Anders Breivik: sano di mente?

Giovanna Rezzoagli

E’ quasi trascorso un anno da quando il norvegese Anders Breivik si è reso responsabile della morte di settantasette persone. Militante di quell’estrema destra ultranazionalista che sembra aver infiltrato nel profondo le democrazie scandinave, Breivik sta affrontando in questi giorni il processo che lo vede unico imputato per i reati di omicidio plurimo volontario e strage.  In Italia poco si conosce dei movimenti ultraconservatori che agitano le giovani generazioni del Nord Europa. Decisamente troppo poco, altrimenti l’opinione pubblica non rimarrebbe indifferente  ai rigurgiti xenofobi e razzisti che di certo non sfuggono a chi segue i fenomeni sociali. Non abbiamo ancora avuto emuli a livello del giovane norvegese, ma anche noi abbiamo i giovani annoiati che si divertono a dare fuoco ai barboni. Altro non sono che le due facce della stessa moneta. Ma chi è Anders Breivik? Apparentemente un ragazzo normale sino allo scorso anno. Classe 1979, nato nel benessere della capitale norvegese, si autodefinisce uno scrittore, il cui scopo è quello di preservare la cultura norvegese dal demone della multiculturalità. Un patriota, un eroe, un uomo che ha sacrificato la sua esistenza per difendere la Norvegia dalla contaminazione culturale con i cosiddetti popoli inferiori. Non vi ricorda nessuno? Anche un giovane Adolf Hitler era ossessionato dagli stessi fantasmi. Narcisisti entrambi al livello più estremo, patologicamente paranoici, probabilmente soggetti antisociali sin dalla più tenera età. Un particolare che è emerso recentemente della vita di Breivik è dato dal pessimo rapporto con la madre, da lui considerata modello negativo in quanto sostenitrice dei diritti delle donne. Per lunghi anni il Breivik ha covato il suo odio ed ha nutrito le sue ossessioni, preparandosi meticolosamente per portare a compimento l’attentato di Oslo e la strage dell’isola di Utoya. Anni di addestramento militare, di esercitazioni al computer mediante appositi programmi di simulazione di guerra. Migliaia di ore passate davanti ad uno schermo per prepararsi a sferrare l’attacco finale contro i traditori del popolo norvegese. Anders non ha esitato, non ha avuto alcun dubbio. A suo dire, solo il rimpianto di non aver ucciso più persone lo tormenta. Già, perché Breivik appare convinto di aver agito per autodifesa, di essere nel giusto. Nel novembre 2011 una perizia psichiatrica lo ha ritenuto incapace di intendere e di volere, nello scorso febbraio un ulteriore accertamento psichiatrico ha ribaltato la valutazione, stabilendo che Breivik è certamente u soggetto disturbato, ma non in misura tale da non distinguere la realtà dal mondo di paranoie in cui ha trovato giustificazione il suo delirio. Sano o malato? Per chi non è addentro la psicopatologia è difficile comprendere. Il disturbo antisociale di personalità è molto diffuso, in genere chi ne è affetto tende a dissimulare il più possibile le proprie tendenze distruttive. Soggetti spesso molto intelligenti, traggono piacere nell’infliggere sofferenze, non in risposta alle pulsioni che animano il sadico, ma sostanzialmente per desiderio di vendetta nei confronti di una società che , a loro parere, li ha esclusi. Questa è la base su cui poi si costruiscono veri e propri deliri, che renderebbero effettivamente un soggetto incapace di intendere e volere, ma più frequentemente costituiscono il substrato per ideazioni nevrotiche, che non isolano il soggetto dal mondo reale. Il caso di Anders Breivik, che è e resta convinto di aver agito bene, che davanti ai giudici ha dichiarato tranquillamente che rifarebbe tutto ciò che ha fatto. Un mostro, qualcuno lo definirebbe. No, purtroppo quest’uomo non è un’aberrazione del genere umano, no affatto. Al contrario è semplicemente un esponente della razza umana che non ha avuto freni inibitori ai suoi impulsi più estremi. Di Breivik in giro ce ne sono moltissimi. Il saluto nazista, fascista, neonazionalista o come dir si voglia, il classico pugno chiuso a braccio teso, che Breivik ha dedicato a chi assisteva al processo parla chiaro. La società ha solo un modo pe difendersi: favorire al più presto le politiche di integrazione multiculturale. In Italia abbiamo molto da imparare in tal senso: dalle esternazioni leghiste al caso dell’ex assessore di Rapallo esautorato per aver fatto pubblicamente il saluto romano: defenestrato dal comune si, ma mantenuto a braccia aperte dal PDL.  Se questo è l’uomo…