Puo’ uccidere l’ipnosi?

Giovanna Rezzoagli

E’ la domanda che negli States molti studiosi si rivolgono dopo la tragica morte del giovane George Kenney, suicidatosi il giorno successivo ad una seduta di  ipnosi cui era stato sottoposto dal Preside della sua scuola. Pur non sussistendo alcun legame diretto apparente tra il drammatico gesto e la terapia ipnotica, il dubbio sembra avvelenare il mondo scientifico, diviso tra chi elogia la procedura e chi invita alla prudenza. Cerchiamo di fare un minimo di chiarezza per ciò che attiene all’applicazione dell’ipnosi come terapia nel nostro Paese. Innanzitutto, chi è abilitato ad esercitare l’ipnosi-terapia, altrimenti conosciuta come ipnoterapia? Risposta concreta: un professionista laureato in Psicologia Clinica od un Laureato in Medicina con relativa specializzazione, da sottolineare che un professionista serio deve necessariamente essersi sottoposto egli stesso ad un percorso di ipnoterapia prima di poter esercitare questa metodologia sui propri pazienti. Ciò per sgomberare il campo da equivoci e per tutelare i possibili pazienti dall’affidarsi a personaggi che non hanno titolo (e quindi competenza) per applicare una tecnica che presenta anche alcuni rischi. Quali, in particolare? Soprattutto di slatentizzare problematiche sino ad allora silenti, o di contribuire a portare a livello cosciente ricordi e/o percezioni rimaste inconsce. Se il paziente non è affidato alle cure di uno specialista ben preparato a riconoscere i segnali di allarme derivanti da traumi che riaffiorano, i pericoli possono essere anche gravi. Nel caso dello studente statunitense, va sottolineato come il suo terapeuta fosse in possesso di tutti i requisiti di legge per applicare l’ipnoterapia, per cui non è da escludersi il malaugurato verificarsi di una triste coincidenza. Nel nostro Paese non sempre ai pazienti vengono adeguatamente esplicitati i rischi ed i benefici di un trattamento sulla Persona, sia esso di natura medicale che psicologica. Il cosiddetto consenso informato si riduce sovente in una mera formalità burocratica in cui si chiede al paziente di apporre una firma sotto uno scritto. Forte è ancora, nella nostra cultura, il potere suggestivo dell’Autorità, incarnata via via da diverse figure professionali. Molti soggetti restano in condizione di soggezione di fronte a chi rappresenta l’autorità, non chiedono o, se chiedono, si accontentano di risposte anche non ben articolate. Ciascuno di noi possiede il sacrosanto diritto a ricevere esaurienti e chiare informazioni su qualsiasi tipo di terapia cui possa essere sottoposto, col diritto di rifiutare ciò che non si ritiene giusto. Nel Counseling, per citare la mia diretta esperienza, si è deontologicamente obbligati a spiegare questo tipo di approccio alla Persona, spiegando chiaramente che trattasi di intervento socio-educativo di tipo relazionale senza alcun tipo di implicazione psicologica. Nel Counseling nulla viene imposto, si rispettano i tempi dell’utente, si ascolta e si supporta. Nessuna diagnosi (ovviamente: il counselor non è medico e non è psicologo), rapporto alla pari, massima trasparenza. Può sembrare poco rispetto ad altre tipologie d’intervento, in realtà non è così. Culturalmente siamo abituati a ricercare soluzioni e risposte più che ad essere sostenuti nell’interrogarci e nel trovare autonomamente le “nostre” risposte, e ciò rappresenta un deficit alla libertà individuale. Tornando all’ipnosi, personalmente credo che come tutti gli interventi psicologici abbia grandi potenzialità, ma anche molti punti oscuri, essenziale per chi opta per questa via rivolgersi ad uno specialista e non ad un ciarlatano (tanti ve ne sono) ed essere convinti dell’utilità per la propria persona di questa metodologia.

 

3 pensieri su “Puo’ uccidere l’ipnosi?

  1. Cara Dr Giovanna,
    Lei ci propone sempre articoli di grande spessore culturale, ma pur comprendendo , a modo mio, l’importanza della ipnosi, sono ben lungi dal capirne le cause e gli effetti che ne derivano da essa.
    Certo, la sua attività da Counselor ne deve sapere abbastanza sulla materia della ipnosi, visto che deve essere sempre a contatto con i problemi della gente che chiede aiuti anche psicologici- Ma spesso mi viene da pensare che anche ognuno di noi rimaniamo lontani dal mondo quando sogniamo ad occhi aperti, pensando a degli avvenimenti fantastici accadutici nella vita, sono momenti piacevolissimi e sbandiamo quando qualcuno ci sveglia da tale sogno. Si può rimanere incantati anche guardando scene campestre e villaggi bellissimi , allora mi fa capire che, forse l’ipnosi non dovrebbe far male , ma far provocare qualche senso di benessere o anche di malessere..
    Mi scuso per le stupidaggini che scrivo.
    Un abbraccio.

  2. Carissimo Alfredo, La ringrazio per il suo commento, che è utilissimo per spendere una parola sul sognare ad occhi aperti. Quella strana fantasticheria in cui si riposa la mente, il sognare ad occhi aperti, è in realtà una modalità che è vitale per il nostro cervello per riposare e rielaborare le nozioni. L’ipnosi è altro, ma purtroppo non posseggo le competenze necessarie per spiegare con precisione in cosa consista, col counseling non ha nulla a che vedere. Caro Alfredo, grazie per offrirci sempre ottimi spunti di riflessione. Sono le parole gentili le più preziose, più degli strepiti urlati. Se non erro si dice che fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce, purtroppo in pochi ascoltano le parole pacate.
    un abbraccio
    giovanna

  3. Premesso che non sono un esperto, vado a semplice logica. Se la coscienza ha rimosso qualcosa, non è che il nostro principio di conservazione non vuole fare affiorare ciò che è stato rimosso? Perdoni la mia superficialità, ma un rischio di suicidio lo vedo: dipende da ciò che forzosamente viene fatto affiorare.
    Con stima i miei migliori saluti
    Giangastone

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