Comunicazione, media e religione

 

Anna Maria Noia

Dal 17 al 24 maggio di quest’anno si è potuta vivere, soprattutto da parte dei cattolici, la settimana dedicata ai media e alla comunicazione sociale e religiosa.Sotto i riflettori, puntati sulle modalità (ecclesiastiche e non) di fare informazione, di comunicare al meglio la cronaca e la religione, soprattutto i cosiddetti “nuovi media” (o per dirla all’inglese: “new media”).Tra questi, sicuramente occorre annoverare  e (ri)considerare Internet: “la rete delle reti”, oltre alla televisione che tra un po’ usufruirà del tanto decantato “digitale terrestre”, un dispositivo della trasmissione nell’etere più economico e vantaggioso della vecchia tv “analogica” (come siamo stati abituati a vederla dal 1955, anno delle prime sperimentali trasmissioni via tubo catodico e dei primi telegiornali, oltre ai famosi quiz di Mike Buongiorno…) e una modalità di avvicinamento ai programmi interattivi che già la pay per view e la tv on demand stanno attuando da circa un decennio. Dunque i mass media ancora alla ribalta, particolarmente in questa temperie di false informazioni, di tv spazzatura e di “veline”: con questo termine non intendiamo naturalmente “solo” le ballerine che “sculettano” dalla mattina alla sera vestite succintamente nei programmi, soprattutto nell’ambito delle reti più commerciali, ossia quelle più “libere” (apparentemente…) e per le quali non è previsto il pagamento del canone, ma proprio vogliamo utilizzare un termine prettamente giornalistico, siccome le veline erano – dapprima durante il fascismo poi anche oltre – notizie diffuse a livello politico e come “pastone” (altro termine giornalistico che noi usiamo nella nostra “articolessa”, indicante l’influenza del potere sul “quarto potere” – appunto la stampa – che si protrae oggi fino a Internet, il “quinto potere”…).E ancora una volta “sotto accusa”, sul “banco degli imputati” il “famigerato” uso-abuso dei mezzi di informazione, Internet in testa (con il problema della privacy), da parte di noi “normali” utenti, ma anche da parte dei più piccoli, che devono essere necessariamente tutelati all’entrata di tale mondo subdolo (preda dei pedofili che oggi pullulano anche e non solo ondine…) e non serve soltanto la “Carta di Treviso”.Perciò i vertici della Chiesa, già da tempo ormai attenti alle diverse forme di comunicazione in armonia con lo sviluppo sereno e la crescita culturale ma anche spirituale degli utenti, si preoccupano di vigilare ininterrottamente sulla giusta attenzione da dare da parte del popolo della tv e di Internet alla miriade di notizie che invadono quotidianamente il nostro mondo: si può tranquillamente affermare – senza tema di smentita – che ciò che non appare (in tv, in rete, ma anche sul cellulare, oltre ai giornali) non “è”, semplicemente non esiste. Così è nata l’idea di focalizzare l’attenzione sulla settimana delle comunicazioni sociali, da qualche tempo motivo di dibattito – sereno – e di discussione, di riflessione, sui più disparati temi che riguardano la comunicazione e il giornalismo. Un giornalismo certamente non (più) becero, urlato, ma rispettoso dei diritti umani e privo di protagonismo, che dia spiegazione ai più “ignoranti”, nel senso etimologico del termine e non come sinonimo di “analfabeti”.Un modo di fare notizia che sia servizio, come il Cristo servì il Logos, la Parola, che era egli stesso dal Padre alla croce.Come l’annuncio dello stesso Vangelo (“diviso” – anche se non è questo il termine giusto – in quattro parti, di cui tre “sinottiche”, cioè che narrano quasi similmente gli stessi avvenimenti, dovute alla scrittura degli evangelisti Matteo, Marco, Luca): Vangelo significa in lingua greca “buona novella”, “felice annuncio”.Ed è così che i religiosi, ma non solo, vogliono intendere il comunicare, una parola che come il termine “comunione” vuol dire: “rendere unico, nel senso di collettivo, l’esprimersi”.Così dovrebbe essere, affinché anche tutti quanti noi, dal primo all’ultimo lettore di giornali quotidiani, riviste, approfondimento e quant’altro, siamo sempre più informati con dovizia di particolari e con un vero “spirito di servizio” su ciò che accade intorno a noi e soprattutto – oggigiorno – sul globale, sulla scena e sul panorama internazionale; mentre i professionisti della notizia, ossia i giornalisti ma non solo (anche i bloggers e altri soggetti afferenti all’informazione) seguano l’esempio degli apostoli, mandati in tutto il mondo per recare la “buona notizia”, appunto il Vangelo, con molta umiltà e senso morale, per predicare il Logos, il Verbo incarnato. Così come volevano tanti santi di ogni epoca, di ogni grado ed estrazione sociale. Un esempio per tutti: don Giacomo Alberione, esperto in comunicazione, che fondò – non vorremmo però sbagliarci – la fiorente casa editrice S. Paolo, e che fece della propria esperienza e cultura socio-comunicativa una vera missione di vita.