«Virtù» di San Giuseppe in San Francesco di Sales

don Marcello Stanzione

Da una prima lettura delle Opere di san Francesco di Sales, in cui emerge una grande devozione mariana e un profondo impegno a condurre i cristiani avanti sul cammino verso la sanità, può sorgere la doman­da: perché questo doctor amoris non ha ripreso anche la stimolante sollecitudine dei celebri autori del secolo precedente per comporre un’opera teologico-spirituale su san Giuseppe? Perché non si è ispirato a Gerson, a Bernardino di Siena? Avrebbe trovato nei loro libri una devozione equilibrata in cui si è cercato di com­prendere la figura di san Giuseppe, come uomo grande, perfetto, la cui dignità si raccoglie attraverso il suo rapporto con Gesù e Maria.

Con Francesco di Sales si entra invece nella spi­ritualità moderna. Egli sceglie tra i Santi alcuni esempi che possono essere utili alla formazione reli­giosa, a un’intima vita di preghiera e di amore di Dio. Ciò è necessario per arrivare a una generosa accetta­zione dei comandi di Dio. E qui è san Giuseppe che ci dà esempi che bisogna imitare. Per conoscerli, occorre leggere un Discorso di Francesco di Sales, pro­nunciato nella cappella del monastero delle Monache Visitandine da lui fondate, e una Predica tenuta nella festa di san Giuseppe, in cui viene presentato la vita virtuosa del padre di Gesù, ambedue pubblicati nel Trattenimento. Nel Discorso accennato egli sceglie il quadro storico dei fatti giuseppini, presenta la fuga in Egitto, la penosa partenza e poi il ritorno in Palestina. È ciò che l ‘angelo comanda a Giuseppe: Prendi il fan­ciullo e la Madre e fuggi in Egitto, poiché Erode vuol farlo morire. Oh! Questo si che, senza dubbio, fu un motivo di grandissimo dolore per la Madonna e per san Giuseppe! Oh, come l’Angelo tratta san Giuseppe da vero religioso! Prendi il Bambino, dice egli, e la Madre e fuggi in Egitto e fermati là finché io te lo dica…».

Che cosa è questo comando? «Il povero san Giu­seppe non avrebbe potuto dire: “Voi mi dite che io vada; non farò forse in tempo a partire domattina? Dove volete che io vada di notte? I miei bagagli non sono preparati; come volete che io porti il Bambino? Avrò le braccia abbastanza forti per portarlo conti­nuamente in un sì lungo viaggio? Ma che! intende­reste voi che la Madre lo porti meco a vicenda? Oh! Non vedete ch’ella è ancora giovinetta sì delicata! Non ho né cavallo né danari per fare il viaggio… E poi, non sapete che gli Egiziani sono nemici degli Israe­liti? Chi ci riceverà?»… Queste e altre simili cose che noi non avremmo mancato di addurre all’Angelo, se fossimo stati in luogo di san Giuseppe. Egli però non disse neppure una parola, per scusarsi di far l’ubbidienza, ma partì immediatamente ed eseguì quanto l’Angelo gli aveva comandato».

Per spiegare la generosità di san Giuseppe seguono tre considerazioni: «In primo luogo ci viene,insegnato che non si deve frapporre indugio né alcun ritardo in quel che riguarda l’ubbidienza.

La seconda considerazione riguarda la prontezza di Giuseppe ad accettare il comando dell’Angelo: «Va’, gli dice, e non ritornare sino a tanto che io te lo dica.

Da questo modo di procedere tra l’Angelo e san Giuseppe siamo ammaestrati, in terzo luogo, in quale maniera dobbiamo imbarcarci sul mare della divina Provvidenza, e cioè senza vettovaglie, senza remi, senza vele e insomma senza alcuna sorta di munizioni, lasciando così tutta la cura di noi medesimi e del suc­cesso dei nostri affari al Signore, senza riflessioni né repliche né veruna preoccupazione di quel che ci possa accadere.

