Rovì: la forza del colore puro

Maria Pina Cirillo

Grandi superfici ricoperte da densi strati di colore che esprimono in maniera immediata l’essenza pura ed elementare della natura, tele come supporti non solo visivi ma anche tattili di una visione della vita che coniuga rigore razionale ed emozionalità allo stato primigenio, scenari che esulano da dettagli inutili o da meticolose rappresentazioni per sciogliersi in pensiero concreto,  per trasmettere il senso più pieno e profondo del mondo che è fuori e dentro di noi.  E’ questa il messaggio  totale e totalizzante che prende chiunque si soffermi ad ammirare le opere di Rovì che utilizza tutta la forza evocativa del colore per comunicare direttamente con le nostre emozioni ed i nostri pensieri. Le grandi tele monocromatiche, frutto soprattutto di una lunga elaborazione mentale prima che di una esecuzione formale, sono, anche la risposta pacata, ma non per questo meno forte, agli eccessi espressivi, alla ridondanza, alla profusione retorica e prolissa di tanta arte contemporanea. Con le sue opere, Rovì procede lungo la strada della semplificazione cromatica e del rigore esecutivo con la finalità dichiarata di un’arte minimalista capace di ritrovare l’essenza di ciò che ci circonda sotto gli inutili orpelli di una civiltà dell’apparire, degli artifici, delle finzioni. Utilizzando il colore non come elemento accessorio ma come materia palpitante  di vita propria, l’artista riflette sui rapporti tra armonia e disarmonia, tra vuoto e pieno, tra energia fisica e psichica. Le grandi superfici ricoperte da spessi strati pastosi di colore che si sovrappongono e si addensano fino a vivere di vita propria, acquisiscono così senso e consistenza, diventano messaggi subliminali che parlano al nostro io più autentico. Ci spieghiamo così la profonda empatia che ci porta verso opere apparentemente semplici, l’emozione che ci sorprende davanti alle grandi tele in cui un vento interiore sembra quasi muovere le superfici  facendo affiorare tesori inattesi. Attoniti, ci  interroghiamo davanti alla distesa sobria ed essenziale di un unico colore totalizzante da cui non emerge alcuna  disquisizione sull’immagine, alcun discorso sulla figura, alcuna esposizione sull’aspetto contenutistico, in cui i giochi di luci ed ombre, le ricerche di pochi movimenti a riempire di relativizzazioni l’assoluto, tracciano un disegno in cui la pittura, libera e senza aggettivazione di sorta, diventa unica e sola protagonista. Ci immergiamo in strani paesaggi privi di qualunque riferimento grafico-espressivo e ci inebriamo della forza pura dei colori che vibrano sulle tele: il rosso pieno e gonfio di vitalità, a volte tenero e disteso in superfici piane e rilassanti a volte aggressivo o graffiato e contorto in ondate sofferte, il nero inquieto ma non esente da linguaggi sussurrati attraverso le increspature, la ruvidezza, le irregolarità ma anche gli spazi setosi e traslucidi, che rendono la tela ad un tempo stesso scabra e morbida, i verdi oscillanti tra quiete visioni di paesaggi idilliaci e sottili malefici bisbigli di velenosi pensieri, i gialli vibranti di gioia di vivere ma anche schiacciati, plasmati, contorti in distese assolate e mortali, l’azzurro  pensoso, idilliaco e smaterializzante, ma anche narcotico e  impastato di aguzzi pensieri di morte silente. E poi i  mille solchi sottili che, come rughe sul viso di un vecchio saggio, sottendono una saggezza ed una conoscenza profonda; le onde e le increspature che tendono a scendere al fondo di una ricerca che, eludendo l’effimero e la superficie delle cose, si inabissi alla ricerca dell’autenticità nel suo senso più pregnante. E’ forse per questo che è così difficile immergersi in questi spazi colorati  ma anche così gratificante riaffiorarne con una più autentica consapevolezza di sé e del mondo in cui ci troviamo a vivere.