Gl’ imperscrutabili mosaici di Luigi Recchi

Maria Pina Cirillo

Luigi Recchi è  un artista che, nel trasmettere il suo universo pittorico, da quasi cinquant’anni ha dato ininterrottamente pensieri, colori, segni al movimento artistico concettuale, sviluppando il proprio linguaggio durante quest’arco temporale ed offrendoci splendide  pitture ma anche deliziosi lavori di gruppo volti al recupero di spazi pubblici degradati.  Al centro del suo impegno e del suo operare  c’è sempre il pensiero creativo, il linguaggio iconico che si fa puro representamen, cromatismo, valore duttile, entità dinamica e vitale e che lo porta a realizzare tele ed oggetti cult che ne segnano la strada e ne determinano il  successo. Per lui, in una realtà quale quella contemporanea sempre più seriale e digitalizzata, caratterizzata dall’enorme presenza dei mezzi di comunicazione di massa, che portano ad una trasformazione ininterrotta di idee, mode e gesti e da strumenti che permettono una replicabilità teoricamente infinita dell’opera d’arte,  questa deve aspirare a connotarsi non tanto e non solo per la sua carica emozionale quanto  per la capacità di esprimere e comunicare idee, elaborazioni, visioni, segni significanti.

Tramontata l’idea del pezzo artistico come unicum, straordinario ed irripetibile e venuta meno l’ atmosfera suggestiva ed evocativa,  quell’aura che per secoli ha caratterizzato la produzione figurativa, un più vasto mutamento ha coinvolto tutti i campi dell’arte alterandone radicalmente le modalità espressivo-comunicative ma ha stravolto, soprattutto, le arti visive modificando radicalmente sia il rapporto dell’artista con la sua creazione che quello dell’opera con i suoi fruitori.   Per questo, Luigi Recchi, che ha conosciuto, frequentato e si è confrontato con maestri quali Ligabue, Ventrone, Zavattini, Karl Lagherfield,  ritiene che l’artista debba ampliare i confini dell’arte facendosi esegeta, ma soprattutto attore in prima persona, di una mutata analisi, di un’ attenta ermeneutica della realtà, utilizzando un approccio di tipo industriale, prospettando ed indicando diverse ed anomale  possibilità di visione e schemi di linguaggio desueti ed inusitati.

Rifacendosi al  concetto di multiplo d’arte, egli riprende l’idea di schematicità e serialità sfruttandone la forza espressiva e valorizzando al massimo l‘incisività e la valenza comunicativa delle linee e dei colori. L’opera d’arte per Luigi Recchi risponde ad esigenze comunicative chiare, schematiche, rigorose e basilari e, nonostante l’apparente spontaneità ideativa ed esecutiva nasce anche, e forse soprattutto, da uno sviluppo progettuale coerente e metodico verificabile e comunicabile,  da un’ operazione culturale complessa in cui il pensiero razionale possa affiancare l’estro creativo ed, in qualche modo, disciplinarlo. Operando in un campo di analisi pragmatiche attraverso cui si tende ad ampliare le frontiere dell’arte per inglobare nuove dimensioni  ed esprimere una diversa concezione non soltanto dell’arte ma della società tout court grazie a linguaggi mutuati dal mondo sequenziale in cui viviamo, l’artista  pur consapevole che in  questo sistema in continua trasformazione la molteplicità talora si fa eccesso generando insicurezza ed ansia e cancellando i riferimenti certi ed immutabili dell’immaginario collettivo, prende atto che non si può prescindere da una visione moderna dei linguaggi artistici in una società in cui un’immagine unica ed immutabile non riesce a catturare l’interesse del fruitore, tempestato quotidianamente da una molteplicità di messaggi e stimoli simultanei diversi.

Cosciente di questa crisi  valoriale, convinto che cambiando i tempi anche la sensibilità dell’uomo si modifica e che, pertanto,  ogni età debba usare gli strumenti più adatti ed ogni intuizione artistica la tecnica più idonea ad esprimere ciò ch’e’ ditta dentro, Luigi Recchi si pone come interprete di questo settore di ricerche attive sull’arte offrendo tele che presentano una molteplicità di immagini depurate come microcosmo della realtà più vera e profonda del mondo contemporaneo combattuto e stretto tra ferree logiche socio-economiche che ci incasellano in tragiche scacchiere solo apparentemente serene che limitano di fatto ogni libera espressione umana, e la possibilità di evadere grazie all’uso innovativo ed originale di segni e cromie più o meno con-sonanti, metafora di un pensiero che nulla può intimidire e che è ancora capace di librarsi sulle ali dell’immaginazione irrealizzante e dell’ ebbrezza feconda.

