Mercato San Severino: presentazione libro di Foscari e della Sciarrotta

Anna Maria Noia

Lunedì 29 ottobre, presso la sede della Provincia di Salerno – palazzo S. Agostino – il docente Giuseppe Foscari e la sua assistente Silvana Sciarrotta (università di Salerno, facoltà di Scienze Politiche) hanno presentato un’opera sul dissesto idrogeologico nel XIX secolo. L’elaborato, infatti, tratta dell’argomento: “Il dissesto idrogeologico nella costiera amalfitana e nella Valle dell’Irno (1800-1860)”, per i tipi di Edisud. Moderatore: Andrea Manzi, giornalista; relazioni a cura dei due geografi – sempre dell’ateneo di Fisciano – Silvia Siniscalchi e Massimiliano Bencardino. Ad intervenire, inoltre: l’assessore ai Lavori Pubblici e alla Protezione Civile della Regione Campania Eduardo Cosenza (anche in qualità di commissario straordinario per l’emergenza idrogeologica); l’assessore regionale all’Ambiente Giovanni Romano; il neopresidente dell’Ente Provinciale, Antonio Iannone. Incisiva è stata la modalità perseguita dal giornalista Manzi nel condurre, appropriatamente, l’intera serata, con eleganza e nonchalance. In primis il fondatore de “La città” e direttore di “Telecolore”, ha introdotto parlando dell’attualità dell’argomento offerto da Foscari e dalla ricercatrice verso i nostri tempi. Il tema di cui si è trattato, infatti, ha per Manzi una radice “storica” ma “comunicata alla contemporaneità”. Nelle parole del sicuro ed opportuno moderatore, anche la possibilità della variabilità “naturale” dell’ambiente in rapporto alle “alterazioni” prodotte dall’uomo. Tre i livelli del discorso sui dissesti ecologici secondo la definizione di Andrea Manzi: antropico, storico e politico. Poi la parola è passata al nuovo presidente, già pienamente calato nel ruolo che è stato fino a pochi giorni fa dell’on. Edmondo Cirielli. Dopo i “fatidici” saluti di rito, il politico ha subito colto l’occasione per parlare concretamente dell’annoso problema, vexata quaestio, concernente una vera e propria “ferita” (ha detto Iannone) dei disastri ambientali che vede ben centoventi comuni nell’ambito della Provincia essere esposti a rischio grave. Commentando i dati forniti sia dal libro che dai relatori, anche Iannone ha capito che la “colpa” di molti (ma non tutti) eventi calamitosi è in gran parte da attribuire alla “antropizzazione selvaggia”. Anche lo stesso Manzi, commentando i contributi degli intervenuti alla presentazione, ha esposto dati precisi e numeri reali su tale questione: ad esempio il Manzi ha esplicato – tra altre cifre da lui velocemente snocciolate – che la Campania è al quinto posto in Italia per dissesto idrogeologico – anche se poi i relatori hanno evidenziato che i termini hanno un significato e una valenza molto diversi, non generici – e circa l’8 per cento del territorio è in condizioni particolarmente critiche. Dopo un accenno al meridionalista Giustino Fortunato, ecco i due geografi: la Siniscalchi e Bencardino, di diversa formazione (la Siniscalchi è di estrazione storica mentre il collega è geografo ambientale). Entrambi, ma in particolare la Siniscalchi, hanno lodato “la paziente ricerca, con raccolta puntuale di dati, nel lavoro di archivio eseguito da Silvia Sciarrotta.”“Un’opera encomiabile, con diversi rapporti tra i due pericoli, di diversa concezione, rappresentati da alluvioni e frane.” Anche gli altri ospiti della presentazione hanno posto l’accento sulla necessità di “trarre le somme dal passato” per capire le emergenze del presente. Secondo i geografi, nella fattispecie Silvia Siniscalchi, la Campania “è un territorio di per sé ricco di asperità montane e con grande abbondanza di acqua”, un “vantaggio” per tale regione, ma anche “una responsabilità”, per gestire al meglio ciò che è “causato dall’uomo”. Interessante e molto dibattuta la questione dello “spostamento” di persone, comunità e popoli verso altre zone, che crea “pericolosità” anche per il numero di abitanti presenti in zone a rischio (come per esempio il Vesuvio). Tale fenomeno, vale a dire il fatto che la popolazione continua ad abitare in zone di elevato pericolo, è sempre più studiato dalla “psicologia sociale”, oltre che dalla geografia tout-court. Infatti, si tratta di un processo di “rimozione” che interessa le persone che vogliono “superare” il momento “critico” dell’evento calamitoso, frana od altro che sia. Dopo che ha parlato la Siniscalchi, Massimiliano Bencardino ha espresso nozioni e concetti inerenti il fatto che – come dimostra il lavoro di Pino Foscari e della Sciarrotta – la discussione su tematiche simili debba essere “ampia e multidisciplinare”.