Poiché l’angelo dice semplicemente: Prendi il Bam­bino e la Madre e fuggi in Egitto; senza dirgli per quale strada, né quali sarebbero state le previsioni per il loro cammino, né in quale parte dell’Egitto doveva andare e nemmeno chi li avrebbe ricevuti, né di che ivi si sarebbero nutriti. Il povero san Giuseppe non avrebbe avuto ragione di fare qualche replica?…

Bisogna ora passare alla terza considerazione, che è una ponderazione da me fatta sopra l’ordine, che l’Angelo diede a san Giuseppe di prendere il Bambino e la Madre e andarsene in Egitto, per ivi fermarsi fino all’avviso del ritorno. Veramente l’angelo parla molto brevemente, e tratta san Giuseppe da buon religioso.

Io concludo con la semplicità che praticò san Giu­seppe quando, per ordine dell’angelo, se ne andò in Egitto, dove era sicuro di trovare altrettanti nemici quanti abitanti erano in quel paese. Non poteva egli dire: Mi comandate di portar via il Bambino, ci fate fuggire un nemico e ci mettete nelle mani di mille e mille altri, che troveremo in Egitto, essendo noi Israe­liti? Ma san Giuseppe non fa riflessione alcuna sopra il comando, e perciò se ne va colmo di pace e di con­fidenza in Dio.

Per Francesco di Sales questi esempi sono da imi­tare perché sono il cammino verso una vera e amo­rosa venerazione di Gesù Bambino e di Maria.

Nella suaccennata Predica del 19 marzo Francesco di Sales offre poi una profonda spiegazione delle virtù di san Giuseppe. Inizia con l’interpretazione del Sal. 91, 12: Il giusto è simile alla palma. Essendo Giuseppe «l’uomo giusto», in lui vanno considerate come «con­venienti» «tre speciali prerogative della palma». E inizia la predica: «Oh! Quale Santo è il glorioso san Giuseppe! Egli è non solamente Patriarca, ma il corifeo dei Patriarchi; non è semplicemente Confessore, ma più che Con­fessore, poiché nella sua confessione sono contenute le dignità dei Vescovi, la generosità dei Martiri e di tutti gli altri Santi.

Dunque, molto a ragione egli è paragonato al pal­mizio, re degli alberi, il quale ha la proprietà della ver­ginità, quella dell’umiltà e quella della costanza del valore: tre virtù nelle quali il glorioso san Giuseppe fu molto eminente. Se si osasse stabilire dei paragoni, credo che molti sosterrebbero aver egli sopravanzato in queste tre virtù tutti gli altri Santi».

La prima virtù è virginità. «Fra le palme si trova l’albero maschio e l’albero femmina. Il palmizio, che è la pianta maschile, non porta alcun frutto, e tuttavia non è infruttifero».

Ciò riguarda Giuseppe, alla cui cura fu affidata la verginità di Maria. Per questo, Giuseppe non è stato «infruttifèro, anzi ha molta parte al frutto della palma.

Perché se san Giuseppe non contribuì ad altra cosa, per questa santa e gloriosa produzione se non la sola ombra del matrimonio, la quale preservava la Madonna dalle calunnie e le censure che le avrebbe apportato la sua gravidanza, egli ebbe però grande parte nel san­tissimo Frutto della sua sacra Sposa. Infatti, ella appar­teneva a lui ed era collocata vicino a lui come una glo­riosa palma accanto al suo diletto palmizio; e, secondo l’ordine della Provvidenza, non poteva né doveva pro­durre se non sotto l’ombra di lui e all’aspetto di lui. Voglio dire sotto l’ombra del santo matrimonio che avevano insieme contratto, il quale era diverso dagli altri, tanto per la comunicazione dei beni esteriori, quanto per la unione e congiunzione dei beni interiori.

