Il senso della vita

“Morire è tremendo, ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile. “
Erich Fromm

Giovanna Rezzoagli

Questo pensiero del noto psicoanalista e sociologo tedesco racchiude in se l’essenza stessa del vivere. Racchiude la condizione di precarietà dell’esistenza e l’ineluttabile consapevolezza che di essa possiede l’essere umano. Unico tra tutti i viventi, l’uomo comprende la finitudine della propria vita, e si confronta con questa realtà durante tutta la propria esistenza. La parola magica è proprio realtà. Da essa si può tentare di fuggire, la si può negare, edulcorare, ignorare e persino modellare. Raramente la si accetta per ciò che, semplicemente, è: una componente del “qui ed ora”. A volte si vive del passato, per non soffrire, altre volte si vive proiettati nel futuro per la stessa ragione. Si inganna il trascorrere del tempo programmando giorni e settimane o mesi. Ci si rifugia in paradisi artificiali per sfuggire al dolore. Chi annebbia la propria mente, quasi sempre è spinto dall’esigenza di alleviare un dolore. Spesso si tende ad ignorare questo aspetto peculiare delle forme di dipendenza, che sono tante. Non solo le tossicodipendenze, ma anche tabagismo, alcolismo, gioco d’azzardo, shopping compulsivo, dipendenze sessoaffettive, ecc. Si fugge di fronte alla morte anche giudicando. Chi più chi meno, tutti prima o poi saltiamo su qualche scranno e giudichiamo, forse anche per distoglierci dai nostri pensieri. Naturalmente in tanti hanno provato a  definire o delineare il senso della vita, ma nessuno può offrire un modello universale. Ma se la vita non avesse senso, la nostra stessa esistenza collasserebbe su se stessa. E allora? Allora proviamo a vivere, sapendo anche che si, prima o poi moriremo. Il senso della vita? Ognuno potrà dare un senso alla propria come meglio saprà. Fortunato colui che, alla fine del proprio tempo, non avrà dimenticato che davanti alla morte siamo tutti uguali, indipendentemente da come si è vissuto. Probabilmente, questa stessa persona avrà anche vissuto senza cagionare ad altri ciò che non avrebbe voluto per se. Pensiero scontato e banale, forse, ma quante volte dimenticato?

5 pensieri su “Il senso della vita

  1. Pregiatissima Counselor Rezzoagli,
    complimenti per questo datato articolo che mi trova d’accordo rispetto al concetto di morte, soprattutto se anticipato da una frase del celeberrimo “Erich Fromm”.
    Riguardo alla sofferenza (compresa quella della metabolizzazione della morte), gli approcci sono molteplici; sempre tenendo presente dei livelli di “disagi” che porta comunque il sofferente, perché, come ben sappiamo, laddove sorgessero “patologie”, ebbene sappiamo che il professionista di genere da contattare dovrebbe essere lo psicoterapeuta o lo psichiatra.
    Relativamente alla sofferenza, adduco una frase di Umberto Galimberti tratto dal suo libro: “La casa di psiche. -Dalla psicanalisi alla pratica filosofica”, essa è la seguente: “La pratica analitica coglie l’angoscia nevrotica che ha la sua causa-colpa (in greco le due parole sono rese dallo stesso termine aitìa) nei trascorsi del sofferente, nel suo passato, nella sua biografia; la pratica filosofica coglie l’angoscia esistenziale che alle sue spalle non ha né una causa né una colpa, perché nasce dall’anticipazione della morte futura, di cui la sofferenza, come riduzione delle possibilità di vita, è segno e anticipazione”. Questa è altresì inserita all’interno del mio ultimo articolo dove tratto il “Counseling Filosofico” con uno stile di scrittura semi-serio, link articolo: http://www.gazzettaweb.net/it/journal/read/Discorso-semi-serio-sul-counseling-filosofico.html?id=179
    Spero che questo mio commento possa essere apprezzato allorquando arrivato anche in così estremo ritardo.
    Cordialmente.
    Francesco Iannitti

