devi informare dove si trova il dentista più vicino. Quando abiti in una missione, la prima cosa da fare, è avere un analgesico per sopportare o togliere il dolore. Se non passa, allora comincia veramente l’avventura. Quando ero in Congo, ho avuto due possibilità. La prima di andare al Nord, cioè fare un sacco di chilometri, salendo dalla zona del lago, passando alla pianura, fare la strada verso la montagna, arrivare alla città e prendere l’aereo a 4 posti (sembrava un’auto con le ali). Quanti chilometri e quante ore? Facciamo due giorni, se tutto va bene. I chilometri? ho perso il conto. Poi arrivati alla città di Goma (dove c’è un grande vulcano che ogni tanto si sveglia), mi accompagnano dalla dentista. E’ una giovane russa. Non ha l’ambulatorio dove ricevermi, ma la terrazza e su quella mi cura il dente. Naturalmente poi bisogna rifare il cammino di ritorno. Oltre tutto, avevo ricevuto via radio la notizia che mio padre (i miei genitori erano venuti a trovarmi) si era preso la malaria e quindi ero un po’ inquieto, anche se sapevo che le missionarie che avevano l’ospedaletto vicino alla casa parrocchiale, l’avrebbero curato. E così è stato. L’altra volta, invece è stato un po’ più complicato. Dovevo andare in Burundi, cioè passare la frontiera e quindi ci voleva il permesso per entrare. Nel frattempo il dente faceva male. Finalmente arriva il permesso. Vado con il taxi fino alla frontiera, poi nella terra di nessuno mi portano con la bici-taxi e infine arrivo dall’altra parte. Controlli di passaporto e permesso. Ma bisogna arrivare alla casa dei missionari e ci sono i pulmini che fanno la spola con il centro. Logica vorrebbe che quando arriva un pulmino, tutti i passeggeri scendono e poi i nuovi salgono, ma non è così. Mentre i primi cercano di uscire, gli altri entrano. Insomma una bella confusione. E io? Cerco di vedere come entrare, ma è complicato. Finalmente al terzo pulmino, l’autista che mi aveva visto, mi cerca un posto davanti e così riesco ad arrivare alla casa dei missionari. Poi mi accompagnano all’ospedale militare e il dentista, veramente bravo, mi cura il dente. Ma non è finita. Dopo il riposo, bisogna ritornare in Congo. Prendo un taxi. Ma dopo qualche centinaio di metri, c’è una corda stesa in mezzo alla strada con due soldati che chiedono qualcosa. Sono vestiti male. L’autista mette la sua mano nella loro e la corda sparisce e si va alla frontiera. Solita bici-taxi per la terra di nessuno. E infine arrivo alla frontiera congolese. Altro taxi. Mi siedo dietro e dopo qualche metro, il sedile quasi affonda e mi trovo a gambe all’aria. L’autista mi guarda con compassione. Io faccio finta di niente e arriviamo al centro della diocesi, dove avevo parcheggiato l’auto e racconto questa nuova avventura.