Ideologia della Prassi Scolastica: castelli di sabbia e cattedrali nel deserto

         Gennaro Tedesco  

 Negli ultimi anni, prima come docente e poi come ricercatore nell’area educativa, ho assistito in modo solo apparentemente contraddittorio con partecipazione e distacco all’evoluzione o involuzione di quelle che possiamo definire, a torto o a ragione , le prassi quotidiane della Scuola, anche se tale “ osservazione partecipata “ potrebbe essere tranquillamente estesa alle prassi universitarie. Per noi le prassi coincidono, bene o male, con tutte quelle pratiche quotidiane reiterate e in qualche modo standardizzate che si effettuano nelle Scuole ( e nelle Università) quasi quotidianamente . Esse possono andare dalle lezioni frontali alle così dette comunicazioni formali e informali come circolari , scambi di informazioni e discussioni tra docenti e anche tra discenti e tra genitori  e interazioni e transazioni tra Scuola e territorio . Le spinte della globalizzazione e la controspinta del localismo , la politica non solo educativa europea e nazionale, l’estensione e il consolidamento del processo di autonomia scolastica , la crisi non solo economica mondiale,  hanno contribuito alla nascita e alla formazione di una vera e propria ipostatizzazione  delle prassi scolastiche che, in qualche modo, in virtù di un processo tutto interno alle istituzioni scolastiche, si è trasformata in un nuovo genere di ideologia .I numerosi interventi riformatori succedutisi quasi  ininterrottamente  e spasmodicamente negli ultimi anni e abbattutisi dall’esterno pesantemente sulle teste dei docenti mal pagati , in evidente crisi d’identità e senza validi , moderni e duraturi piani di aggiornamento all’altezza della sfida planetaria della complessità non solo epistemologica e percepiti dagli stessi come estrinseci e non intrinseci al loro sistema di appartenenza , la virulenza e la radicalità dei sommovimenti culturali ed educativi, l’irruenza ideologica dei genitori , assecondata demagogicamente  da una  classe dirigente che della Scuola , apparato debole, ha fatto merce e moneta di scambio , che ha scambiato la didattica e la formazione come  qualcosa di facilmente “erogabile” e”standardizzabile” e alla portata di tutti, la mancanza di investimenti e i tagli in tutti i settori della conoscenza , dalla formazione alla ricerca , la totale e assoluta alterità dei nuovi linguaggi e nuovi immaginari delle ultime generazioni di adolescenti e giovani , probabilmente con la non voluta “complicità” delle varie e cangianti gestioni ministeriali, hanno introdotto nel nostro sistema formativo , sia nella scuola vera e propria che nei  pochi e in via di estinzione  ricercatori  e formatori addetti all’aggiornamento  , una tendenza sempre più sottile e subdola alla burocratizzazione e soprattutto  alla specializzazione non solo del corpo docente ma anche degli stessi dirigenti e degli stessi formatori . Tale fenomeno è  in piena maturazione e non sempre viene percepito e  tanto meno colto nelle sue stravolgenti dinamiche . Di fronte all’imperversare e al dilagare di continue elaborazioni e rielaborazioni delle alchimie amministrativistiche e di ingegnerie curricolaristiche , i nostri docenti, sempre più perplessi, increduli , spiazzati e impotenti, travolti anche dalle aggressioni genitoriali , sviliti dai pregiudizi dell’opinione pubblica spesso istigata da una stampa incompetente e anacronistica che approccia la Scuola di oggi come se fosse quella dell’Ottocento e l’obsoleto  Liceo come sua unica ed “avanzata “espressione formativa ed educativa e in evidente difficoltà di fronte alla Rivoluzione dei linguaggi  e degli immaginari  elettronici posseduti e praticati da adolescenti e giovani , reagiscono  rinchiudendosi  in una iperspecializzazione  burocratizzata sempre più simile a quella di certa  medicina e di certa  giurisprudenza . Di fronte a dirigenti e docenti non ci sono più gli allievi con i loro veri , reali e concreti problemi , con i loro urgenti , prioritari  e inderogabili bisogni formativi e pulsioni vitalistiche, ma vaghi , generici , indefiniti, indefinibili , abulici e pietrificati soggetti istituzionali a cui bisogna “erogare” un servizio , quello didattico nella migliore delle ipotesi più che  manualisticamente  formativo . Si moltiplicano come funghi gli “specialisti” della competenza , i sofisti del modularismo , gli entomologi dei traguardi , i filologi del curricolo, gli “obbiettivologi” , i pedagogisti e i terapeuti del pronto intervento educativo e dell’urgenza formativa  insieme ai metodologi e ideologi dei palinsesti informatici . E’ il trionfo del delirio geroglifico,  gergale e settario. Non sembri il nostro un