Alla NewFlorence Biennale le foto dell’anima di Gabriele Savanelli

Maria Pina Cirillo

Gabriele Savanelli nasce a Napoli nel 1988 e consegue il diploma presso il Liceo Scientifico “De Carlo” a Giugliano in Campania.  Appena diplomato si trasferisce a Roma dove frequenta il master triennale presso la scuola romana di fotografia e si innamora e studia approfonditamente il ritratto e le tecniche di stampa in camera oscura impegnandosi a sperimentare questo medium artistico in tutte le sue potenzialità nell’intento di avviare una ricerca in grado di soddisfare la sua voglia di autenticità  e di delineare un modello d’’arte alternativo. Partecipa a diverse mostre d’arte dapprima, ancora giovanissimo, a Napoli in collaborazione con l’Associazione “Currite lente” e nel 2012, tra Napoli e Roma, alla collettiva FUNGHI, con un lavoro intitolato “Walk on the wild side”, una vera e propria indagine visiva sulle trasformazioni del quartiere Prenestino alla ricerca delle motivazioni di un abbandono che è impoverimento culturale e sintomo di uno smarrimento di valori, un progetto che racconta da diversi punti di vista una periferia una volta  cara a Pasolini ed ora alla disperata ricerca di una nuova identità. Con sette amici, tra cui alcuni ex colleghi di scuola, è socio fondatore dell’Associazione culturale 001, uno spazio dove far prendere forma ai progetti fotografici, aperto al mondo della fotografia e che diventa, di volta in volta, galleria, camera oscura, laboratorio digitale o luogo di incontro per workshop e proiezioni, che propone letture portfolio con fotografi affermati e una fantine fotografica quadrimestrale per lavori reportagistici di emergenti. Interessato ad esplorare l’essenza più autentica dell’uomo, del suo rapporto con il suo io più profondo e con la naturalezza in senso pieno, Gabriele Savanelli ha messo in campo diversi progetti volti a recuperare una dimensione umana non frantumata in una miriade di immagini parziali e false. Nasce così “Corpo mio”, che sarà esposto, tra gennaio e marzo, nella galleria 001 ed è uno stimolante lavoro frutto di un lungo impegno, una sorta di diario che propone una serie di ritratti sul corpo umano, sulla sessualità e su quello che per l’artista è bellezza. Dalle stesse premesse, da un’investigazione all’interno del proprio io, da una reinterpretazione e rivalutazione del proprio vissuto che non è sterile esercitazione ma ricerca feconda delle motivazioni, dei valori che sono alla base della nostra più autentica essenza, ha origine “Uomo in polvere”, un’opera introspettiva che vuole raccontare un viaggio, e in qualche modo esorcizzare un dolore, e che è stata selezionata per partecipare alla IX edizione della Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea di Firenze, dal tema  “Etica: DNA dell’Arte”, che si terrà dal 30 novembre all’08 dicembre 2013 nella prestigiosa sede della Fortezza da Basso. Decisamente interessante, giocata su un doppio binario di apparente semplicità compositiva e di minimalismo espressivo a cui corrisponde un complesso substrato intellettuale ed emozionale, “Uomo in polvere” propone 19 fotografie, tutte orizzontali, ottenute con una tecnica di stampa ai sali d’argento con emulsione liquida applicata manualmente su vetri 20×15 cm con dei tempi di impressione previsti ad una visione delle foto appoggiate su supporto cartaceo o semplicemente su sfondo bianco, inserite a loro volta in un’anta di finestra in legno laccato bianco di circa 1,5x2m, in maniera da costruire e proporre un vero e proprio percorso che risponde a quelle istanze etiche ed estetiche della contemporaneità che, come propone la Carta d’intenti della NewFlorence Biennale, valorizzi ogni biodiversità socioculturale ed ogni approccio transdisciplinare e/o trans-culturale. Il risultato, estremamente coinvolgente, è la proposta, l’immagine resa più suggestiva dall’assenza di colori e dalla purezza evocativa del bianco e nero uniti alla trasparenza ialina del supporto vitreo, di un viaggio in cui, spogliato lentamente di ogni cosa, depurato di ogni inutile orpello, l’Uomo possa camminare a piedi scalzi tra le pietre e i rami secchi di una terra familiare ed estranea al tempo stesso, quel mondo che J. Carroll ritiene formato dai nostri sogni ed in cui il silenzio assume una forma polverosa e fredda e un corpo nudo si ritrova immerso nella più spaventosa e primordiale delle verità. Disperati e felici con lei, immobili, lontani dalla banalità, dalla presenza ossessiva di una realtà insincera ed inautentica, legati da uno stretto rapporto empatico, il creatore ed fruitore dell’opera si lasciano inghiottire, attrarre in quell’universo formato dai nostri sogni per scoprire, come Leopardi,  che “il naufragar m’è dolce in questo mare”.