Linguaggio e cultura

Padre Oliviero Ferro

Un affabulatore, uno che ti tiene fermo sulla sedie per delle ore. Insomma, come si dice, ridendo e scherzando, per due ore e mezza, il professor Petrarca dell’Università di Napoli ci ha parlato di “linguaggio e cultura”. La conferenza-dialogo di venerdì 13 aprile 2012 entrava nel solco della mostra interculturale “Oi Dialogoi. Segni,suoni e parole”.  Si vedeva e ce lo ha fatto capire molto bene, che lui ama la sua professione, ci mette entusiasmo. Ha lavorato in Africa, sia in Costa d’Avorio, come in Camerun, in collaborazione con il saveriano padre Tonino Melis “l’uomo che cerca parole”(sta preparando un dizionario della lingua Masa). Petrarca ha cominciato, ricordandoci che nell’Occidente ci sono due racconti (miti) che ci possono aiutare a capire bene. Uno è BABELE: la confusione delle lingue (parlano,ma non si capiscono) e l’altro è Pentecoste: ognuno parla la sua lingua, ma ci si intende. Per lui è chiaro che l’incontro con l’altro è la cosa più bella, anche se non è facile. C’è sempre un rischio di malintesi. Però ci costringe a pensare e a riflettere. L’altro ci rinvia sempre due immagini: estraneo o amico. Da non dimenticare che la parola “barbaro”, in greco vuol dire “balbuziente, estraneo” (uno che non capisce e non parla la tua lingua). La lingua è il primo segno di differenza e di umanità. Abbiamo parole, ma sono diverse. Allora vediamo in che cosa ci assomigliamo e in che cosa ci differenziamo. La lingua è uno strumento per capire una cultura. Noi diamo un significato alle cose. Allora perché esistono tante lingue? Dio non aveva introdotto il disordine della comunicazione, ma l’uomo (Babele). La Pentecoste è il superamento come grazia di una condizione perduta. C’è sempre una dinamica tra FRATELLANZA e ESTRANEITA’. Gli studiosi ci propongono due piste di riflessioni sulla origine delle lingue. La PRIMA è quella STORICA (ciò che è successo). La si vede nelle parentele linguistiche che poi diventano parentele culturali. Ad es: il latino le ha unite, poi, dopo la caduta dell’impero romano, sono riemerse le differenze. Ci sono delle affinità tra il sanscrito, latino e greco (il ceppo indoeuropeo). Quando si dice che c’era una comune origine, si capisce che poi le differenze sono intervenute a causa dell’interruzione delle comunicazioni (montagne, fiumi, immigrazioni). Si ede anche, dalla ricerca, che ci sono dei racconti simili che si trovano in molte culture. Un SECONDO aspetto è dato dalla constatazione che gli uomini possono emettere tanti suoni. Ma gli adulti li impoveriscono, li selezionano (24-26: le lettere dell’alfabeto). Sono i  FONEMI (unità minima di articolazione provvista di significato). C’è quindi un passaggio dal suono al senso. Li abbiamo individuati e li mettiamo in opposizione tra di loro. Un piccolo suono distingue le cose. Si oppongono e producono significato. L’uomo, dicono gli studiosi, sarebbe predisposto a una grammatica vuota di contenuti. C’è una grammatica del cervello umano: noi siamo predisposti, come essere viventi, a fare delle operazioni inconsapevoli. Quest’ordine da dove viene, dato che è inconsapevole (es: un bambino non ha studiato, ma piano piano riesce a fare un suo discorso. Non capisce ancora che  il verbo è il più importante, ma lo usa, perché intuisce la sua importanza. Dice: io mangiare. Poi, da più grande ci metterà i tempi:presente,passato,futuro). La nostra mente è predisposta all’ordine. Siamo uniti nel vuoto e differenti nel modo in cui lo riempiamo. Il dono è una manifestazione inconsapevole dell’essere uomini (io ricevo e normalmente lo restituisco con gli interessi). Gli uomini si assomigliano negli aspetti non consapevoli (più ci si mette a nudo, più ci si scopre fratelli). Abbiamo bisogno della differenza e di intensità di comunicazioni. Per finire: noi possiamo avere 2 modelli: 1. Ricostruzione, cercare di intendersi, accettando la superficie dell’altro; 2. Vedere in che cosa ci assomigliamo per avere un’idea di come ci differenziamo (esame di coscienza in profondità). Dopo queste sue riflessioni, c’è stato un fuoco di fila di domande, a cui con semplicità e profondità, il prof.Petrarca ha risposto, mescolandole con espressioni napoletane che hanno meglio esplicitato le sue idee. Tra le altre cose, insegna anche l’italiano agli immigrati. La sua esperienza in Africa lo ha molto segnato. Ci diceva che se lo si invita a parlare dell’Africa, lui viene di corsa e si è molto meravigliato del fatto che siamo rimasti fino ad ora tarda a dialogare con lui. La sua presenza ci ha veramente aiutato e speriamo di averlo ancora altre volte. Ci ha lasciato anche la sua mail: valerio.petrarca@unina.it

 

Un pensiero su “Linguaggio e cultura

  1. E’ bello associare il termine “affabulatore” a un serio esperto di Linguistica. In effetti anche a me piacerebbe conoscere ciò che anni di studio concentrano in un paio d’ore di “comunicazione”.
    Complimenti anche a lei, Padre Oliviero, per un articolo che si legge volentieri per il suo stile semplice e garbato.
    Cari saluti
    Corinna

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