Camminar passeggiando e riflettendo

Padre Oliviero Ferro

 

Un giovedì come tanti altri e si parte per andare in mezzo alla natura. Sono le sei e mezzo del mattino. Si comincia salire verso le colline intorno al mio paese. All’inizio tutto sembra un po’ faticoso, avendo perso l’abitudine, Poi, piano piano, passando in mezzo al bosco tutto diventa più semplice. Le vecchie mulattiere lasciano vedere i ciotoli, calpestati da tante persone prima di me che utilizzavano quella strada per andare a lavorare. Ora non si sente più niente, tranne qualche grido di qualche uccello che si sta sgranchendo le penne per iniziare a volare nel cielo. Ma basta un po’ di attenzione e si possono ancora sentire le voci e i profumi di quel tempo. Provo ad immaginarmi le donne che con le gerle portavano a casa il fieno o i prodotti della terra. Gli uomini che andavano a lavorare per tagliare la legna o i bambini che andavano a scuola nella grande città. Ora ci sono le chiesette e le piccole cappelle, testimoni di questi passaggi. Non tutti i sentieri sono stati ripuliti. Si fa un po’ fatica passare, a causa delle piante cadute nell’ultimo temporale. Ma c’è qualcosa che ti parla ancora, quando passi sui ponticelli di pietra e ti fermi poi ad ascoltare le cascatelle d’acqua che scendono dall’alto. Ti verrebbe voglia di fermarti, di bere a garganella e di interrogare quell’acqua per farti raccontare le storie di tanti anni fa. Forse non sappiamo più ascoltare, forse non riconosciamo più quella lingua, dimenticata dal tempo che passa. E’ un peccato. Là ci sono le nostre radici, le nostre origini. Da lì siamo nati, da lì abbiamo preso la forza per crescere, per andare in giro per il mondo. Non possiamo dimenticare. E’ come morire un po’ per volta. Quando poi incontri una cappelletta con le scritte in francese, allora ti viene da riflettere su chi ha pensato di costruirla. E ti vengono in mente persone che hanno lasciato la loro terra, da giovani, per andare a cercare lavoro all’estero. E allora ti viene spontaneo pensare a quelli che faticano ad accettare chi è diverso, lo straniero, che viene da noi in cerca di fortuna. I nostri antenati sono andati a soffrire e a gioire in tanti paesi e ci hanno lasciato un’eredità di apertura al mondo. E noi come la stiamo utilizzando? Sentendo certi discorsi che girano in questi ultimi anni, viene solo da pensare che la loro è stata fatica sprecata, che i loro pronipoti hanno dimenticato tutto, presi come sono dall’interesse immediato. La strada continua in mezzo al verde. Qualche casa in rovina ricorda chi l’ha costruita e ora non c’è più. Un’altra cappelletta e una croce ci ricordano ancora che per loro era importante mettere Dio nella loro vita. Era una cosa normale e quando si incontravano, salendo e scendo verso il paese più grande, si salutavano con il soluto tipico della Valle “Legru,allegro”. Cioè stai contento, fatti coraggio, non sei solo. Siamo in tanti e insieme ce la faremo a uscire dalle difficoltà. La solidarietà concreta, vissuta nella fatica di ogni giorno, diventava gioia semplice e profonda nei momenti di festa, in cui ognuno portava qualcosa per fare felice la comunità. Qualcuno potrebbe dire che è nostalgia di un tempo passato e che non ritorna più. Non credo proprio. Le cose importanti, l’eredità ricevuta dai nostri antenati non è qualcosa che non esiste più, ma è incisa nel nostro DNA, nella nostra vita. E anche se non lo vogliamo, è presente, anche se forze non ce ne accorgiamo. Basta una passeggiata sulle antiche strade e subito ritorna a galla. Non ci vuole molto. Basta un pizzico di attenzione e tutto, se lo vogliamo, può cambiare. Io ne sono sicuro.