“L’argomento in sé – si è detto – impone una visione multisettoriale, tra geologia, politica e altri ambiti”. Sempre nel corso della manifestazione, alcuni degli intervenuti (tra cui Bencardino) hanno notato come “Il contesto dell’ottocento vede un desiderio di dominio dell’uomo sulla natura. In tale epoca l’uomo pensa di soggiogare l’ambiente a sé.” Questo, dunque, lo scenario su cui, durante l’intervento del secondo geografo (Bencardino appunto), basato anche sulla contemporaneità e sulle normative europee sul “Vas” (valutazione ambientale strategica), si fonda tutto il discorso. Una dettagliata, adeguata e opportuna pubblicazione, quindi, quella dei due docenti. Anche per Cosenza, che ha poi rivolto frasi sullo “stato dell’arte” e sulle politiche contro le calamità. Ciò, parlando più da tecnico che da amministratore. È emerso dalle parole di Eduardo Cosenza che “La Campania conta più vittime di eventi catastrofici che le altre regioni, anche a parità di quantità di pioggia: circa il 25 per cento di morti, ma con il 10 per cento in meno di territorio.” Dopo aver doverosamente ricordato gli eventi di Sarno (1998) e di Atrani, nel settembre 2010, quando l’acqua trascinò con sé il cadavere della povera Francesca Mansi, Cosenza ha stigmatizzato il mese più “pericoloso”, nel quale cioè si verificano più disgrazie, ed è proprio ottobre – dopo l’estate e prima dell’inverno. Sfatato, poi, sempre dall’assessore il “mito” che le radici degli alberi trattengono acque e frane, perché questo, in realtà, avviene solo a un livello superficiale, a detta di questo esperto. Anche Giovanni Romano, intervenuto per ultimo, ha avallato questa affermazione. Silvana Sciarrotta è entrata nel vivo della discussione, illustrando con sue frasi e parole del suo discorso il “valore della memoria storica insita in tale ricerca, perché capendo il passato e gli errori di ieri si migliori il presente e si pensi al futuro.” Lo “sguardo” della autrice – e lei tiene a farlo sapere – non è (tecnicamente) geologico o geografico, bensì puramente storico. La ricerca, come ha avuto anche modo di spiegare Pino Foscari, è consistita in un duro lavoro di archivio durato più di tre anni. Lo stesso professore, parlando del fatto che Romano ha finanziato fin da subito tale importante contributo, senza tergiversare e con entusiasmo, ha espresso che è una delle prime ricerche sul fenomeno del dissesto nell’800, mentre molte di più risultano essere le pubblicazioni sull’idrogeologia nel ‘900. Imparare dal passato è dunque la “lezione” che i coautori hanno voluto “impartirci” nel corso della conferenza. Dal moderatore, un invito a pubblicizzare i dati dell’elaborato, proprio istituendo una “banca dati” (data base) ad hoc, per proporli alla diretta attenzione dei politici e dei governanti. Una provocazione, forse, ma neanche poi tanto. Infine Romano, nel trarre le debite conclusioni, ha tracciato un positivo commento sul volume, parlando del “rigore” nello studiare e interpellare “sudate” carte di archivio – tra faldoni, buste, fascicoli; parlando quindi della “onestà storica” mostrata dai due autori; ammonendo in conclusione che è utile, grazie al libro, capire che non si azzererà mai il rischio, bensì si può cercare di ridurlo, mitigarlo, attraverso un particolare “piano speditivo di protezione civile.” Romano ha descritto la netta differenza – anche se i due termini sono spesso usati con lo stesso significato – tra “l’uso” e il “consumo” delle risorse affidateci e che – peraltro – dobbiamo lasciare, morendo, a chi verrà dopo (e dunque non bisogna sciuparle, come stiamo già facendo). L’uso, infatti, presuppone un’economia di sussistenza, con un equilibrio tra risorse stesse e popolazione; il secondo concetto, invece, consta di un disequilibrio ambientale, dovuto a un “valore” delle già citate risorse che va al di là della semplice sopravvivenza. In ultimo, l’assessore regionale all’Ambiente ha operato un amarcord per promuovere la cosiddetta “cultura del vissuto”, che interroga le competenze di ognuno e che ci rende eredi di conoscenze ancestrali, dei nostri avi predecessori.