Dall’inefficienza alla corruzione: assuefazione politica e rabbia popolare

Amedeo Tesauro

Le notizie che arrivano in queste ore riportano gli ennesimi casi del malaffare all’italiana con immancabile coinvolgimento politico. Dalla Lombardia un ulteriore arresto nella giunta Formigoni, l’assessore PdL Domenico Zambetti reo di aver pagato 200.000€ per ottenere 4.000 voti dalle cosche della ‘Ndrangheta, nelle stesse ore in cui crea sgomento la notizia dello scioglimento per “contiguità mafiosa” del Comune di Reggio Calabria, primo comune di un capoluogo di provincia ad incassare un simile provvedimento. Inutile dire che piova sul bagnato, ma mai un’espressione popolare ha sintetizzato meglio una situazione fattasi talmente grave da creare una frizione così apertamente visibile tra chi opera a certi livelli e chi invece assiste allo spettacolo dei continui scandali presenti con impressionante frequenza tra le news del giorno: corruzione, clientelismo, lusso sfrenato generato dai lauti guadagni, nuovamente lo spettro della malavita in connubio con le istituzioni dello Stato, eccetera. A metterli in fila tutti, dal Lazio-gate al sistema Sesto, dai fatti lombardi alle inquietanti vicende mai risolte sulla trattativa del ’92-93 e così avanti a nominare tanto altro rimanendo a eventi attuali, c’è abbastanza per dire che la gestione del potere ha finito per gettare discredito su un paese fino quasi a assuefare l’opinione pubblica a certe notizie. Quasi si diceva, complice la crisi economica più grave da oltre mezzo secolo il punto di rottura è stato presto raggiunto fino a generare nella sfiducia totale nella classe politica, nella disillusione, nella rabbia addirittura; se è vero infatti che gli scandali ci sono sempre stati, quando le cose andavano bene si chiudeva un occhio, si accettava più facilmente che essi potessero verificarsi, mentre oggi l’opinione pubblica si ritiene offesa e si infuria laddove il mondo politico si mostra solo apparentemente coinvolto invitando alla calma, e proprio in tale differente reazione sta la frizione che divide “loro” e “noi”. Si potrebbe far tesoro della sociologia americana che invita a non dar retta alle opinioni delle masse in quanto irrazionali, ma sarebbe adattare una teoria a due contesti completamente differenti, quello italiano dove per troppo tempo si è data per scontata e quasi tollerata l’inefficienza se non addirittura la corruzione e la collusione criminale di parte della politica, e quello americano che tra tanti difetti pretende dimissioni al primo passo falso. Evitare il populismo, ma fino a che punto? E dove sta la linea tra il populismo e la pretesa corretta di avere una classe politica pulita e non arraffona? Il sottile confine pone l’attenzione sulla scelta del popolo di porsi un limite o meno, ma prima di arrivare a esso le giuste mosse politiche potrebbero salvare la situazione. Il collasso può essere evitato soltanto con gesti forti di chi tra “loro” si reputa onesto, di quelli che sdegnosamente dovrebbero non solo invitare ma agire per fare pulizia, altrimenti il lancio delle monetine di craxiana memoria è soltanto rimandato a data da destinarsi.