Cilento ammalato, non cambia mai!

Giuseppe Lembo

È triste leggere l’analisi impietosa di Peppino Liuccio sul suo Cilento vissuto a distanza con un fare intriso di memoria e di un passato affidato in versi ad una lingua della gente cilentana, mai assunta ad un insieme di popolo fatto di cittadini protagonisti e non sudditi sottomessi di un destino fatalisticamente segnato ed imposto oltre che dalla politica, dalla stessa umanità cilentana, assolutamente poco protagonista e poco attenta a costruirsi insieme nuovi percorsi di futuro con, al primo posto, importanti cambiamenti antropici, per un mondo nuovo; per un Cilento nuovo e per una società cilentana solidale e quindi umanamente nuova. Il familistico Cilento, oggi ossessivamente individualista e fortemente rassegnato al “non c’è niente da fare”, è rimasto dannatamente indietro; non si è sviluppato umanamente, non è cresciuto socialmente e tanto meno politicamente. Tanto, assistendo, con la complicità di tutti ad un disfacimento umano, da tempo annunciato; da tempo parte di un sottosviluppo in crescita per un assordante vuoto culturale e per la fuga dei migliori cervelli che potevano percorrere nuove strade per un “possibile cilentano” che non c’è stato e che non c’è e non ci potrà assolutamente essere. Tanto per una società familistica, oggi in cammino verso un sofferto e silenzioso individualismo che gestisce un esistente fortemente ammalato di un localismo che mette gli uni contro gli altri delle diverse realtà cilentane, convintamente protagoniste di un proprio apparire considerato eccellente e da conservare ai territori, come “percorsi intelligenti” del solo futuro possibile. Da qui le gelosie, le invidie e l’accanimento paesano di dare il meglio di sé nel farsi notare organizzando non da oggi, ma con lunghi percorsi di decenni, il proprio apparire di una falsa cultura (per altro, per niente cilentana) accompagnandola con un altrettanto falso Cilento dei sapori che, purtroppo, proprio non esprimono il meglio del buono e salutistico cibo prodotto in territorio cilentano, un territorio fortemente ammalato di uomo con la Terra maltrattata, abusata ed in grave sofferenza antropica. Purtroppo questo è il Cilento che produce i tanti gravi tradimenti paesani oggi scoperti anche da Peppino Liuccio, un simpatico cantautore di un Cilento della memoria e/o più spesso inventato per compiacersi e compiacere quel qualche cilentano nostalgico del tempo che fu. Ma come è possibile accorgersi solo oggi dei mali del Cilento? Sono mali purtroppo, antichi che vengono da lontano e che, cammin facendo, si sono andati aggravando; tanto, per effetto di un diffuso disfacimento antropico – sociale, con una famiglia sempre più assente ed una scuola che, non ha saputo fare da agenzia di intelligente formazione e di diffusa crescita umana e sociale per cambiare il Cilento e per costruire percorsi culturali nuovi, per un futuro Cilento, fatto di saperi e conoscenza e non solo di un apparire fortemente deviato ed umanamente distruttivo. Qui, caro prof. Liuccio, domina la rassegnazione del “non c’è niente da fare”; qui “l’eccellente” territorialmente inteso, deve compiacere e compiacersi esaltandosi vicendevolmente nella paesanità di sempre; in quel mondo governato da un cambiamento del “cambiare tutto, per non cambiare niente”. Peppino Liuccio, tutto questo lo sa. Tutto questo lo ha fatto suo, riproponendolo come nostalgica cilentanità del “bello vivere” da conservare al futuro. Tanto nel pensiero e nel fare umano di un mondo cilentano che, fino ad ieri, era proprio bello così. Leggendo un suo post su Facebook, sembra che il prof. Liuccio, almeno nella prima parte delle cose dette, si sia rigenerato dentro ed abbia finalmente messo il dito sulla piaga sul fare cultura paesana nel Cilento e sui tanti Premi letterari di contrada che ne affollano i territori. C’è da osservare che questa condizione non è assolutamente e solo di oggi; tanto, viene da lontano e per lungo tempo è stato del tutto indifferente anche al prof. Liuccio, un pensatore cilentano ancora corteggiato da ammiratori ed al centro dell’attenzione paesana con reciprocità di compiacimento. Tanto da assumere asetticamente il ruolo di cantore di un’anima popolare, bella perché paesana; bella perché protagonista di sofferenze cilentane, assolutamente tardi a morire e con davanti a sé un lungo e sofferto cammino, forse per effetto dell’elisir di lunga vita dovuta al mangiare sano di una volta, oggi riportato in più salse ed ancora fortemente salutistico, per effetto di una suggestione amica che va ben oltre l’importanza della stessa concretezza delle cose. Caro prof. Liuccio, i figli di un Cilento culturalmente dismesso, bravi organizzatori di Premi letterari basati sulla vanità dell’apparire non sono, come aggressivamente maltrattati dal tuo “intelligente” pensiero, i responsabili di questo Cilento in triste cammino nell’universalità del Millennio globalizzato ai suoi primi passi. Rappresentano in tutto, quello che altri hanno pensato a costruire per il futuro del Cilento; per la società del Cilento e per la cultura dei non saperi cilentani, purtroppo e sempre più, considerati un fantasioso ornamento di tutte le paesanità in cammino e liberamente espresse nel conservarsi a “dimensione Cilento”, ancora e per sempre, fortemente sedotto ed abbandonato e quindi un mondo senza futuro e senza memoria, tranne che per le tante belle anime cilentane, figlie dell’anima cilentana di Giuseppe Liuccio, un cantautore dell’umanità di un Cilento che non c’è più, con tanti pensieri amici per un popolo che, sebbene in grande mutazione genetica, ha conservato tutte le sue tristi caratteristiche di popolo “suddito” e “sottomesso”.