Egli, dunque, mutandone ed  alterandone solo i colori ora decisamente tenui, sfumati, evanescenti ora prevalentemente vivi, carichi, intensi, accesi, propone in maniera quasi ossessiva formelle geometriche che compongono arcani tappeti di innumerevoli tasselli su cui fioriscono pittogrammi, logogrammi, cifre, grafemi  diversi che donano ad ogni tela un’atmosfera  misteriosa ed incantata o festante e gioiosa.  E mentre le tonalità  calde si armonizzano con quelle fredde, a trasmetterci l’idea che il mondo è integrazione di diversi, risorsa ineguagliabile anche quando è apparentemente ripetitivo, davanti al nostro sguardo si dispiega una ricchissima tavolozza che ci inebria facendoci gustare  il trionfo sapiente del cromatismo non solo delle tinte piene ma delle loro infinite gamme, delle molteplici tonalità, delle delicate  nuances, delle sapienti ombreggiature che Luigi Recchi usa con somma perizia.  Veniamo, allora, catturati dalla forza del rosso nelle sue diverse tonalità: quelle della fiamma e del sangue, della scienza e della co- scienza o quelle solari, che raffigurano l’Eros libero, ardente e trionfante, lo slancio, la passione, l’energia irrefrenabile e travolgente, oppure da quella dell’arancione, tinta attinica per eccellenza capace di influenzare ciò che lo circonda, di modificarne gli equilibri,  punto di bilanciamento tra spirito e libido ora espressione di amore incontaminato e sacro ora  emblema di sensualità carnale o ancora dal giallo, sempre difficile da smorzare,  magico e sorprendente, ora intenso, deciso, quasi dissonante ora morbido, vellutato ed abbagliante come il flusso infuocato di una gettata, luce d’oro dal valore cratofanico, che valica sempre i confini  entro cui lo si vorrebbe racchiudere, emblema autentico di ierofania, atto di potenza, manifestazione di forza altalenante fra il soprannaturale e il paranormale. Essi intonano un inno alla vita fondendosi ed integrandosi con i grigi brumosi ed eterei, con gli azzurri immateriali e profondi dei miraggi e del sogno, in cui le forme dolcemente annegano ed in cui trionfa un’immobile perfezione che assorbe ogni contraddizione, coi  rinfrescanti verdi primaverili delle gemme novelle e della vita in boccio o con i verdi acidi, tinte ctonie che caratterizzano le pelli dei serpenti, dei mostri, dei nostri più inconfessabili incubi.

Antesignano ed esponente importante della green art, capace di dare nuova vita agli scarti trasformandoli in oggetti unici attraverso cui recupera la loro bellezza nascosta portando, contemporaneamente, alla luce il problema della disuguaglianza e degli sprechi l’artista, grazie alla forza combinata del tratto, del colore e dell’elemento fisico, crea un messaggio totalmente nuovo in quanto, tramite la reiterazione, riesce a svuotare di ogni significato codificato le immagini che rappresenta. E se l’espressionismo astratto manifesta la reazione violenta dell’artista-intellettuale contro l’artista-tecnico, sintomo non cura del malessere in un mondo pre-organizzato, la produzione artistica di Luigi Recchi, passato pienamente alla pittura dopo aver lavorato per anni nella moda è, invece, l’estrinsecazione di un razionalismo scientifico che mira alla funzionalità ed all’ essenzialità delle forme e tende a mettere a nudo le contraddizioni della società in cui viviamo  attraverso una serie di rappresentazioni simboliche  ordinate secondo rigorose regole di dis-armonia volta a creare una musicalità più nuova, adeguata al mondo tumultuoso in cui viviamo, in cui la bellezza,  l’incanto, il fascino di un’opera nascono dalla sua capacità di cogliere i moti più intimi,  le secrete cure che oggi più di ieri, abitano i recessi di un animo sensibile ed attento.

Le sue opere, sempre alla ricerca di  un’estetica fondata sulla logica e sulla reiterazione ciclica, si pongono dunque, come una sorta di libro aperto in cui la dimensione concettuale, è determinante non meno che quella istintiva e subliminale ma la cui lettura presuppone la conoscenza delle regole che ne permettono la decifrazione.  Egli concepisce lucidamente e con progetti ben definiti opere d’arte che elaborano una poetica  tesa a catturare la correlazione spazio-tempo e, non di rado, propongono  una struttura a base geometrica: quadrati, losanghe di colori alternati, quasi  una scacchiera archetipica su cui si combatte una lotta tra ragione ed istinto, ordine e caso, sintomatica di una situazione conflittuale, spesso espressione del contrasto tra diverse potenzialità del destino sia a livello individuale che sociale e storico. Su questi tasselli, imperscrutabile mosaico di tessere misteriose, di improbabili tarocchi, di varchi attraverso cui l’artista penetra nel mondo cogliendone l’essenza più vera e profonda, si accampa poi una serie continua di segni che Recchi assembla in combinazioni che rompono  gli  schemi ordinati matematicamente facendo scaturire, da tale integrazione, combinazioni spesso inaspettate nelle loro mutazioni ma tutte progettate secondo il paradigma ideato dall’autore. La pittura di Luigi Recchi, dunque, pur non recependo il movimento reale, come avviene nelle opere dei  cubisti, dei futuristi e dell’avanguardia russa, riesce a trasmettere un senso cinetico, illusorio ed ottico, conseguito tramite esiti di chiaroscuri, effetti di luce, una sorta di enfasi che ci indirizza verso una decodificazione dei simboli che si rincorrono tra le tessere multicolori di un Alfabeto primitivo, autentica  presentazione  sincronica di pensieri discordanti che, offrendoci la visione simultanea di un universo complesso, vanno oltre la visione tridimensionale, realizzando  su una superficie piana la quarta dimensione.