Contemplativi a imitazione degli Angeli

Contemplativi a imitazione degli Angeli

don Marcello Stanzione

Gesù, nel Vangelo, lo ha insegnato chiaramente: “Attenti a non disprezzare nessuno di questi piccoli, perché in verità vi dico che i suoi angeli vedono continuamente in cielo il volto di mio Padre, che è nei cieli” (Matteo 18, 10). Gli angeli contemplano ininterrottamente Dio. E non solo quelli che gli stanno intorno e formano la sua corte, ma anche coloro che sono mandati ad altri ministeri. Già San Gregorio Magno spiegava ai suoi fedeli che, “quando vengono da noi, in tal modo esteriormente compiono le loro missioni, ma tuttavia non tralasciano di servire interiormente [il trono di Dio] con la contemplazione”. La visione beatifica, diciamo comunemente, è “il pane degli angeli.”

Perciò gli angeli si presentano a noi quali modelli contemplativi, e l’imitazione degli angeli sia la costante e santa ambizione delle anime desiderose della luce di Dio. Gli spiriti celesti, secondo Origene, si alimentano con la divina sapienza, perché è questa contemplazione che dà loro la forza necessaria per portare a termine le opere che gli sono peculiari; per questo si dice che gli uomini di Dio, volti alla contemplazione, sono commensali degli angeli; tale è il significato di quello del salmista: “L’uomo mangiò il pane degli angeli”. L’orazione contemplativa eleva l’uomo fino al grado d’onore proprio degli angeli. Ed è senza dubbio il desiderio di uguagliarli con la contemplazione, la ragione decisiva per cui Evagrio Pontico – per citare un più che insigne esempio – ha fissato in tal modo la sua attenzione sul mondo angelico, poiché l’angelologia è, di fatto, la chiave del sistema del filosofo del deserto. Gli spiriti celesti sono, per Evagrio, intelligenze pure, piene di “gnosi veritiera”; possiedono la “prima contemplazione spirituale”, questa è la contemplazione di Dio; la sua gnosi porta i nomi di Gerusalemme celestiale o Sion, tutti e due simboli della visione beatifica; la “prima contemplazione” o contemplazione della Santissima Trinità, costituisce il più prezioso di tutti i suoi beni. Come dunque gli spiriti celesti non saranno i modelli dei contemplativi che vivono anche in questo mondo?

La stessa immagine del Padre, che gli angeli vedono di continuo senza saziarsi mai, è la conclusione eccelsa della più alta aspirazione del cristiano, che si sforza e desidera ardentemente raggiungere la vera contemplazione soprannaturale: “Aspirando a vedere il volto del Padre che è nei cieli” – scrive Evagrio – “non desidera per nulla al mondo vedere alcuna forma o figura durante la preghiera”. Per questo, Evagrio non esita a dare all’uomo che arriva felicemente ad ottenere lo “stato di preghiera”, il nome di ίσαγγελος, che deve intendersi alla lettera – non solo nel senso di “simile agli angeli”, ma proprio “uguale agli angeli”.

La contemplazione rappresenta, allo stesso tempo, l’imitazione dell’attività più nobile degli spiriti celesti e una restaurazione della beata condizione dell’uomo nel Paradiso terrestre.

Sant’Atanasio afferma che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza affinché, conservando questa somiglianza divina, in nessun momento egli si allontana dal pensiero del Creatore, e nemmeno si separa dalla compagnia degli angeli. Il primo peccato distrusse lo stato paradisiaco, però per la grazia di Cristo possiamo riottenere quella contemplazione divina per cui l’uomo fu creato. Se l’anima vuole godere di questa contemplazione, deve staccarsi da tutto ciò che è materiale “isolata ed elevata come era al principio”. Solo allora “passando sopra tutte le cose che muovono i sensi e tutto ciò che è umano, è elevata nell’alto dei cieli e vede il Verbo, e nel Verbo, il Padre del Verbo”. Questa contemplazione sublime diletta l’anima, la rinnova nell’amore e nel desiderio di Dio, e fa sì che usufruisca della stessa fiducia che Adamo aveva con Dio nel giardino dell’Eden: “Allo stesso modo del primo uomo […] come si attesta dalla Sacra Scrittura, in principio egli era unito a Dio e beneficiava della compagnia degli angeli nella contemplazione delle cose celestiali che si godevano in quei luoghi e che il santo Mosè chiamò moralmente il Paradiso”.

San Gregorio Magno ha insegnato con chiarezza che la caduta dalle altezze paradisiache e l’ascensione della mistica cristiana sono in correlazione. “Le curve che descrivono le relazioni dell’uomo con Dio […] vanno dallo stato paradisiaco alla caduta del peccato, e risalgono, per la vita mistica, fino all’altezza della contemplazione”. Però San Gregorio mette in risalto soprattutto lo stato contemplativo di Adamo, il fatto di essere stato creato “per contemplare Dio”, e nello stesso tempo la triste realtà che “il genere umano, espulso dai piaceri del Paradiso, ha perso la forza della contemplazione”. Nella misura in cui l’uomo recupera la grazia perduta della contemplazione, prova una certa restaurazione dello stato spirituale di Adamo.