Shhhhh!

Anna Rosa

Se da piccolo preferivi leggere un fumetto piuttosto che giocare con gli altri bambini; se da ragazzo non spiccicavi parola e la tua cerchia di amici si riduceva a pochi eletti; se, ancora adesso, ti senti un pesce fuor d’acqua e ti sembra insensata questa smania di socievolezza imposta dall’era del social network, il libro “Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare” (Bompiani, 17,00 euro) di Susan Cain è quello che fa per te. Americana, ex avvocato di Wall Street, Susan Cain si fa paladina degli introversi in una società dominata dall’estroversione a tutti i costi, in cui se sei taciturno, tranquillo e solitario… allora c’è qualcosa che non va.  La cultura occidentale infatti ha da sempre favorito l’uomo d’azione a quello contemplativo, infliggendo un marchio di disapprovazione sociale sull’introversione, considerata una piaga da estirpare e condannare.Susan Cain rovescia il pregiudizio e reclama uguale dignità e considerazione. È la stessa storia a insegnare che la leadership non è necessariamente prerogativa degli estroversi: leader come Eleanor Roosevelt, Rosa Parks e Gandhi si descrivevano come persone tranquille e pacate, perfino timide. Oggi la scuola e i luoghi di lavoro sono, a detta dell’autrice, progettati per gli estroversi, per favorire lo scambio di idee e la cooperazione, in quanto si pensa che la creatività e produttività nascano in ambienti socievoli. Ma come si fa a sviluppare idee proprie se si è continuamente a contatto con gli altri, immersi in una ragnatela di relazioni che soffocano qualunque pensiero autonomo? Entra dunque in gioco la solitudine che, se per altri è un male che va evitato come la peste, per gli introversi è fondamentale come l’aria che respirano. Staccare la spina, rifugiarsi in se stessi, godere della propria compagnia è un modo per fare il pieno di energia e ritornare nel mondo sociale, pronti ad affrontare le incombenze quotidiane.  Ma la solitudine è anche la fonte della creatività e del pensiero. Mosè, Gesù, Buddha e Maometto non sono forse cercatori che si rifugiano da soli nel deserto alla ricerca della rivelazione? Solo in un secondo momento si ricongiungono alla comunità per condividere il loro sapere. Lo scrittore (ma anche il musicista, il pittore, il poeta) non lavora al suo progetto d’arte rintanato nel suo studio, tagliando il mondo fuori? Perché dunque precludere agli introversi il momento della creatività e rivelazione forzandoli in schemi che mortificano il loro innato bisogno di solitudine?  È tempo di invertire la rotta e dimostrare quanto la società sia riconoscente nei confronti di chi per scelta decide di stare dietro le quinte piuttosto che sulla scena a ricevere gli applausi. “Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare” è l’orgoglioso stendardo di chi, per una volta, decide di zittire il rumore delle ciarle senza sosta per far sentire la propria voce, pacata ma forte.