Diversita’ in cammino l’Europa e L’Islam

Giuseppe Lembo

Il futuro del mondo per il bene dell’umanità, senza le differenze che da sempre hanno costituito delle vere e proprie barriere, ha bisogno di protagonismo d’insieme nella diversità e nel rispetto reciproco della propria appartenenza. L’umanità per garantirsi il futuro, prima di tutto, deve imparare a vivere in pace; la parola pace, ricca di fascino e di  magia, deve saper prendere e per sempre le coscienze dell’umanità. Occorre tanta cooperazione umana per risolvere i problemi di un mondo globale sempre più complicato e più difficile da governare. Occorre tanta solidarietà e tanto spirito di reciprocità per identità concretamente condivise; questo è il cammino che attende l’umanità; questo è il cammino che attende l’umanità del futuro, un’umanità che ha deciso nelle sue diversità, di avere per casa il mondo, parte di una Terra-Stato in cui sia garantito a tutti e prima di tutto il diritto alla vita, eliminando dagli scenari dei sepolcri imbiancati, l’infame olocausto della morte per fame, il frutto assordante di egoismi ciechi di chi ancora considera l’avere, il primo bene del mondo. Ma non è per niente così; il primo bene del mondo è l’uomo senza se e senza ma; è l’uomo con le sue tante diversità, una vera e propria ricchezza umana in accelerato cammino sulle tante vie del mondo, dove non ci sono né ci devono essere crociate e crociati pronti a muoversi gli uni contro gli altri ed a far valere le proprie differenze di razza, di religione, di lingua e/o di potere falsamente segnato dalla storia. Tutto questo, per l’uomo del mondo è ormai il passato. Oggi il presente vuole altro. Vuole, al posto della fallita democrazia della rappresentanza, una democrazia universale diretta, con al centro il popolo, stanco di subire surrogati di democrazia. Oggi il presente è necessariamente altro, se vogliamo evitare di farci male da morire, di rendere sempre più conflittuale il rapporto Uomo-Terra e di rendere il mondo un sepolcro imbiancato per un’umanità assolutamente incapace di dialogare, incapace di confrontarsi e di usare la vicinanza umana come fonte primaria di ricchezza condivisa e come il passaporto di un insieme umano che non deve avere più bisogno di sentirsi rassicurato tenendo lontano le diversità ed evitando di costruire un terreno comune, un legame tra il sé e l’altro. Mentre da più parti si avverte l’esigenza vitale di pensare la globalizzazione come necessaria ad una diversa condizione umana, c’è già chi pensa egoisticamente a fermarne il processo in corso ed a ridare fiato ad una sovranità che altro non è se non il privilegio degli uni sugli altri e la sete di un potere frutto di quell’indominabile virus del dominio, purtroppo, sempre più difficile da sconfiggere. A chi giova mettere dei punti fermi sui confini che indicano l’appartenenza alle diverse identità umane? Non certamente all’uomo; non certamente all’uomo qualunque che, oggi più che mai, avverte il bisogno di un mondo nuovo; di un mondo umanamente nuovo senza barriere, né confini, aperto al dialogo ed al confronto con l’altro in quanto uomo. Il pianeta Terra è di tutti; chi pensa di averne per sé il privilegio esclusivo ed il geloso possesso di quella parte di sua esclusiva proprietà e/o di appartenenza nazionale, pensa assolutamente male. Pensa attivando negativamente i meccanismi di un egoismo fortemente cieco ispirato solo al tutto per sé. L’insieme globale non deve essere inteso solamente come puro fatto simbolico del solo mondo virtuale senza confini che naviga su internet e su di un iPhone, un utile strumento di comunicazione di massa con tutte le diversità del mondo. Oltre a questo, occorre un progetto concretamente globale nella vita reale; un progetto che sappia trovare soluzioni altrettanto globali all’uomo del mondo, creando per tutti, migliori condizioni di vita ed un processo di integrazione vera che non deve sottostare ai dictat dei poteri forti, impegnati a difendere i propri egoistici privilegi, assolutamente indifferenti alla nobile idea che da un governo globale della Terra, possa trarre giovamento l’uomo e soprattutto le tante diversità umane deboli, ancora in condizioni di ultimi, abbandonati sempre più a se stessi.

Purtroppo, non tutto va nel verso giusto nelle tante risposte alle domande di cambiamento che viene dall’umanità in cammino alla ricerca di un mondo nuovo.

