Quote rosa, tra esigenze reali e propaganda

Amedeo Tesauro

L’iter della nuova legge elettorale incontra grane previste ed altre inaspettate. La lotta sulle preferenze era annunciata alla vigilia del dibattito, una tematica vecchia e nuova a metà tra una volontà sacrosanta di rappresentanza ed i timori di scadere nel vecchio sistema clientelare. Nuove sono invece le barricate relative alle quote rosa, oggetto già in passato di feroci polemiche ma riemerse nel percorso dell’Italicum senza preavviso. Inusuali gli schieramenti in gioco: da una parte donne di tutti i partiti con in testa la presidente della Camera Laura Boldrini, dall’altra gli oppositori equamente divisi tra le forze politiche. Dibattito spinoso perché i limiti della discussione sono insidiosi, tra una considerazione giusta e un’altra critica facilmente fraintendibile, tra un’accusa di sessismo e la richiesta legittima di meritocrazia. Meritocrazia, parola dalla considerazione duplice, per alcuni misura del merito e per altro termine dietro cui nascondersi per conservare status quo esistenti. Eppure non si sbaglia a dire che una legge che obbliga, questo è il verbo da tenere a mente, ad avere una certa rappresentanza sia una legge che non premia la qualità ma predilige l’appartenenza ad un certo genere: teoricamente, così per rovesciare le carte, potrebbero esserci benissimo più del 50% di donne meritevoli di stare in parlamento che la legge così limiterebbe. In un sistema che funziona non c’è bisogno che sia la legge a stabilire i confini della rappresentanza, i metodi di scelta dovrebbero garantire a coloro ritenuti più abili dall’elettore di sedere in parlamento, indifferentemente dal sesso, dalla razza o altri criteri in questione. Ecco quindi che tutto si gioca sulla realtà concreta, ammesso infatti che in un sistema evoluto tali questioni sarebbero bollate come anti-meritocratiche e sorvolate, bisogna poi confrontarsi con l’Italia attuale e le sue mille discriminazioni. I rapporti sul lavoro parlano di donne che guadagnano meno a parità di sforzo, oppure rimangono a casa con più frequenza rispetto agli uomini, e mille altre problematiche si potrebbero evidenziare tirando in ballo le questione sociali e culturali. Proprio perché il tema è caldo risulta necessario rimanere cauti e verificare se la spinta per l’applicazione delle quote rosa sia giusta o sia figlia della propaganda. Difatti Matteo Renzi, sempre pronto a cavalcare l’onda giusta, ha formato una squadra con il medesimo numero di uomini  e donne, eppure non è stato così egualitario nella nomina dei viceministri e dei sottosegretari optando per trentacinque uomini e soltanto nove donne. Del resto si sa che i ministri occupano le prime pagine e fanno notizia mentre dei sottosegretari non si interessa nessuno, ma un simile dato invita a pensar male, a ritenere che la questione delle quote rosa sia solo una battaglia propagandistica nascosta dal nobile proposito di sanare le differenze sociali. La sensazione è che gli squilibri tra i sessi non possano essere risolti a valle con un provvedimento che rischierebbe di essere più strumentale che altro, ma si debba intervenire a monte cercando di annullare i divari esistenti nella società, garantendo pari diritti e pari opportunità per tutti.

Un pensiero su “Quote rosa, tra esigenze reali e propaganda

I commenti sono chiusi.