Roccapiemonte: ritorna all’antico splendore Villa Ravaschieri

Antonio Corbisiero

Ritorna al suo antico splendore Villa Ravaschieri di Roccapiemonte per merito di Enzo Coppola,  imprenditore di Nocera Superiore. Il Principe Giovanni Del Drago Fieschi Ravaschieri la vendette due anni fa insieme all’annessa Chiesa della Madonna dei Sette Dolori o di S. Vincenzo (opera dell’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice). Un gioiello dell’architettura classica immerso in un parco con piante secolari tra cui il pino marittimo più grande d’Italia. L’opera di restauro conservativo prosegue con celerità e il complesso dovrebbe essere pronto per l’inaugurazione tra maggio-giugno del prossimo anno. La residenza dei nobili venuti a Roccapiemonte dalla Liguria fu anche dimora di una splendida figura di donna dell’Ottocento, Teresa Filangieri, che nacque a Napoli nel 1826.  Il 19 settembre prossimo, a 110 anni dalla sua scomparsa l’Assessorato alla Cultura di Roccapiemonte, guidato dall’attivissima Luisa Trezza, le dedica un convegno presso il Centro sociale a cui parteciperanno tra gli altri, Carla Marcone, scrittrice napoletana che nel 2008 ha dedicato alla nobildonna Teresa Filangieri un romanzo dal titolo: Teresa e la luna. La scrittrice non lascia al lettore neanche un attimo di tregua; lo trascina in una Napoli ottocentesca con i suoi rumori, i suoi profumi, la sua gente. Alla Filangieri ha dedicato un libro anche la docente napoletana Valeria Iacobacci dal titolo: Io Teresa Filangieri. La nobildonna nacque a Napoli nel 1826 e nel 1847 sposò il duca Vincenzo Ravaschieri Fieschi. La sua attività filantropica ebbe inizio a metà secolo, quando  frequentava prestigiosi salotti nobiliari della capitale borbonica. La sua attività caritativa e dei suoi amici si univa alla passione per il teatro amatoriale: il ricavo degli spettacoli allestiti da Teresa, Paolina, Augustus e dai loro amici veniva destinato alla beneficenza. Anche i rapporti con i domestici e in genere con le classi povere erano improntati alla filantropia: Teresa e Paolina raccoglievano dalla strada ragazzi e ragazze cui insegnano a leggere e a scrivere e che educavano nelle proprie case come domestici (pratica ricorrente nella filantropia ottocentesca). Durante le loro villeggiature nel villaggio di Castagneto, le due amiche assistevano i poveri locali. In seguito Teresa, insieme al medico Calabritto, intraprese il risanamento di quel piccolo paese. Dopo l’Unità, la filantropia di Teresa uscì dai salotti e dalla sfera delle relazioni private per imporsi sulla scena cittadina e istituzionale. Durante il colera del 1873, il Comitato organizzato per i soccorsi le affidò l’organizzazione di cucine popolari gratuite. Nel 1879 iniziò a lavorare al suo progetto più ambizioso, nel quale – col consenso del marito – impiegò parte della sua dote: l’ospedale per malattie infantili (che poi si chiamò Santobono) intitolato alla figlia Lina, scomparsa, appena adolescente, nel 1861. La salma della bambina fu esumata 60 anni dopo, intatta. Si gridò al miracolo; fu poi sezionata, pare da un certo Alfonso, già fidato collaboratore di Teresa Filangieri e portata al Santobono a Napoli. L’ospedale era stato inaugurato nel 1880, avendo trovato finanziatori illustri, tra cui la coppia reale. Nel 1884, a fianco delle Suore della carità,  la Filangieri assistette le vittime del colera. Durante l’impresa etiopica, nell’età crispina, come dirigente della Croce rossa napoletana, accolse e curò i reduci di Adua nella sua villa di Pozzuoli. Accanto all’attività pratica, Teresa non trascurò la scrittura: da un lato quella rivolta a illustrare le istituzioni filantropiche napoletane, dall’altro quella più intima, epistolare e biografica. Scrisse “Lina” dedicato alla carissima figlia morta adolescente. Nel 1879 venne pubblicata la sua monumentale Storia della carità napoletana in quattro volumi. Nel 1903 in “Come nacque il mio ospedale”, racconta le vicende e l’attività di relazione attraverso cui era divenuta una figura di primo piano nella filantropia e nella società napoletane: tra i suoi amici figuravano i più celebri filantropi napoletani del tempo: Alfonso Casanova, Guido Palagi, Alfonso Capecelatro. Fu la sua ultima fatica letteraria: morì in quello stesso anno.