La cultura e i suoi compromessi

Ferdinando Longobardi

 “Alle volte, è meglio aver a che fare con uno che sia sopra a molti individui, che con uno solo di questi, il quale non vede che la sua causa, non sente che la sua passione, non cura che il suo punto; mentre l’altro vede in un tratto cento relazioni, cento conseguenze, cento interessi, cento cose da scansare, cento cose da salvare; e si può quindi prendere da cento parti”. Il manzoniano conte zio (zio del perfido Attilio) si prepara con questa riflessione a far capitolare un uomo di chiesa, il padre provinciale, superiore di fra Cristoforo, su una questione che pure dovrebbe stare molto a cuore all’alto prelato: la difesa del suo coraggioso sottoposto dalle trame di don Rodrigo e, appunto, del di lui cugino Attilio, i quali vorrebbero farlo trasferire il più lontano possibile; lo scopo è insomma quello di fargli sacrificare un principio di giustizia, proprio in nome di quei “cento interessi”, di quelle “cento cose da salvare” alle quali il religioso, che è anche uomo di alte responsabilità, non può non guardare con preoccupazione. E infatti alla fine il povero fra Cristoforo verrà trasferito. La cultura in Italia è un po’ come fra Cristoforo: partiti, sindacati e governi, avendo anch’essi cento interessi e cento altri pensieri nella mente finiscono sempre col sacrificarla sull’altare di qualche compromesso. Forse è inevitabile che sia così. È vero infatti che in tutte le grandi organizzazioni sono presenti anche individui pronti a combattere per la cultura con impegno e buona volontà: ma le decisioni poi, quelle ultime, le prendono sempre i “padri provinciali”, i quali non possono non barattare qualche principio in nome di contropartite più concrete, del mancato ottenimento delle quali sarebbero a maggior ragione chiamati a rendere conto. Troppo debole, la cultura, troppo fragile, troppo diversa dagli altri valori per poter entrare credibilmente a far parte, insieme ai più svariati obiettivi, del programma di un governo, di un partito o di una delle tante organizzazioni espressioni della cosiddetta società civile. Per difendere – e salvare – la cultura, quello che già c’è dunque non basta: figuriamoci poi per rivalutarla. Occorrerebbe per questo uno strumento apposito, che abbia come fondamentale e unico scopo proprio quello che per gli altri è solo un optional. Uno strumento cioè con finalità esclusivamente culturali. Se infatti fossero presenti, anche velatamente, altre finalità – politiche, economiche, religiose – non solo queste prenderebbero il sopravvento, ma di sicuro opererebbero anche una dannosa selezione nel già scarso numero di coloro che fossero disposti a mobilitarsi in difesa della cultura, poiché costituirebbero un elemento discriminante nei confronti di chi non le condivide.