Oh! qual divina unione tra la Madonna e il glorioso san Giuseppe! Unione la quale faceva che quel sommo Bene che è nostro Signore, appartenesse a san Giu­seppe così come apparteneva alla Madonna, (questo non già secondo la natura, che nostro Signore aveva preso nel seno della gloriosa Vergine, ed era stata for­mata dallo Spirito Santo del purissimo sangue di lei), ma secondo la grazia, la quale lo rendeva partecipe di tutti i beni della sua cara Sposa. Questa grazia faceva sì che egli andava meravigliosamente crescendo nella perfèzione a motivo della continua comunicazione che aveva con la Madonna; la quale possedeva tutte le virtù in così alto grado cui nessuna altra pura creatura può giungere. Tuttavia il glorioso san Giuseppe era quegli che maggiormente vi si avvicinava».

Questo fatto conduce a domandare: in quale grado possiamo pensare anche noi affinché la verginità come virtù ci renda simile agli Angeli? Quale verginità di «colui, il quale fu eletto dall’eterno Padre per custode della verginità di Maria, o meglio per compagno (poiché ella non aveva bisogno d’essere custodita da altri che da se medesima», può essere imitata da noi? «avevano fatto voto di custodire la verginità in tutto il tempo della loro vita, ed ecco che Iddio vuole che essi siano uniti con il vincolo di un santo matrimonio. Ma questo non certo per farli pentire del loro voto e revocarlo, ma, anzi, per conformarli e fortificarli l’un l’altro a perseverare. nella santa impresa; infatti essi riconfermarono il voto di vivere verginalmente insieme, in tutto il tempo della loro vita».

Qui Francesco di Sales cita l’ultimo passo del Can­tico dei Cantaci (lat. 8,9 per illustrare che «lo sposo usa termini meravigliosi per descrivere il pudore, la castità e il candore innocentissimo dei suoi divini amori con la sua cara e diletta sposa. Giuseppe vive e parla della verginità. Egli non solo non fu dato sposo alla Madonna per farle rompere il suo voto di vergi­nità, anzi, al contrario le fu dato quale compagno, affinché la purità di Maria vergine perseverasse più meravigliosamente nella sua integrità, celata dal velo e sotto l’ombra del santo matrimonio e della santa unione che avevano insieme.

Se la Santissima Vergine è una porta, dice ancora l’eterno Padre, non vogliamo che venga aperta; essa è una porta orientale, dalla quale nessuno può entrare né uscire. Al contrario, bisogna raddoppiarla e raffor­zarla con legno incorruttibile, cioè darle un compagno nella sua purità, che è il grande san Giuseppe; il quale doveva perciò sopravanzare tutti gli altri Santi, e anche gli Angeli e i Cherubini stessi, in questa virtù tanto eccellente della verginità, virtù che lo rese simile al palmizio come abbiamo detto».

Passiamo ora alla seconda proprietà e virtù che si trova nel palmizio.

Si tratta della giusta rassomiglianza e conformità tra san Giuseppe e la palma nella virtù della santis­sima umiltà. «La palma tiene rinchiusa i suoi fiori e non li lascia apparire finché l’ardore cocente del sole non venga a spezzare quelle specie di borse, dentro le quali sono rinchiusi; dopo di ché, subito essa fà vedere il suo frutto. Similmente fa l’anima giusta: essa tiene nascosti i suoi fiori, cioè le sue virtù, sotto il velo della santissima umiltà sino alla morte, nella quale nostro Signore li fa apparire al di fuori, poiché anche i frutti non devono tardare a comparire.

