L’angolo della lettura: “I miei paradossi” di Cioran

Sergio Ruggiero Perrino

Qualche tempo fa è uscito un libro-intervista dal titolo I miei paradossi (La scuola di Pitagora editrice, pag.50, euro 4), in cui Emil Cioran, il più importante esponente della filosofia rumena del Novecento, si racconta al giornalista Leonhard Reinisch. L’intervista è stata rilasciata nel 1974 e trasmessa il 10 agosto dello stesso anno dall’emittente pubblica radiofonica Bayerischer Rundfunk. Eccellente è stata la traduzione ad opera della dottoressa Annunziata Capasso che fedelmente e scrupolosamente ha riportato in vita le parole di Cioran, nelle quali si avverte tutto il pensiero complesso e nichilista del saggista rumeno. L’intervistatore incalza il filosofo con domande pungenti. E Cioran, dall’alto del suo pessimismo cosmico, sfodera un pensiero tetro e malinconico, a tratti sia distruttivo che autodistruttivo. Il filosofo dice che ha “vissuto la vita come qualcosa di particolarmente problematico”. Da ragazzo, aveva circa 17 anni, pensava che non sarebbe diventato mai adulto. Cioran era convinto che le ansie e le preoccupazioni lo avrebbero portato al suicidio, come avvenne per il suo amico Paul Celan, il quale, nonostante fosse generoso ed altruista, era un uomo totalmente vulnerabile. Dopo una lunga sofferenza interiore Celan si tolse la vita. Cioran, durante l’intervista, nonostante la sua filosofia pessimista sembri quasi un’apologia del non vivere, ha però sempre rifiutato l’atto estremo, sostenendo che “la vita mi ha sempre interessato in modo tremendo”.  Reinisch gli chiede se nella sua filosofia ci siano delle affinità con il pensiero dell’esistenzialista Jean Paul Sartre. Ma Cioran taglia corto sostenendo che il pensiero nichilista dell’intellettuale francese sia “costruito” e dunque non veritiero. Paradossalmente, egli si sente più vicino ai filosofi cristiani, quali Pascal e Kierkegaard, nonostante non abbia una prospettiva religiosa. Anzi, spesso i libri di Cioran, per il loro contenuto forte, critico e dirompente sono stati vietati, come il famoso Il funesto demiurgo, bandito in Spagna. Eppure, come Cioran spiega all’intervistatore tedesco, egli ha vissuto un’infanzia serena grazie all’educazione del padre, pastore ortodosso. Negli anni Cioran ha avuto anche colloqui con esponenti della Chiesa cattolica, come con il cardinale gesuita Daniélou, nominato cardinale da Papa Paolo VI nel 1969. Cioran ricorda che, in uno dei colloqui con l’alto prelato circa il peccato originale, si rivolse a lui sostenendo che il cardinale fosse “troppo pessimista”, ricevendo da quest’ultimo una sorta di sorriso beffardo. Durante la conversazione alla radio tedesca, Cioran elenca alcuni autori della letteratura mondiale che lo hanno maggiormente interessato. Tra i tanti sicuramente Dostoevskij, perché nei suoi romanzi ha sempre descritto situazioni – limite.  Alla domanda del giornalista circa un’eventuale suo matrimonio, Cioran risponde in modo duro e nichilista: “come mi oppongo al cosiddetto progresso, allo stesso modo mi oppongo alla riproduzione”. Durante il prosieguo dell’incontro il filosofo si dichiara “eretico”, “asociale”, “sostenitore della fine della storia”, “apostata”, “scettico”, come il suo maestro: il filosofo greco Pirrone del III a. C.. Quasi a fine intervista gli viene chiesto circa il futuro dell’Europa e Cioran è categorico: “non militarmente, ma l’egemonia della Russia sembra inevitabile”, e poi probabilmente “il futuro appartiene alla Cina”. Il libro – intervista è un pugno nello stomaco. Dalle pagine del testo, magistralmente tradotto dalla dott.ssa Capasso, rivive pienamente uno dei personaggi più singolari e catastrofici del Novecento europeo. Un uomo scettico, nichilista, radicale, pessimista, sostenitore accanito della fine della storia. Cioran è stato un maestro del dubbio e della rovina. Un uomo dal pensiero ansiogeno, rovinoso e senza speranza. Un uomo disperato, che non ha voluto redimersi, nemmeno in tarda età. Un uomo, come suggerisce il titolo del libro, dai profondi e complessi paradossi.