“Orizzonti di Mezzanotte” di Ingenito 42° 21 agosto 2011, giorni- 21

 Parte  Quinta Dal Capitolo 42 Il canto del cigno nero Parte prima 07 luglio 2003 h. 3.30  – Base NATO Bagnoli Alcuni giorni di cella presso la sede NATO di Bagnoli non furono dopo tutto impossibili da sopportare. Dopo il suo trasferimento dal carcere di Salerno, Abdullah sperò ancora una volta in un colpo della dea bendata. Gli era andata bene a Miami e ora, chissà, per quale strano ragionamento generato dall’inconscio, auspicò un secondo colpo di fortuna. Ma non fu così. Aveva ucciso lui il suo Buon Samaritano, nello spirito e nel corpo, senza mai salire sul Monte Nebo. Non ce ne sarebbe mai stato un altro nella sua vita. Lo sapeva, lo accettava. Eppure lo sperava. Segno evidente di una pena e di un tormento infiniti. Quando, un paio di giorni dopo, lo svegliarono di soprassalto, alle 3.30 del mattino, realizzò quanto amari e irreali fossero stati per tutto quel tempo i suoi sogni. Fino a quel momento, infatti, anche a Bagnoli non era stato male. Un normale detenuto con tutti i diritti dei normali detenuti. Pasti regolari, ora d’aria, lettura dei giornali, cella singola, perfino la TV. Ma, dall’alba di quel nuovo giorno, capì veramente cosa volesse dire carcere duro e trattamento speciale. Fu buttato giù dalla brandina da un militare americano alto poco più di due metri per essere, poi, sollevato per le ascelle come un fuscello.— Giù, pezzo di merda mediorientale. Ora comincia il bello. Hai cinque minuti soltanto per fare i tuoi bisogni, lavarti e vestirti. Poi mi seguirai.Il siriano rimase frastornato. Quel bestione faceva sul serio. Lo avrebbe spezzato in due con le mani se solo avesse fiatato.Urinò a lungo prima di infilarsi la tuta alla meno peggio. Ma non riuscì ad andare oltre, nonostante lo stimolo. Guardò in faccia il suo aguzzino, che ricambiò con un ghigno. Rinunciò allora a liberarsi del tutto, lavandosi frettolosamente il viso. Non fece in tempo neppure a pulirsi i denti. Una manaccia l’afferrò per il collo trascinandolo verso l’uscita senza tanti complimenti. Caricato su una jeep in attesa nel cortile dell’area riservata ai militari USA, fu deportato in un’altra prigione, molto più piccola, situata in fondo all’immenso campus. Entrò nella minuscola cella priva di qualsiasi comfort, dal pavimento bagnato, con una branda priva di materasso e di coperte. Anche il cuscino mancava. D’improvviso, da uno dei tanti fori delle pareti, fuoriuscirono intensi getti incrociati di acqua gelata che lo travolsero, costringendolo ad inginocchiarsi sul pavimento.  Soffrì molto e a lungo per quella tortura durata una buona mezz’ora. Poi, qualcuno dall’esterno, per mezzo di un altoparlante a prova di timpano, gli ordinò di distendersi “sul letto” e di riposare.  Un’ora dopo ricominciò tutto daccapo. Con l’aggiunta di un interrogatorio lunghissimo, da cui uscì frastornato. Fasci accecanti di luce proiettati direttamente negli occhi resero insopportabile quella tortura.Domande a più voci lo ridussero in uno stato di sfinimento tale da non sapere più chi fosse, dove fosse, da quanto tempo fosse lì. Trascorsero, così, tre giorni tra privazioni inaudite: cibo scarno e immangiabile, docce gelate, sonni interrotti e permanenza in una cella bagnata, per giunta in compagnia di una grossa coppia di ratti. Profondamente prostrato, si rassegnò a collaborare definitivamente e senza più ritegno, venendo presto meno alla nobile causa alla quale si era votato e in nome della quale aveva tradito e ucciso. Fu a quel punto che comparve l’uomo di Miami. (…)