Italia periferia del mondo- il Politecnico di Milano cancella l’italiano

Giuseppe Lembo

Una notizia culturalmente non bella è quella che ci riferisce del progetto di cancellare la lingua italiana nel Politecnico di Milano. Dal 2014 la lingua ufficiale del Politecnico di Milano per le lauree magistrali ed i corsi di dottorato, sarà esclusivamente di lingua inglese. Siamo di fronte ad un errore madornale, pensato da Giovanni Azzone, Rettore dal 2010 e spalleggiato anche dal Ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ministro ormai con le valigie in mano, prossimo a cedere ad altri la prestigiosa poltrona del mondo della Scuola e dell’Università italiana. Ma è veramente possibile che a questo nostro Paese possa capitare di tutto e di più? L’ultima è di soffrire di un provincialismo assolutamente inopportuno. E a soffrirne non è la società italiana ammalata di populismo; è, strano a dirsi, il mondo del sapere italiano nei confini dorati del Politecnico di Milano, il cui rettore Giovanni Azzone  ha ben pensato di scrollarsi di dosso il terzomondismo della nobile lingua italiana, decidendo per questo, di cancellarne il corso, sostituendola con l’inglese, la lingua universale del mondo, la lingua con cui il mondo comunica più facilmente e più comodamente. Ogni Paese del pianeta Terra, da sempre ed ancora oggi si sente orgoglioso di potersi esprimere nella propria lingua; nella lingua, un tempo orgogliosamente definita lingua dei padri. Da noi, all’inizio dell’era globale, non è più così; da noi di fatto assolutamente “paesanotti” di mentalità e di comportamenti, abbiamo bisogno per comunicare la nostra cultura, le nostre capacità scientifiche e tecnologiche, di andare a disturbare la lingua anglofona, la lingua degli altri d’Europa, perché, trattasi di lingua universalmente conosciuta, mentre la nostra si dice, è ormai una lingua morta ed assolutamente invisa al mondo.

Al magnifico rettore Giovanni Azzone c’è, prima di tutto, da chiedergli se è questa la cosa più importante per il futuro tecnico-scientifico del suo ateneo.

Si è interrogato sul danno certo, prima di tutto, all’immagine che ne deriva per il Politecnico di Milano e per l’Italia intera, di fronte all’esigenza di dover dismettere la propria lingua, perché inidonea a trasmettere agli altri saperi e conoscenza scientifica?

Il fatto, così come evidenziato, non depone per niente bene né per il Politecnico di Milano, né per il senso di provincialismo profondo in cui è sprofondato il nostro Paese.

Non è possibile dismettere la propria lingua, delocalizzandola nel dimenticatoio o ancora peggio cancellandola, per il solo falso bisogno di sentirsi universali, linguisticamente parlando.

Quello che conta nel mondo della cultura, dei saperi e della ricerca scientifica e tecnologica non è il modo in cui sono dette le cose, ma il contenuto delle cose dette. Anche l’italiano, come da sempre ha saputo fare, ha comunicato al mondo cose importanti di cui il mondo ci è grati, facendole proprie e trasformandole nel linguaggio di appartenenza, senza pensare ad una universalità di espressione che è un falso, falso problema. Il problema non è la lingua con cui si dicono le cose e si esprimono i saperi, ma i saperi stessi. Bene, quindi, farebbe il Rettore Azzone a riconsiderare questa scelta di fare usare l’inglese come lingua ufficiale del suo ateneo, considerandolo per questo, automaticamente promosso ai piani alti del sapere del mondo. C’è da suggerirgli un impegno magistrale nel percorso educativo/formativo per i contenuti legati ai saperi tecnico-professionali; tanto, per il buon andamento del Politecnico milanese, una scuola italiana sicuramente eccellente che non può e non deve sentirsi in condizioni di inferiorità solo perché si parla e si scrive in italiano. L’italiano, una lingua, tra l’altro, in grande simpatia a chi viene in Italia per lavoro, per turismo e soprattutto per chi segue gli studi nel nostro Paese; in quanto tale è favorevolmente accettata e condivisa da tutti; studiandola, per tanti, diventa la lingua con cui si esprimono, vivendo così un’appartenenza interculturale fondamentale per il proprio futuro nella vita d’insieme e nella stessa professione. Niente da vergognarsi quindi. Al Politecnico l’inglese va usato per quanto basta; non è pensabile, comunque, rottamare l’italiano e sostituirlo con una lingua esterofila che non è la nostra, non ci appartiene e riduce il peso di una lingua italiana inopportunamente a mezzadria, se non del tutto cancellata. L’etero linguaggio non giova e non rappresenta assolutamente niente di utile per migliorare i saperi italiani che, umanistici, filosofici e/o scientifici che siano, devono essere necessariamente, espressi in italiano e non in altre lingue. Anche i saperi italiani devono avere il doc italiano; nessuno, come sta succedendo da noi, in altre parti del mondo, si sognerebbe mai di azzerare, cancellandola, la propria lingua, per usarne un’altra, considerata più di uso comune per i tanti stranieri del mondo che affollano il Politecnico milanese. A maggior ragione, trattandosi di un’utenza numerosa, gli universitari del Politecnico, per vivere in senso compiuto la loro esperienza interculturale oltre che formativa e di studi scientifici, è sicuramente un bene farli studiare ed esprimersi in italiano, un’opportunità in più per il loro futuro di professionisti del mondo. Settorializzare e ridurre le proprie conoscenze è un danno; non giova l’unidirezionalità linguistica. L’italiano può, tra l’altro, arricchire, migliorando i saperi acquisiti dai tanti del mondo che studiano al Politecnico milanese. Quest’impronta di unicità nell’universalità del tempo globale in cui viviamo è un vero e proprio suicidio per le tante diversità umane e di pensiero. L’ufficialità dell’inglese come lingua unica del Politecnico milanese proprio non serve. Caro rettore Azzone torni sui suoi passi e pensi a far crescere il Politecnico negli ambiti suoi propri degli studi formativi, ideativi, creativi e tecnologici avanzati, dando, tra l’altro, anche un forte contributo di italianità al sapere per una condizione umana che abbia la centralità dell’uomo in un cammino d’insieme consapevole, utile a cambiare ed a salvare questo tanto maltrattato mondo che, ovunque, soffre perché ovunque ammalato di uomo. Non me ne voglia Rettore Azzone. Da comunicatore autentico di fronte a questa notizia non ho saputo far finta di niente e manifestare come fanno i più, indifferenza. Da meridionale, ho ritenuto riflettere sulle scelte che a volte inopportunamente si fanno nel nostro Paese. Non c’è niente di rivoluzionario nella scelta a senso unico dell’inglese come lingua unica al Politecnico nella formazione universitaria per il raggiungimento delle lauree magistrali e dei corsi di dottorato. Meglio sarebbe un po’ di impegno in più sul piano della diffusione dei saperi, partendo dall’uomo e soprattutto dal pensiero universale dell’essere, un percorso del sapere universale nato al Sud nella scuola eleatica di Parmenide e di Zenone, oggi in forte crisi, perché ovunque si è ammalati di apparire, di un apparire sempre più assordante a cui si possono riportare tante scelte umane del nostro tempo, compresa quella del Politecnico di Milano che pensa di poter diventare università esclusiva del mondo, parlando e facendo parlare la lingua inglese.