Manifesto programmatico del movimento laicale secondo Giuseppe Lazzati

  don Marcello Stanzione

In generale il pensiero di Giuseppe Lazzati ( 1909-1986) sul laicato parte da premesse già acquisite, quelle del Concilio Vaticano II, per giungere ad esplorare aspetti e dimensioni del problema non ancora accertati. E il Concilio nella “Lumen Gentium” n. 31 afferma che i laici fanno parte a pieno titolo del “popolo di Dio” che di conseguenza, essi non sono inferiori quanto a dignità e vocazione alla perfezione né ai chierici, né ai religiosi ma, partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo; per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano; infine essi hanno come vocazione propria quella di cercare il Regno di Dio  attraverso le cose temporali, ordinandole secondo Dio e agendo così all’interno del mondo  a modo di fermento. Egli spiega che quando si parla di cose temporali non si dice nulla di astratto o di diverso da “quelle che costituiscono il tessuto quotidiano della vita dei laici (vita di famiglia, lavoro, rapporti sociali, economia, politica, divertimenti ecc.) che fanno “luogo teologico” della loro santificazione e oggetto della missione redentrice della Chiesa, operata appunto attraverso i laici”. Dunque per il laico vivere nel mondo non è soltanto una condizione sociologica ed esistenziale, ma assume una precisa valenza teologica, perché è la via attraverso cui si realizza la specifica santificazione laicale; il mondo non è una prigione da cui evadere, ma lo “spazio teologico” in cui vivere e dove il laico raggiunge la pienezza della sua identità. Per egli dire “laicità” significava semplicemente affermare che tutte le realtà temporali hanno una propria consistenza ontologica, cioè esse hanno un loro valore intrinseco e seguono leggi proprie secondo la volontà stessa di Dio creatore. Perciò le leggi e gli strumenti propri delle realtà temporali non vengono dedotti né mutati dalla fede ma, essendo iscritti nella natura, sono attingibile con la sola ragione umana. Lazzati affermava che il comando divino di assoggettare la terra comporta la conoscenza razionale del mondo e delle sue leggi, e che la realtà temporali nella loro complessità potranno essere fatte servire all’uomo (come esige il disegno di Dio creatore), solo   rispettando, da un lato, la loro legittima autonomia ed evitando, dall’altro, di farne un assoluto, di considerarle fine a se stesse. I credenti sono chiamati a impegnarsi con tutti gli uomini di buona volontà nell’edificazione della città eterna, rispettandone l’autonomia delle leggi e degli strumenti propri, sforzandosi però di mantenerli sempre aperti  Dio e alla realtà trascendente. I laici cristiani, perciò, raggiungeranno la loro perfezione, non imitando la spiritualità propria dei monaci e del clero, ma vivendo la propria spiritualità di uomini che, immersi nel mondo e attraverso l’impegno secolare, non sono distolti dalla vita interiore, anzi ne sono aiutati a mantenere vivo il contatto con Dio nella preghiera e nella vita sacramentale e liturgica. Il movimento laicale auspicato dal Lazzati aveva alla sua base un solido fondamento cristologico ed ecclesiologico. Tutto ciò che Dio aveva fatto era buono e l’uomo intelligente e libero era chiamato a collaborare con Dio creatore, per portare a pienezza l’opera della creazione divina. Ma con l’ingresso del peccato nella storia, tutto si capovolge, l’uomo non ha più la capacità di ordinare il mondo secondo Dio, perché ha perduto il criterio fondamentale di ordinazione, che è l’obbedienza al Creatore. Tuttavia, questa situazione di grave turbamento del rapporto uomo – mondo non resta il punto definitivo della storia umana dio è fedele al suo progetto di creazione; perciò, interviene nella storia dell’uomo con l’incarnazione del suo Figlio e così riconduce l’uomo alla pienezza della sua virtualità, innalzandolo a quella dignità sublime che lo porta ad essere figlio nel Figlio e ad agire secondo la legge propria del Figlio, che è l’obbedienza al Padre. Nel Verbo incarnato in ragione della sua obbedienza al Padre, vissuta come legge essenziale di vita, viene restaurato il disegno originario di Dio e perciò quanto più una vita è sintonizzata su Cristo tanto più si diviene capaci di portare avanti il disegni divino della creazione. Questo compito di portare avanti nel tempo e nello spazio la realizzazione del progetto divino di creazione e redenzione è affidato alla Chiesa che diventa sacramento di rinnovamento di tutto il mondo che è, a sua volta, il luogo dove si compie la missione della Chiesa. Tale unica missione della Chiesa è compiuta per mezzo di due funzioni:

a)      quella sacerdotale, attraverso la quale la grazia di Cristo fluisce dal capo alle membra del corpo, rigenerandole alla vita divina mediante il ministero della parola, dei sacramenti e del ministero pastorale;

b)     e quella laicale, destinata ad ordinare le realtà temporali secondo Dio.

Questo impegno nelle realtà temporali è il mandato di Dio all’uomo, come legge costitutiva della sua vocazione, ma, stante il peccato, non è più realizzabile in senso pieno, secondo il progetto del  creatore. Solo all’ “uomo nuovo” in Cristo è restituito tale possibilità ( e ciò è opera della Chiesa). Per egli l’impegno secolare è l’azione tesa a costruire e a gestire la polis, la città dell’uomo affinché essa corrisponda alle vere esigenze dell’uomo e gli consenta di raggiungere (come singolo e come società) la pienezza della propria personalità. Tale impegno secolare è il risultato di due momenti distinti sul piano logico:

 

a)      il dominio del cosmo:

b)     l’organizzazione sociale che però nei fatti costituiscono un processo unitario.

