L'angolo della lettura: IlTempo Materiale – Giorgio Vasta

Con le parole Giorgio Vasta ha un rapporto intimo, confidenziale; le sceglie con cura, le posiziona nelle frasi con precisione millimetrica, facendo attenzione ad ogni minimo dettaglio “i tegami, le ciotole, il brusio dell’idrolitina dentro la bottiglia, l’impotenza degli affetti che si spegne brulicando“, seguendo cioè quell’estetica immaginaria della forma e del suono, nella scelta dei lemmi – quel muoversi con disinvoltura tra sostantivi, aggettivi, locuzioni, quel passare del tempo nel linguaggio – che possiedono solo i grandi romanzieri. Vasta è un grande romanziere. Lo scopriamo fin dalle prime pagine de Il tempo materiale, il suo libro d’esordio, pubblicato da Minimumfax e arrivato tra i finalisti al premio Strega del 2009. Una storia raccontata in prima persona e ambientata nella Palermo degli anni di piombo. È il 1978. Nimbo, Scarmiglia e Bocca sono tre undicenni curiosi, intellettualmente precoci, costruttori di parole “mitopoietici”, si dira’, “criticiTetri. Lettori di giornali, ascoltatori di telegiornali. Della cronaca politica. Concentrati e abrasivi. Preadolescenti anormali“. Nulla di male se non fosse che i tre sono affascinati dalle Brigate rosse, attratti dalla lotta armata. Quest’insana passione li porta a rileggere dai giornali e a studiare nei particolari i comunicati dei terroristi “A prima vista la lingua delle Br è un animale mitologico. Un unicorno. Muscolare, sanguigno, poderoso, falliforme”. Le Br, dice Nimbo, sono un contagio, un’epidemia necessaria a un Paese tiepido, incapace di assumersi la responsabilità del tragico “il tragico è in grado soltanto di generarlo ma poi lo volge in farsa…in questo momento l’italia è percorsa dal contagio….prova piacere ma non può ammetterlo. Non è decente“. Nimbo è un bambino segretamente crudele, che si diverte a vedere agonizzare insetti e lumache “di solito le schiaccio senza ucciderle, per creare l’impasto di corpo molle e sbriciolaturaper guardarle agonizzare mobili“. È un piacere sentirsi colpevole, dice Scarmiglia a chi gli chiede che senso ha rubare un pacco di sale tanto per. I tre amici si radono il cranio per sembrare inquietanti, e ne vanno fieri “Tutti prima o poi dovrebbero conoscere il proprio cranio, toccarlo con i polpastrelli, misurarlo a spanne con i palmi aperti contorcendo le braccia per completare il perimetro“. Ora sono una cellula terroristica “tutto deve diventare responsabilità e costruzione. Pulizia e rigore” ripete Scarmiglia, l’ideologo del gruppo. ‎Violenza diventa la parola d’ordine “La violenza ha il coraggio della colpa e la coscienza del dolore“. Ma rasarsi il cranio non basta, servono “azioni socialmente incompatibili“. La cellula ha bisogno di una struttura, di una strategia, di un addestramento. Dopo le facce i tre decidono di cambiare i loro nomi, ne scelgono altri, di battaglia: Raggio Volo e Nimbo, in una sola parola “NOI” Nucleo Osceno Italiano – così si firmeranno nei comunicati scritti con l’Olivetti 22, in perfetto stile brigatista – e di dotarsi di una grammatica dell’agire. Ventuno posture ispirate a film e personaggi della tv diventeranno il loro alfabeto muto “l’alfamuto”: il calcio all’indietro di Cochi e Renato “Lo sciocco in blu” significherà “odio”; il salto della staccionata di Nino Castelnuovo nello spot dell’olio Cuore indicherà “l’andare oltre”; la seduta goffa di Giandomenico  Fracchia “comprendere, capire le cose”; la morte avrà invece la postura di Aldo Moro, quella del cadavere rannicchiato su un fianco nella Renault 4 rossa. Il passo successivo sarà esplorare il territorio, conoscere i nomi delle strade, dei negozi, le fermate degli autobus, le cabine telefoniche. Occorre osservare, prendere appunti. Si, ma per fare cosa? Contro chi? Chi è il nemico? Il nemico e un’ipotesi, è una “nostra” invenzione “l’unico nemico perfetto è quello  che generi tu stesso“. I primi atti vandalici contro la scuola fanno da rodaggio a un percorso articolato e ben studiato che spingerà i baby brigatisti ad alzare sempre di più il tiro, facendo precipitare quel gioco assurdo in tragedia. Il tempo materiale è un romanzo drammatico e commovente, un’opera prima intensa, folgorante, scritta in un italiano sublime, con uno stile asciutto e ricercato. Vasta è bravo a farci rivivere le suggestioni di un periodo che per il nostro Paese è stato culturalmente fecondo, ma anche ostile, vorticoso, cupo, feroce. Per tante ragioni, una stagione unica ed irripetibile. Per me che nel 1978 avevo gli stessi anni dei protagonisti, leggere questo romanzo è stato come viaggiare a ritroso, tra i ricordi dell’infanzia, vissuta come quella di Nimbo in una città del sud: Napoli e Salerno come Palermo, la spiaggia di Paestum come quella di Mondello. Immagini sbiadite che scorrendo le pagine del libro hanno ripreso forma e sono ritornate nitide: i compagni di scuola, i mondiali in Argentina con Bettega e Paolo Rossi, Enzo Tortora e Carosello alla tv, La febbre del sabato sera con le canzoni dei Bee Gees, l’Acqua Velva di papà sulla mensola del bagno, i cantautori impegnati che non andavano a Sanremo, gli zoccoli del Dott. Scholl, l’assassinio di Aldo Moro. Vasta ha scritto un romanzo di formazione originale, fuori da ogni schema, insolito e sorprendente come il flusso di coscienza e l’introspezione elaborati da un bambino di undici anni. Un libro filosofico e un po’ fiabesco che riannoda i fili della grande letteratura di Sciascia, Buzzati e Pasolini. “Uno dei più importanti romanzi apparsi in Italia negli ultimi dieci anni” scrive il Times Literary Supplement sulla quarta di copertina.