Oh! come il gran Santo di cui parliamo fu fedele in ciò! Non lo potremmo mai dire abbastanza. Infatti, nonostante la sua eccellenza, in quale povertà e abie­zione non visse egli tutto i1 tempo di sua vita? Povertà e abiezione, sotto le quali egli teneva celate e nascoste le sue grandi virtù e dignità. Ma quali dignità? Oh, mio Dio! Essere custode di nostro Signore, essere suo padre putativo ed essere sposo della sua santissima Madre. lo non dubito che gli Angeli, rapiti di mera­viglia, non scendessero a schiere per contemplare e ammirare la sua umiltà, quando egli custodiva il caro Gesù Bambino nella sua povera bottega, dove stava faticando, per nutrire lui e la madre, che gli erano affi­dati.

Non v’è alcun dubbio, che san Giuseppe non fosse più valoroso di Davide e più sapiente di Salomone; tuttavia, vedendolo ridotto all’umile mestiere di fale­gname chi, senza celeste lume, avrebbe potuto imma­ginarlo, talmente san Giuseppe teneva nascosti tutti i segnalati (ioni con i quali l’aveva favorito?

Certo, quale sapienza doveva avere, poiché Dio gli aveva affidato la cura del divin suo Figlio, eleggen­dolo a suo custode? Se i principi della terra hanno tanto sollecitudine (come cosa importantissima) di dare ai loro figlioli un precettore fra i più capaci, non ne avrà avuto altrettanta Iddio? Egli poteva fare che il custode di suo Figlio fosse il più compito uomo del mondo, in ogni sorta di perfezione, a proporzione della dignità ed eccellenza della cosa governata, che era il gloriosissimo suo Figlio, principe universale del cielo e della terra; e come si potrebbe mai credere che, aven­dolo potuto, non lo abbia voluto e non lo abbia fatto?

Non vi è, dunque, alcun dubbio che san Giuseppe non sia stato dotato di tutte le grazie e di tutti i doni, come richiedeva la cura che l’eterno Padre voleva affi­dargli, cioè l’economia temporale e domestica di nostro Signore e del governo della sua famiglia».

Questa constatazione conduce Francesco di Sales a considerare la Sacra Famiglia nel suo significato simbolico e mistico. E composta da tre, «i quali rap­presentano il mistero della santissima e adorabilissima Trinità. Non già che vi sia comparazione, se non in quello che spetta a nostro Signore, che è una delle Persone divine, perché quanto agli altri sono creature, però noi possiamo dire così che è una Trinità in terra la quale rappresenta in qualche maniera la Santissima Triade: Maria, Gesù e Giuseppe; Giuseppe, Gesù e Maria: Trinità meravigliosamente commendabile e degna d’essere onorata».

Una simile constatazione, tutta originale e sorpren­dente, apre il cuore umano ad «ammirare quanto la dignità di san Giuseppe era sublime e come egli era colmo di ogni virtù». Ma, d’altra parte, occorre riflet­tere su «quanto era umiliato e abbassato più che non si possa mai dire né immaginare. Un solo esempio basta per farcelo ben comprendere. Egli se ne va nel suo paese e nella sua città di Betlemme, dove a nes­suno, almeno che si sappia, venne rifiutato l’alloggio se non a lui; cosicché è costretto a ritirarsi e condurre la casta sua Sposa entro una stalla, fra i buoi e fra i giumenti. Oh! in quale estremità era ridotta la sua abiezione e la sua umiltà!

La sua umiltà era già stata la cagione, (come spiega san Bernardo) che egli fu in procinto d’abbandonare la Madonna quando s’accorse della sua gravidanza. San Bernardo continua a dire che san Giuseppe così ragionò fra se stesso: E che cosa è questo? lo so che ella è vergine, perché insieme abbiamo riconfermato il voto di conservare la nostra verginità e purità, al quale sono certissimo che ella non vuol mancare; l’altra parte io vedo ch’ella sta per diventare madre. Come si possono conciliare insieme la maternità e la verginità, ossia che la verginità non impedisca la maternità? Oh! Dio! certo deve aver detto a se stesso, non sarà forse lei quella gloriosa Vergine di cui par­lano i profeti, che concepirà e sarà madre del Messia? Ma, se è così, Dio non voglia ch’io rimanga con lei, io che ne sono tanto indegno; è meglio che segreta­mente l’abbandoni a motivo della mia indegnità e che non abiti più a lungo in sua compagnia. Sentimenti questi di un’ammirabile umiltà».

