Giffoni Valle Piana: VI° Stagione Prosa ricorda Eduardo

Millenovecentottantaquattro – duemilaquattordici. A 30 esatti dalla scomparsa dell’attore, regista, poeta commediografo Eduardo De Filippo, il teatro italiano si ferma a ricordare la grandiosità del maestro napoletano, fra i massimi esponenti della cultura italiana del Novecento. Nel suo ricordo riparte anche la VI Stagione di Prosa, promossa dall’Associazione Giffoni Teatro con il supporto del Giffoni Film Festival, che inaugura il nuovo anno affidandosi a Gianfelice Imparato (il Commissario Libero Sanfilippo, capo e mentore di un giovane vicecommissario Montalbano nella serie tv) e Giovanni Esposito (simpaticissimo attore e comico italiano), impegnati, giovedì 9 gennaio alle 21, ad interpretare “Uomo e Galantuomo”, fulgido esempio di grande drammaturgia, la classica commedia agrodolce dal sapore farsesco qui diretta da Alessandro D’Alatri, regista ormai felicemente diviso tra «missione» cinematografica e teatrale. «D’Alatri – spiega Imparato – da tempo voleva mettersi alla prova con un testo di Eduardo e con la napoletanità. In due giorni abbiamo preso la decisione di lavorare insieme su questa commedia. Ci intrigava riuscire a raccontare sul palcoscenico un Eduardo con occhio più distaccato. Il punto di osservazione di Alessandro, dunque un non-napoletano, è diverso: ne è nata una messa in scena più sobria, moderna ed elegante». L’approccio di d’alatri «Il mio legame con Eduardo si perde nell’infanzia: ancora bambino, di famiglia umile, ricordo che un giorno alla settimana, quando la televisione italiana era tutta un’altra cosa, veniva programmato il teatro. Tra le mie opere preferite c’erano quelle di Eduardo e per questo avevo il permesso di andare a letto più tardi del solito. Le ricordo in bianco e nero e, a differenza del teatro dal vero, con i primi piani degli attori. Tra tutti, per espressività e capacità interpretativa, mi colpiva l’intensità di Eduardo. Riusciva a divertirmi facendomi credere ai drammi che stava interpretando. Una vera magia. E’ con questo rispetto che mi sono avvicinato alla regia di Uomo e galantuomo. Un testo giovanile (1922) classificato spesso come farsa. Una definizione che ho sempre sentito stretta. Infatti, seppure caratterizzata da una ricca serie di battute ed episodi irresistibilmente comici, nella commedia emergono una gran quantità di contraddizioni tra l’apparire e l’essere della borghesia contro il dramma proletario di chi ogni giorno affronta la sopravvivenza. Falso perbenismo contro tragedia. Onore da salvare contro fame. E in tutto questo dov’è l’uomo e dove il galantuomo? Ecco perché considero Uomo e galantuomo una commedia di altissimo livello, forse la più divertente, ma che sicuramente segnò per Eduardo il passaggio dalla farsa al teatro di prosa». Lo spettacolo Scritta nel 1922 e dedicata al fratello Vincenzo Scarpetta, quest’opera nacque come atto unico, per poi svilupparsi in tre atti e, in quest’ultima forma, conquistare il palcoscenico solo undici anni dopo, nel 1933. La ricetta della commedia degli equivoci, quella in cui Eduardo era maestro indiscutibile, si rivela infallibile in questa storia di «teatro nel teatro»: una compagnia di guitti di poche speranze deve mettere in scena «Malanova», testo del napoletano Libero Bovio, ma le speranze di riuscita sembrano infime. Difatti, i primi responsi del pubblico sono crudeli e, in una situazione siffatta, irrompe sulle scena (della vita, non teatrale) il fratello della prima attrice, determinato a imporre nozze riparatrici tra costei e il capocomico che l’ha messa incinta. Le cose, come si può supporre, non saranno così semplici, perché la verità non è mai così netta e comprensibile, in una girandola di scambi di ruoli e responsabilità, e dunque di volti, che per l’appunto evoca il mondo di Pirandello. Nell’opera affiorano tutti i temi che Eduardo avrebbe scandagliato in futuro con penna mirabile: il perbenismo borghese, i tradimenti (le classiche «corna»), le alchimie familiari e la fame che spinge al compromesso.