Sull’ Apocalisse di Oriana Fallaci

  Fulvio Sguerso

Leggo sul risvolto di copertina del terzo libro della “Trilogia” del dopo 11 settembre di Oriana Fallaci – intitolato (senza falsa modestia) Oriana Fallaci intervista se stessa- L’Apocalisse, Rizzoli, 2004 –  che la sua “Apocalisse si rifà all’Apocalisse di Giovanni. Ma, al contrario di giovanni che basa la sua profezia su allegorie, matafore, enigmi, la Fallaci parla di fatti molto precisi. E delinea il ritratto di un Occidente rassegnato e indifeso che rischia di andare in frantumi”. E perché mai, mi sono chiesto, se si trattava di riferire su fatti molto precisi, l’Autrice, definita, sempre nel medesimo risvolto, “uno degli autori più letti e amati del mondo”, ha sentito il bisogno di intitolare L’Apocalisse, cioè la Rivelazione o la Visione profetica, il post-scriptum a Oriana Fallaci intervista se stessa? Perché, spiegava lei stessa rispondendo a se stessa, di fronte alla sua malattia e di fronte al male, voleva combattere fino in fondo la sua buona battaglia: “Io non voglio cedere. Voglio resistere. Perché voglio vedere la sconfitta del Mostro, voglio vedere la vittoria dell’Angelo che lo imprigiona. Voglio essere tra quelli che muoiono senza avere mai avuto sulla fronte e sulla mano il marchio della servitù e della complicità”. Chi leggesse soltanto questo passaggio incontrerebbe qualche difficoltà, immagino, a identificare il Mostro e chi lo adora; a meno che non sia un lettore già orientato o prevenuto. Quanto a me, ritengo che dovrebbero esserci dei limiti alla disivoltura con cui si citano, si interpretano e si manipolano la Sacre Scritture piegandole a proprio uso e consumo; e  vorrei ricordare quanto poco si osservi oggi nel mondo il comandamento divino di non nominare invano, o strumentalmente, il nome di Dio (a questo proposito, cfr. l’articolo di Claudio Magris sul Corriere della Sera del 21/01/05). E pazienza se a citare maldestramente le Scritture è qualche sprovveduto dilettante; ma della Fallaci – simpatica o antipatica che potesse riuscire – tutto può essere detto meno che fosse una sprovveduta e una dilettante: sapeva quello che diceva e sicuramente quello che voleva; inoltre ostentava una impavida sicurezza circa le sue posizioni e sulle sue competenze, quindi  sapeva senz’altro, in caso di necessità, come e dove documentarsi sugli argomenti che trattava. Non è neppure pensabile che non conoscesse il peso delle parole e dei tropi che usava (e di cui abusa), quindi non poteva ignorare che il libro dell’Apocalisse è il più controverso e oscuro del Nuovo Testamento, a che tutto, in quel libro, dalle cifre ai nomi, dagli animali ai colori e persino alle lettere dell’alfabeto ha una valenza simbolica. Non può ignorare, tra l’altro, che la prima bestia – quella che sale dal mare e che lei chiama “il Mostro” – allude a Roma e al suo impero; che la seconda bestia, simile all’Agnello, allude a un non meglio identificato falso profeta, che il drago che ridà sangue e forza alla prima bestia allude a Satana, e così via. Ma, si dirà, che cosa importa tutto questo? Si tratta di figurazioni e di allegorie che valgono per ogni tempo, per il passato, per il presente e per il futuro; quindi possono parlarci anche oggi delle forze demoniache del male e di quelle angeliche del bene. Vero. E tuttavia, chi può arrogarsi il diritto di interpretare quelle visioni a vantaggio proprio e a danno di altri? Conoscete qualcuno che dichiari di voler combattere contro le forze angeliche del bene? La nostra scrittrice, che si autodefiniva “atea e cristiana”, identifica la bestia che sale dal mare con il terrorismo fondamentalista islamico; la seconda bestia dalla corna d’agnello che sale dalla terra con l’Europa imbelle “che in buona o cattiva fede aiuta il Mostro con sette teste e dieci corna”; gli adoratori del Mostro con i pacifisti “arcobalenisti” e dialoganti, che portano in fronte “il marchio  Dei collaborazionisti, ovviamente dei talebani. E se qualcuno nutrisse qualche dubbio in merito alla correttezza di simili interpretazioni, si metta pure l’anima in pace: “Rifarsi all’Apocalisse sembra un gioco intellettuale, vero? Sembra un trucco letterario, una fantasia da scrittori, una fiaba. Invece è la tragica realtà in cui viviamo duemila anni dopo Giovanni l’evangelista. Per capirlo basta dare un’occhiata ai giornali e alle tv, o ascoltare le insensatezze che dicono i politicanti europei”. Come, per esempio, il gollista Chirac e il socialista Fabius, colpevoli di non considerare l’Europa una fortezza assediata. Mentre lo scrittore “celtico” Jean Raspail, invece, ha pubblicato, nel giugno del 2004, su “Le Figaro”, un brillante articolo contro il relativismo culturale “che sembrava scritto  da Giovanni l’evangelista”. Di nuovo: se la Fallaci non era  una dilettante allo sbaraglio, da dove le veniva una tale mancanza di misura? Al di là del delirio narcisistico dell’ Autrice, la spiegazione del fenomeno Oriana Fallaci e della sua fortuna va cercata, credo, oltre che nelle ragioni del mercato e dell’industria culturale, soprattutto nel suo valore strategico nella guerra ideologico-religiosa  contro il fondametalismo musulmano. Per spiegare il successo di pamphlet razzisti come La rabbia e l’orgoglio e La forza della ragione

, inimmaginabile prima dell’11 settembre 2001, non bastano certo i lanci pubblicitari della RCS S. p. A. Il terreno adatto è senz’altro una massa di lettori disorientati, incerti, impauriti dalla globalizzazione e dal terrorismo di matrice islamica (e non solo islamica!); a questa massa è rivolta la Trilogia apocalittica della Fallaci, tutta in bianco e nero, in cui tutto il Bene sta da una parte (la nostra), e tutto il Male dall’altra parte, come avviene nei più collaudati armamentari persuasivi e di bassa cucina propagandistica.  Ma in tutto questo, che cosa ha a che vedere l’Apocalisse di Giovanni?