Sono tutti sentimenti, senza i quali non si può pra­ticare nemmeno la verginità. «San Giuseppe era dili­gente a tenere nascoste le sue virtù al riparo della san­tissima umiltà, egli aveva poi una cura particolaris­sima di nascondere la preziosa perla della sua vergi­nità; e perciò acconsentì al matrimonio, affinché nes­suno la potesse conoscere e così, sotto il Santo velo

del matrimonio, vivere più ignorato». Tutto ciò fa vedere in Giuseppe con quale perfezione riesce a pra­ticare l’umiltà. Lo si vede quando fu onorato da Gesù e la Vergine Madre gli mostra obbedienza, conformità alla sua volontà di amore secondo i suoi ordini. Per comprenderlo è però necessario «passare alla terza prerogativa che si nota nella palma, cioè: il valore, la costanza e la fortezza, virtù tutte che si sono trovate, e in grado molto eminente, nel nostro Santo».

Ora segue la terza virtù. «La palma ha una forza, un valore e una costanza grandissima più di tutti gli altri alberi; non per nulla essa è il primo di tutti. Dimostra della sua forza e costanza, non sottomet­tendosi né abbassandosi mai per quanto peso abbia da portare, perché salire in alto è il suo naturale istinto, e perciò lo fa, senza che ne la si possa impedire. E dimostra il suo valore nelle sue foglie, fatte a guisa di spade, cosicché pare abbia tante spade per combattere quante sono le foglie che porta.

E certo, molto a ragione san Giuseppe viene para­gonato alla palma, perché fu sempre oltremodo valo­roso, costante e perseverante, perché fu dotato di tutte queste virtù e le esercitò in modo eminente. Quanto alla sua costanza, la dimostrò in modo meraviglioso quando, avvedendosi della gravidanza di Maria San­tissima e ignorandone la cagione, mio Dio! quale ango­scia, quale noia e quale pena di spirito per lui! Tut­tavia non si lamentò in verun modo; non fu più severo né meno dolce verso la sua Sposa, non la trattò dura­mente, rimanendo così affabile e così rispettoso verso di lei come era prima.

Qual valore e qual fortezza non dimostrò poi egli nella vittoria che riportò sopra i due grandi nemici dell’uomo, il demonio e il mondo? E questo con la pra­tica diligente d’una perfettissima umiltà, come abbiamo notato, in tutto il corso di sua vita.

Quanto alla perseveranza, contraria a quel nemico interno, che è la noia (la quale ci è cagionata dal sus­seguirsi delle cose vili, umili e penose, da diverse disgrazie, accidenti, ecc.) oh! quanto questo Santo fu provato da Dio e dagli uomini stessi nel suo viaggio in Egitto!

L’Angelo gli comanda di partire prontamente e di condurre la Madonna e il carissimo suo Figlio in Egitto, ed ecco che subito egli parte senza proferire parola; non domanda: Dove andrò? Per quale strada andrò? Di che ci nutriremo? Chi ci riceverà? Egli se ne parte, forse con i suoi strumenti sulle spalle, affine di guadagnare, col sudore della sua fronte, il povero vitto per sé e per la sua famiglia.

Oh! quanto questa noia, di cui parliamo, lo doveva molestare. In Egitto non poteva fissarsi stabilmente in alcuna dimora, ignorando quando l’Angelo gli avrebbe comandato di far ritorno».