Ad ogni accelerata che fa ben sperare, segue poi una brusca frenata che azzera tutto e si parte daccapo senza quella forte spinta al cambiamento che deve essere la via convintamene condivisa da parte di tutti; non servono, per questo necessario progetto di cambiamento, né ripensamenti, né attese miracolistiche. Serve piuttosto un protagonismo convinto che il mondo dei confini che limitano la Terra solo a questo e/o a quello, è un mondo del passato; è un mondo assolutamente superato dalle ormai convinte attese di un’umanità fatta di diversità in cammino verso un insieme che abbia in sé le garanzie necessarie di umanità da vivere per tutti. A questo obiettivo, da costruire insieme, bisogna saperci credere; a questo obiettivo difficile per gli stati che pensano ancora egoisticamente solo a se stessi, sbagliando, deve saper pensare, tra l’altro, anche la Chiesa di Roma, che non dovrebbe assolutamente essere contaminata dai poteri terreni e/o dalle logiche dominanti dei poteri forti. Io sono estremamente fiducioso che la voglia di cambiare il mondo, migliorandolo e rendendolo possibile da vivere anche agli ultimi della Terra, sarà una voglia contagiosa per l’uomo del Terzo Millennio, ovunque nel mondo. Per questo nobile e rivoluzionario obiettivo epocale chi, se non la Chiesa di Roma, può opportunamente e doverosamente tracciare il solco etico e seminare l’utile seme della speranza, coprendolo di un terreno fertile per un futuro nuovo dell’uomo del mondo? Mi auguro che la Chiesa di Roma capisca il suo ruolo epocale di grande forza universale e di forza da non lasciarsi contaminare dalla secolarizzazione che va ben oltre la semplice spiritualità per il necessario cambiamento umano, imparando a camminare  francescanamente e così come le si conviene, a fianco dei deboli, a fianco dei poveri, a fianco degli ultimi della Terra, per i quali dopo il terribile inferno terreno, non può esserci altro che il meritato Paradiso. C’è da augurarsi che la Chiesa di Roma si apra con il cuore e la mente alle altre religioni e soprattutto, senza se e senza ma, all’uomo della Terra; speriamo che finalmente capisca e bene, il momento in cui viviamo, un momento magico per quell’attesa di universalità possibile che è fortemente sentita dal mondo globale e che in tanti spingono per obiettivi falsi e disumani, assolutamente da combattere, assolutamente da cancellare. Con il dovuto spirito di umanità veramente universale, la Chiesa della speranza, per il futuro dell’uomo, con atti concreti, deve saper esercitare il suo ruolo di effettiva vicinanza al mondo, spogliandosi il più possibile di quella falsa ed a volte inopportuna ritualità degli apparati ed ancor di più di quei tanti privilegi che ne minano alla base il cammino e la condannano per sempre ad un assordante silenzio. Il conclave, dopo la coraggiosa rinuncia di Joseph Ratzinger, per la storia della Chiesa Benedetto XVI, deve scegliere pensando al cambiamento ed al protagonismo di un mondo cattolico che sappia, prima di tutto, parlare a sé stesso.  Sul trono di Pietro, deve salire un Papa assolutamente nuovo; il Papa della speranza di un mondo nuovo. Occorre, per il bene della Chiesa e per il recupero umano dell’etica e dei valori condivisi, un uomo nuovo, necessario allo straordinario momento storico che il mondo sta vivendo. Un uomo santo di umanità, capace, prima di tutto,  di capire il nostro tempo. Deve saper essere il Papa dell’umanità in cammino che sappia parlare all’uomo più che agli apparati, sempre più lontani dall’uomo e che, non sapendosi parlare, né sapendo parlare alla gente, sempre meno disponibile ad ascoltarli, rendono le chiese vuote ed indifferenti alle coscienze dell’uomo sempre meno interessato ai valori di una spiritualità lontana dalla gente, in un tempo, dove tutto è ormai fortemente preso dalla materialità delle cose terrene. Anche la Chiesa di Roma deve aprirsi al nuovo che avanza. Avrà, con il nuovo pontefice, la purificazione, la resurrezione? Se non succederà questo, non corre forse il rischio di una implosione mortale per il futuro dell’intera Chiesa cattolica, purtroppo sempre meno credibile? La rinuncia del Papa Ratzinger non è di casa nel mondo della Chiesa.

È un atto forte e determinato che, si spera abbia, in sé degli obiettivi importanti. Il bisogno di cambiare la Chiesa di Roma, riducendone il potere al suo interno ed incamminandosi per vie nuove, è una necessità per saper incontrare l’uomo; l’uomo della Terra sempre più abbandonato a se stesso. Per un cambiamento che abbia per obiettivo l’uomo, nella Chiesa di Roma, prima che in tutti gli altri della Terra, deve prendere concretamente forma il dialogo, il confronto, la capacità di fare, reinventando l’uomo e la sua presenza sulla Terra; tanto è necessario per ridurre le distanze umane e per dare una forte sintesi alle storie ed alle culture della diversità, al fine di raggiungere l’obiettivo sperato di una prossimità che diventi finalmente vita di insieme, nel rispetto delle differenze, da cui possono scaturire nuovi stili di vita e soprattutto nuove opportunità per un mondo umanamente migliore e sempre più lontano e cancellato dalla realtà  del nostro tempo, con una modernità che, se non gestita bene, ci porta a vivere sconvolgenti e disumane tragedie. Oggi è assordante il mito della sovranità e della persona che spinge a vedere nell’altro, un diverso e come tale assolutamente da tenere a bada, se non da combattere, in quanto considerato come forte elemento di fastidio e di disturbo umano per la propria assordante ed egoistica identità di uomo, di razza, di popolo e di casta impegnata nell’organizzazione di privilegi nelle mani solo di pochi, il malfrutto abbondante di quello che si toglie inopportunamente, se non disumanamente agli altri.