La specificità dell’impegno secolare del cristiano rispetto gli altri uomini sta nel rifiuto del peccato e della triplice concupiscenza dell’avere, del piacere e del potere, di cui parla S. Giovanni. Perciò Lazzati sottolinea l’intenzionalità in base alla quale l’uomo opera nel costruire la città terrena: chi ispira il suo impegno all’amore, vincendo l’avidità e l’egoismo, opera nella linea della crescita vera dell’uomo; chi invece s’ispira alla ricerca del potere per il potere e dell’affermazione egoistica del proprio io, lavora a costruire una città dell’uomo contro l’uomo stesso. Per evitare ciò, egli suggeriva di riconoscere il primato della dimensione morale nella costruzione della città dell’uomo. Se la scienza, la politica, l’economia, la tecnica vengono separate dall’etica, se non hanno come fine proprio quello di rispettare l’uomo nella sua natura di essere razionale, esse si trasformano ineluttabilmente da forze di promozione umana in forze di autodistruzione. Ora il metodo per attuare un impegno secolare cristiano coerente ed efficace è quello che, secondo Lazzati, s’ispira al “principio dell’unità dei distinti”.

a)      in base al criterio dell’unità, va rigettato il dualismo che alcuni introducono tra piano temporale e piano religioso, quasi che la vita domestica, professionale, sociale, politica non abbia nulla che vedere con la vita di grazia. Tutto ciò è un distacco mortale perché l’impegno secolare trova proprio nella vita di grazia quella linfa vivificante, che lo fa progredire sicuro nel senso voluto da Dio per il bene di tutta l’umanità.

b)     In base al criterio della distinzione, va rigettata la confusione tra i due piani, temporale e religioso, quasi che la fede s’identifichi con la cultura, con la politica, con la città dell’uomo.

Perciò non è lecito strumentalizzare la politica, l’economia, ecc., ma vanno rispettate sia l’autonomia dei loro fini e mezzi propri, sia la loro intrinseca laicità. Inoltre il legittimo pluralismo delle opzioni temporali non solo non è un male, ma addirittura è un elemento dinamico, che spinge i credenti ad attuare in modo più creativo il disegno di Dio, a porsi sempre sulle frontiere della storia senza paura del nuovo. Un’ultima parola deve essere spesa sulla “mediazione culturale” che è, per egli, il passaggio obbligato per chiunque voglia ispirare cristianamente le realtà temporali; si tratta di realizzare una sintesi creativa tra quanto di valido è stato elaborato dalle generazioni precedenti (lasciando il cadere senza rimpianti ciò che è morto e ha fatto il suo tempo) ed il nuovo che nasce nella storia e dalla storia: “Guai – afferma Lazzati -, se la cultura cristiana non venisse costruita attraverso un processo di mediazione culturale. Vorrebbe dire condannarla (e anche svuotarla) in un fissismo di principi ideali, incapaci di misurarsi con la dinamica del divenire storico, perché non incarnata nel qui e ora di una determinata situazione. Sicché è proprio della mediazione culturale dare l’idea d’una via, d’un cammino da percorrere per costruire un’autentica cultura cristiana che ha sempre la forza e l’efficacia di passare dalla ideazione alla realtà”. Lazzati ha sempre affermato: “non si supera il Vaticano II prima di averlo applicato”; perciò egli riteneva urgente non tanto ipotizzare nuovi orizzonti ecclesiologici, quanto piuttosto realizzare quelli del vaticano II, in particolare promuovendo un laicato che fosse pienamente cosciente del suo battesimo (= sacerdozio universale) e della conseguente sua missione specifica nel mondo (= ordinare la realtà temporali secondo il piano di Dio). Perciò egli non condivideva la tesi del teologo Bruno Forte, che oggi è arcivescovo di Chieti e ha ricevuto incarichi importanti da papa Francesco per i sinodi sulla famiglia, che tutta la Chiesa è “laica” , né il suo modo di presentare la laicità nel libro “La Chiesa icona della Trinità”. Egli critica soprattutto l’affermazione di Forte in tale libro che “la riscoperta dell’ecclesiologia totale porta con sé l’esigenza di  superare non solo la divisione della Chiesa in due classi, ma anche la connessione specifica laici – secolarità”. Tutto ciò era proprio l’antitesi del pensiero centrale di Lazzati e perciò come afferma la Goldie: “Nel momento in cui, perdendo la specificità del significato per la quale il fedele è chiamato laico, attribuisco alla chiesa, nella sua globalità, la qualifica di “laico” , no n aggiungo nulla alla conoscenza della sua natura e invece perde il valore della nota che caratterizza nella Chiesa un momento tipico della sua azione redentiva, quello cui, per loro vocazione attendono i fedeli per questo chiamati laici”. In conclusione, certamente anche la riflessione lazzatiana è datata; ma non c’è dubbio che se egli fosse vissuto un altro po’ ancora, avrebbe atteso a questa o quella ritrattazione di qualche idea delle sue opere. Non avrebbe però minimamente intaccato l’impostazione di fondo del suo discorso sulla laicità nella (ma non della) Chiesa e sull’ecclesialità del laicato (ma non in forza dei ministeri, bensì del carisma o triplice munus battesimale). Perciò, spiacenti per mons.  Bruno Forte, ma Lazzati non avrebbe “superato la teologia del laicato con quella dei ministeri, né l’ecclesiologia comunionale con una demagogica chiesa popolare”.