  2. Complimenti alla Counselor Rezzoagli che ha colto un aspetto di Eric Fromm che mi era poco noto. Il valore di ciò che si “ha” (tanto per parafrasare un po’ Eric Fromm” lo si percepisce pienamente solo quando si è perso qualcosa di indispensabile ma vissuto con indifferenza cenza “essere”. Ma la fenomenologia non cambia perché non cambia la coscienza etica a monte. Quindi, sabati sera, sballo e pasticche, niente vita interiore, rifiuto di qualunque lavoro modesto ecc. Una vita che, personalmente trovo vuota, futile e insulsa.
    Ma la reintroduzione obbligatoria di un servizio civile e/o militare obbligatorio per maschi e femmine di almeno un anno, non toglierebbe questo mezzo milione di giovani da tanti assilli? Ogni giorno il “sergente” di giornata troverebbe sempre qualche utile attività da fare svolgere, come la pulizia dei sottoboschi a perenne rischio di incendi, la manutenzione di tante strade quasi impraticabili per conflitti di competenze nella manutenzione, come la messa in sicurezza di tanti locali scolastici, come la pulizia di tante scuole dove il personale ATA non ha competenze specifiche e ci si affida a ditte esterne … Quanta mano d’opera a basso costo e quanta bella e sana gioventù valorizzata dal fare qualcosa di “utile” e non di “futile”. La contropartita? Facilitazioni in graduatorie di pubblici concorsi e/o, in generale, un lasciapassare credibile e affidabile per il mondo del lavoro.
    Cari Counselors, forse sono andato un po’ fuori tema e voi avrete letto Eric Fromm meglio di me, però i miei pensieri che qui ho espresso traggono origine dallo scritto della Counselor Rezzoagli e dal commento del Counselor Iannitti ai quali auguro sinceramente di affermarsi nella loro utile professione.
    Cordialità
    Giangastone

  3. Carissimo Collega, io credo che “ripescare” articoli datati dagli archivi telematici del giornale sia un segno di grande rispetto ed attenzione da parte Sua, cosa che mi onora particolarmente. La ringrazio per le osservazioni sempre fondamentali in merito alla nostra professione e soprattutto riguardo i nostri ambiti di intervento. Che non sono certo pochi, ma questo si comprende strada facendo. Io credo fermamente che occorra creare una cultura che aiuti a comprendere quanto sia fondamentale lavorare sulla parte sana di ciascuno di noi, per preservarla e per sostenerla. Mi accorgo che un enorme bisogno diffuso è quello di ricercare consensi mediante il confronto, medicalizare tutto o rendere patologici i sentimenti più naturali non aiuta. Il dialogo costruttivo è alla base di tutto. Spero non ci mancheranno le occasioni di confronto.
    Con sincera stima.
    Giovanna Rezzoagli Ganci

  4. Gentilissimo Giangastone, grazie per il commento. Spero di avere risposto in parte anche a Lei col mio commento al mio Collega. Se così non fosse, spero almeno di averle offerto spunti di riflessione. A presto.
    Giovanna Ganci

  5. Al collega counselor Francesco Iannitti. A proposito della pratica filosofica, fondamentale, come lei sa, è, a differenza della medicina e della psicoanalisi, il suo carattere non terapeutico; come scrive infatti U. Galimberti nel libro da lei citato, la pratica filosofica “Non crede che dal dolore si possa guarire, perché pensa che il dolore non è un inconveniente che capita all’esistenza come effetto di una causa conscia o inconscia a cui si può porre rimedio con una cura, ma ritiene che il dolore non sia separabile dall’esistenza e, in quanto suo costitutivo, non sia suscettibile di guarigione, ma governabile con la cura di sé”.
    Dal dolore esistenziale non si guarisce, come ben sapeva il Leopardi, che con la morte. Questo non toglie che il dolore si possa e anche si debba lenire, quello fisico con medicamenti opportuni, quello psichico con la consapevolezza di ciò che è inevitabile e contro cui è vano ribellarsi. E’ su questa consapevolezza dei nostri limiti che agisce, o cerca di agire, la pratica filosofica.Prima che sugli altri, come insegna Socrate, su noi stessi; magari con l’aiuto del counseling filosofico.
    Un cordiale saluto.
    fulviosguerso@tin.it

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