Donne: uguaglianza come suicidio?

Bianca Fasano

Sono state primariamente le donne a riflettere su se stesse ed operare dei tentativi, più o meno brillanti a seconda della realtà storico-culturale, di modificare in meglio il loro inserimento sociale. Le due parole più significative sempre in relazione a tali riflessioni sono state “differenza” e “genere” ed hanno condotto a una controversia teorica fautrice di un bipolarismo sulle scelte da effettuarsi nel cammino delle politiche di pari opportunità. Il passaggio da un tempo dedicato alle lotte per l’uguaglianza a quello attuale, partito con gli anni novanta, dove si promuove piuttosto una logica dell’integrazione, è stato necessario, dati i mutamenti profondi che sono stati operati per tentare di realizzare nel “mondo donna”, uguali forme e misure sociali, culturali, politiche e religiose, del “mondo uomo”. Ma non ci siamo ancora. Non nel mondo intero, almeno. Ma la lotta, alle basi è sempre stata per l’uguaglianza, nella convinzione che questa fosse la strada verso e per la conquista della soggettività. Essere. Inevitabilmente ci tocca ora chiedersi qualcosa di più preciso sulla natura di questo Soggetto, che la donna appunto vuole “essere”. Essere per essere uguale all’uomo? Con il femminismo dell’uguaglianza le donne hanno dimostrato appunto la volontà di essere uguali: ma uguali a chi, uguali in che modo ed a che scopo?

E’ giunto dunque il momento in cui la donna rivolga la sua attenzione al mondo in cui si trova a vivere, creato maggiormente dall’uomo che, appunto, dalla donna. Che civiltà è questa in cui la nascita ci ha condotte? Cosa significano i riti, i simboli, i fini, le aspettative nascoste e perché dovremmo farle nostre? Cosa sono queste professioni? Ci assomigliano? Le riconosciamo in quanto nostre e vogliamo davvero diventare ricche esercitandole?

“Dove, in breve ci conduce il corteo degli uomini colti? “[1]

In realtà inoltre, la donna si sente spesso costretta in un mondo di simboli che non le appartengono. E’ pur vero che il paradigma del gender  conduce ad interpretare le cause della disuguaglianza come insite in istituzioni sociali sessiste e in conseguenza vede nella loro abolizione o nella loro innovazione la strada più rapida e praticabile per la liberazione. Ma usando questa chiave di lettura evidentemente si dà grande valore agli aspetti materiali e sociali, trascurando in modo contestabile la dimensione simbolica della costruzione dell’identità sessuale, così come hanno denunciato le femministe della differenza e postmoderne. Occorre dunque agire alla base del problema, ossia sui meccanismi attraverso cui si rappresentano e vengono rappresentate, si identificano o vengono identificate appunto, le donne, prima ancora di combattere le istituzioni del patriarcato. In un sistema che si regge appunto, anche se spesso in modo subdolo, su un ordine simbolico, identificando il ruolo femminile ai vecchi stereotipi domestici, nessuna parità sancita costituzionalmente potrà essere di qualche garanzia. Adriana Cavarero, [2] il paradosso dell’uguaglianza si rivela nella doppia legge che “regolamenta” la donna: una, giuridica, che le impone il paradigma dell’uguaglianza, omologandola al paradigma maschile, continuamente contraddetta da un’altra, simbolica, che insiste nel rinchiuderla in stereotipi domestici. La strada dell’emancipazione, che ogni donna oggi può percorrere, dunque non deve passare soltanto per la volontà politica, realizzarsi solamente attraverso una sia pur necessaria scelta razionale,  ma tenere ben presente le complesse dinamiche dell’inconscio, dell’immaginario, dell’identificazione, che si profilano in molti “canali” del vivere quotidiano, compresi quelli radiotelevisivi. Non tenendo conto di questa doppia legge si corre il rischio che ogni  donna si trovi al crocevia di dolorose scelte e conflitti.

L’ideale sarebbe di potere contare sulla neutralità del soggetto. Mediante questo tipo di approccio femminista dovremmo illuderci di lavorare su di un soggetto neutro. Teoricamente il modello razionale umano a cui tendere nella strada dell’emancipazione e nella lotta per l’uguaglianza dovrebbe collocarsi insomma nettamente al di fuori della questione sessuale. Si dovrebbe potere dimenticare che storicamente lo statuto di soggetto sia stato destinato dagli uomini agli uomini  e sostenere che tale eredità sia in ogni caso correggibile.

Il pensiero contemporaneo e il femminismo della differenza non sono affatto convinti che possa davvero esistere un soggetto universale e neutro, capace di identificarsi e rappresentare un’umanità indifferenziata e di collocarsi al di fuori di qualsiasi specificazione sessuata. Molte femministe affermano al contrario che l’utopia del neutro rappresenti la trappola più insidiosa, non solo per il femminismo, ma in relazione ad ogni discorso di minoranza che accampi diritti di soggettività. Proclamando la possibilità di un soggetto universale, si correrebbe dunque il rischio di trasformare il maschile da discorso particolare, specificamente sessuato, a norma istitutiva di un’uguaglianza formale, per cui passino come “normali”, neutri e neutrali, le realtà che sono di fatto il frutto di secoli di esclusione delle donne dagli ambiti del potere e del sapere, e quindi strettamente connessi e compromessi con il patriarcato. Il Soggetto e la razionalità a cui si orienta il modello emancipazionista  appare quindi tanto compromesso con il maschile e tanto costruito ed attinente all’esclusione strutturale del femminile, da sembrare non emendabile. Osservando in questa ottica la lotta per l’uguaglianza diventa di fatto un suicidio, un canale attraverso cui le donne si condannino da se ad omologarsi alle strutture medesime della loro oppressione. Purché  non riescano a modificarle dal di dentro a proprio vantaggio. Risulta quindi, in linea di massima, illusoria qualsiasi prospettiva di individualità pura, spirituale, non inquinata dagli aspetti fisici e dall’autorità che è stata al comando per secoli e l’idea che la differenza sessuale, ossia l’essere donna o l’essere uomo, corporeamente parlando, possa divenire semplicemente un ornamento di facciata di nessun conto.

 [1] Woolf, Virginia, Le tra ghinee,  Milano, 1980

[2] Cavarero, Adriana, Il pensiero femminista, un approccio teoretico, in Adriana Cavarero, Franco Restaino, Le filosofie femministe, Torino, 1999