Quando i media sbagliano…

Amedeo Tesauro

Delle ultime elezioni si è scritto così tanto, a ragione, che è difficile dire qualcosa che non sia stato già oggetto di discussione e controversie. Nello tsunami, è il caso di dirlo, che ha spazzato via tanti protagonisti della Seconda Repubblica generando il nuovo e impraticabile campo da gioco politico, a scomparire sono state anche le certezze falsamente acquisite dei mass media attraverso numeri mai come oggi controversi. Quotidiani, televisioni, riviste e siti internet, tutti nessuno escluso hanno attraversato la concitata campagna elettorale in trepida attesa ma con una certa sicurezza nel delineare tendenze e scenari futuribili. Bisogna riconoscere che i trend non mentivano: la rimonta berlusconiana, il graduale calo di consensi del Partito Democratico, l’ascesa di Grillo, il centro montiano che stentava a decollare, ecc. Le dimensioni di simili fenomeni, ovvero ciò che conta, hanno però colto impreparato chi aveva confidato nei dati promulgati per mesi, quasi giornalmente, dai vari istituti di ricerca chiamati in causa: che Berlusconi fosse in rimonta lo si sapeva, che chiudesse a meno di un punto percentuale del PD nessuno l’avrebbe immaginato; che il PD perdesse voti a ogni ora lo si constatava facilmente, che ciò segnasse l’ennesima debacle degli ultimi venti anni pochi l’avrebbero detto; che Grillo col suo Movimento avrebbe fatto il botto lo si dava per certo, che rischiasse di formare il governo con maggioranza alla Camera era fantascienza. Qualcosa non ha funzionato, e sotto attacco sono finiti i sondaggisti indiscriminatamente, senza distinzioni di sorta. Nel mezzo delle difese di circostanza, a mezzo stampa è arrivata anche l’autocritica di Piergiorgio Corbetta dell’Istituto Cattaneo che ha parlato di “gravi errori tecnici” e di sondaggi acquisiti “in maniera superficiale” con riferimento alle rilevazioni condotte su telefonia fissa in un paese con altissimo traffico cellulare (in particolare tra i giovani). I mass media, che dai sondaggi traggono linfa allo stesso modo dei politici, si sono ritrovati nello sconforto quando lo strumento principe a loro disposizione si è rivelato inefficace: le rilevazioni, talmente sovrane da generare il neologismo sondaggiocrazia (potere ai dati), hanno ingannato tutti. Persi in un circolo di autoreferenzialità hanno mancato di indagare con la giusta lucidità certe realtà, una su tutte l’ancora forte componente berlusconiana data per morta troppo presto, snobbando un fenomeno che seppur folkloristico negli aspetti resisteva forte condividendo per assurdo dei punti in comune col ciclone Grillo, trattato più seriamente ma con il timore che quel 20% attribuitogli non si concretizzasse alle urne (e difatti quel numero non si è rivelato vero…troppo basso). Della ventilata alleanza Bersani-Monti manco a parlarne, ora suona perfino beffardo l’accordo tra i due sconfitti della tornata elettorale. Il circo delle opinioni che contano, evidentemente, è fuori dalle dinamiche reali tanto quanto lo sono i politicanti accusati di cecità. Se i politici hanno fallito nello stimare le proprie possibilità, se sul banco degli imputati ci finiscono anche gli elettori (tutti, da quelli PDL legati a convinzioni vecchie a quelli PD incapaci di scegliere un leader in grado di vincere un elezione già vinta, passando per i grillini e le mille perplessità su di essi), i media non possono evitare un’autocritica sul come abbiano fornito rappresentazioni distorte del paese, lontano dalla pancia dello stesso.