I mali italiani

Giuseppe Lembo
Cui prodest, il “senza sapere italiano”? Non certamente al cittadino italiano che ne diventa tristemente, vittima sacrificale; un predestinato all’esclusione da tutto, da parte dei dominanti che preferiscono avere per dominati, i silenziosi del non sapere. Che fare, per invertire la rotta? Prima di tutto, cambiare la Scuola italiana! Altro che buona Scuola! È un vero e proprio disastro; è un’officina di un “non sapere” che, dall’interno e soprattutto per scelte cervellotiche, fa di tutto, veramente di tutto, per non essere strumento di utile sapere, al fine di far crescere il “cittadino-protagonista”, liberandolo dalla triste condizione di “cittadino- suddito”. È opportuno radiografare dal di dentro, con il massimo dell’attenzione, i percorsi della Scuola italiana. Purtroppo, la governance della Scuola italiana ha pensato ad adeguamenti scolastici basati sul presente, con percorsi poco saggi per una comune e diffusa crescita umana, sociale, culturale ed innovativa della società nel suo insieme. Pensando che al sapere ed ai percorsi del sapere poteva bastare la sola formazione del cittadino digitale, si è passati ad un’organizzazione scolastica falsamente nuova, con percorsi fortemente innovativi, che cammin facendo hanno cancellato gran parte del passato scolastico italiano. Il primo, grave, se non rovinoso intervento di cambiamento, ha riguardato l’opportunità di eliminare il latino, in quanto lingua “antica e morta”. L’obiettivo di tale cancellazione dal percorso scolastico del Liceo è stato quello di dare più tempo e spazio all’informatica. Già un grave precedente nei confronti dell’eliminazione del latino c’era stato nella scuola dell’obbligo. Il tutti uguali a Scuola; fu tale il principio dell’uguaglianza a Scuola inopportunamente adottato con la Scuola dell’obbligo. È stato questo, un danno, un danno grave per l’Italia, l’amaro frutto di inopportuni e poco saggi pregiudizi ideologici e spinte egualitaristiche assolutamente senza senso e dannose al futuro della Scuola italiana, sempre più orfana di saperi e soprattutto di quei saggi saperi della conoscenza che servono all’uomo ed al suo futuro, per costruire insieme un’umanità nuova, con le radici nel passato. Si è trattato di una grave ferita che non si è mai rimarginata; altrettanto gravi sono stati i danni per i “saperi italiani”, orfani di basi e contenuti di un sapere che naturalmente appartenevano e fortemente anche a quella “inutile lingua antica e morta”, come tanti soloni riformisti andavano inopportunamente e forse anche sconsideratamente predicando. La temporalità dell’hic et nunc, proprio non giova all’Italia che per salvaguardare il futuro, deve conservare e fare tesoro del suo patrimonio culturale, una grande risorsa italiana che, a partire dalle lingue “antiche e morte” è parte di Noi e come tale, non può essere cancellata, ma saggiamente deve diventare, secondo tradizione, parte del futuro italiano. I soloni del sapere, attentatori irresponsabili del passato italiano, quando sono in voga di fare sfoggio della loro “cultura alta”, si rivolgono alle lingue “antiche e morte”. Lingue, fortemente non morte ma vive; rappresentano in sé quella saggia continuità della cultura, della vera cultura con le radici nei veri saperi che non giova a nessuno cancellare, in quanto parte di Noi e quindi da conservare al futuro. Tanto, evitando quel farsi male che diventa sempre più un male di tutti e per tutti. Il latino, il greco ed i tanti autori classici che ne fanno parte non sono lontani da Noi; non sono estranei al nostro mondo, ma sono la parte preziosa e saggia dell’identità individuale e collettiva del nostro Paese che nanisticamente si fa male, cancellando i saperi che ci appartengono e quindi, quella continuità culturale con il passato, una grande risorsa per il futuro. La nostra mediocrità di pensiero e di pensiero del fare, è gravemente suicida. Mentre l’Italia, facendosi male, va cancellandosi al futuro, fortemente legato ai saperi, in altre parti della terra, Cina, Gippone, Stati Uniti, Gran Bretagna, c’è il risveglio per le lingue“antiche e morte”. C’è una crescente attenzione per i saperi del mondo (filosofico compreso) che, fiaccola della cultura, rappresentano il fondamento delle grandi istituzioni millenarie, un tempo care al nostro Paese. In questa parte del pianeta, si riflette attentamente sul dove va il mondo; con il suo fare, fortemente liquido, con difficoltà crescenti nel saper scegliere e decidere, occorre quell’umana saggezza che è difficile trovare nel presente sempre più “senza sapere”; sempre più, dal sapere negato. È il passato e solo il passato che ci può venire incontro, forte com’è dei suoi saperi identitari che partono dall’ESSERE e dalla conoscenza del Noi che non può assolutamente subire mutazioni innaturali con mutamenti di prospettive nel solo nome di una modernità liquida fatta di un apparire che, conducendo sconsideratamente attacchi all’ESSERE, pensa di poterne cancellare i suoi buoni frutti, il prodotto del pensiero positivo con alla base la buona vita umana, spesa alla ricerca di quella saggezza e virtù, sempre più lontana da Noi; sempre più lontana dal nostro confuso presente, poco attento ai saperi e dal pensiero assolutamente poco illuminante per la vita di tutti i disperati uomini confusi di un pianeta, dall’esistenza sempre più precaria e fortemente ammalata di UOMO, con un crescente, difficile rapporto di ogni individuo con se stesso.