Dopo questa pratica della costanza, Francesco di Sales fa un confronto con Abramo per mettere in piena luce la perfetta «ubbidienza di san Giuseppe! L’Angelo non gli dice nulla riguardo al tempo che avrebbe dovuto fermarsi in Egitto, ed egli non cerca di saperlo. Secondo l’opinione più comune, vi dimorò cinque anni, senza mai informarsi circa il suo ritorno; ben sapendo che colui, il quale gli aveva dato ordine di andarvi, gli darebbe altresì l’ordine del ritorno, quando ne sarebbe giunto il momento. Ed egli era sempre pronto a ubbidire».

Certo, Giuseppe aveva tanti desideri di ritornare in patria e ciò a «motivo dei continui timori che gli cagionava il vivere in quella nazione. La noia di non sapere quando ne uscirebbe, doveva senza dubbio assai affliggere e tormentare il suo povero cuore, nondi­meno egli rimane sempre uguale a se stesso, sempre dolce, tranquillo e perseverante nella sua sottomis­sione al beneplacito di Dio, dal quale si lasciava in tutto guidare; poiché, essendo giusto, aveva sempre la sua volontà perfettamente congiunta e uniformata a quella di Dio. L’essere giusto non è altro che essere perfettamente unito alla volontà di Dio, conforman­dovisi sempre in ogni sorta di avvenimenti siano essi prosperi o avversi. Che san Giuseppe in tutte le occa­sioni sia stato sempre perfettamente sottomesso alla divina volontà, non v’è chi possa dubitarne».

E Francesco di Sales termina con l’accenno alla povertà generosamente praticata da san Giuseppe, «un povero falegname, il quale, senza dubbio, non poteva giungere a tanto che non gli mancassero molte cose anche necessarie, benché egli si affaticasse, con un affetto impareggiabile, per il mantenimento della sua famigliola!

Ma, ciò fatto, egli si sottometteva umilmente alla volontà di Dio, nella continuazione della sua povertà e abiezione, senza lasciarsi in alcuno modo vincere né abbattere dalla noia interiore, la quale, senza dubbio, gli doveva dare molti assalti.

San Giuseppe rimaneva sempre costante nella sot­tomissione, che (come tutte le altre sue virtù) andava continuamente crescendo e perfezionandosi. Altret­tanto avveniva in Maria Santissima, la quale ogni giorno acquistava un aumento di virtù e di perfezioni che a lei derivavano dal suo Santissimo Figlio. Gesù non avrebbe potuto crescere in cosa alcuna (poiché com’era nell’istante della sua Concezione, così è e sarà eternamente), ma faceva sì che la Sacra Famiglia andasse sempre crescendo e avanzandosi nella perfe­zione. Egli si comunicava alla sua divina Madre e, per mezzo di lei, e san Giuseppe».

Tutta questa descrizione, unita al pensiero che san Giuseppe ci protegge dal cielo ed assicura il cristiano devoto di «ottenere da lui (se si ha confidenza) un santo aumento di ogni sorta di virtù» e particolar­mente di quelle riportate in questo Trattenimento. Sono virtù da lui esemplarmente praticate, che poi fanno «meritare la grazia di poter godere nella vita eterna le ricompense, preparate a coloro che imiteranno l’e­sempio di san Giuseppe».

Le pagine riferite fanno comprendere a fondo l’im­portanza della personalità di san Giuseppe per intro­durre i fedeli nella spiritualità della vita devota. Era tanto necessario nella sua epoca, in cui l’atmosfera gravida di errori stava dibattendo la sana fede catto­lica e particolarmente i problemi più delicati della vita interiore. Illuminato dalla grazia divina Francesco di Sales contribuisce a uno sviluppo del josefinismo moderno, superando le antiche presentazioni sola­mente limitate alla vita e storia del Santo Patrono di Nazareth. Così ha lasciato una novità espressiva che grandeggia nel suo trattato di josefinismo spirituale, di attualità, con stile chiaro, ma nello stesso tempo facile, grazioso ed elegante. Ancora oggi appare attraente il suo insegnamento spirituale e fa ammi­rare la linea della sua ispirazione profonda ed esigente.