riduttivo e ironico elenco della massaia e della spesa , ma la triste realtà di una Scuola che ha scambiato la prassi del quotidiano come unica ancora di salvezza . Il porto calmo e tranquillo della specializzazione del quotidiano viene visto e vissuto come unico rifugio dall’Oceano in tempesta . La stessa così detta ricerca educativa , in  quelle rarissime occasioni ormai in cui viene effettivamente realizzata sul campo, cioè nei luoghi istituzionali e  reali dell’apprendimento, le scuole,  viene effettuata non per introdurre forti e possenti idee innovative, ma per “massimizzare” e “ottimizzare” le pratiche didattiche e formative esistenti e alla fine ossificarle in una incipiente , latente  e aberrante  modulistica burocratica . I ricercatori e gli sperimentatori sono diventati gli “alleati” e gli “amici” dei docenti , non stimolatori e portatori di innovazione nei percorsi e nei processi quotidiani della didattica in laboratorio e non in”aula”, il cui termine, non a caso, ha anch’esso qualcosa di tardo-antico. Al contrario di quello che si può pensare e credere , tutto ciò non accade a caso . Questo radicale ed estremo formalismo metodologico e ideologico , questa ingegnerizzazione , sofisticazione e bizantinizzazione  della didattica e in parte della stessa ricerca educativa , ridotta alle prassi quotidiane, corrispondono quasi perfettamente a quella “Logica” della “formattazione” propria della Scienza e della Tecnologia della globalizzazione capitalistica ora, però, a quanto pare, in difficoltà a causa della crisi economica mondiale . I ricercatori e i docenti , spinti e sollecitati da tutto il sistema dominante e conformistico non a partire dal laboratorio creativo, collaborativo e cooperativo ma dall’”aula” bizantina sorda e grigia, non  sono più tenuti ad  progettare e a elaborare un pensiero critico e divergente , ma a standardizzare , ottimizzare e massimizzare un insegnamento travestito di prassi quotidiane, ripetitive, monotone e conformistiche , spacciate per apprendimento dal “basso” . A dire il vero, anche un certo costruttivismo dilagante ha contribuito a questo stato di cose ambiguo e confusionario . Un certo soggettivismo eminentemente intellettuale o peggio ancora intellettualistico ha inculcato in parecchi ricercatori e docenti la strana e paradossale idea che il circolo apprenditivo ed ermeneutico sia tutto e fondamentalmente riducibile a un pur proficuo scambio rielaborativo , comunicativo e informazionale  a prescindere da una realtà che verrebbe solamente e semplicemente elaborata e “costruita” dai soggetti coinvolti nel  circolo magico e virtuoso di un percorso e di un processo d’apprendimento totalizzante  e precluso pregiudizialmente a tutti i “realisti” del sapere che, ingenuamente, si ostinano a credere nella “metafisica” della realtà non riducibile all’ideologia della prassi quotidiana . Queste colossali cattedrali intellettualistiche, costruttivistiche e fondamentalmente auto-iper-riflessive e soprattutto autoreferenziali della didattica specialistica  e  specializzata della prassi quotidiana sono  integrate quasi perfettamente nel contesto della costruzione dell’Unione Europea anch’essa alla ricerca di un’identità che, come e forse più della didattica specialistica, costruttivistica  e soprattutto  separatistica della prassi quotidiana, tende a chiudersi in se stessa , riconoscendosi e riconfigurandosi attraverso un controverso e contraddittorio percorso e processo di autoisolamento e contrapposizione non solo ideologica ad una realtà economica e politica che non la vede più protagonista sulla scena mondiale . La Scuola , con la sua ideologia della  didattica della prassi quotidiana chiusa in se stessa , autoidentitaria , autoriflessiva e autoreferenziale e l’Università con la sua incapacità ad aprirsi al mondo e a svecchiarsi, sono in parte notevole gli strumenti ideologici per antonomasia  più consoni e conformi alle necessità di una politica europea sempre più impotente , isolazionistica, refrattaria, reattiva e”reazionaria” nei confronti dei Giganti Asiatici , l’Elefante Indiano e il Dragone Cinese . Perché è sempre più  evidente che le estenuanti  enfatizzazioni di poderose architetture riformistiche artificiosamente e artificialmente centrate e focalizzate sulla Scuola e sull’Università e ingegneristiche e intellettualistiche palingenesi curricolaristiche e sapienzialistiche e soprattutto ossessivamente tecnicistiche tali da tramutarsi in riattualizzazioni e ritualizzazioni  di un passato scientismo e tecnologismo  imperialistico,  servono solo a nascondere e ad esorcizzare , senza voler fare davvero i conti con se stessi, con il proprio drammatico presente e con una realtà incalzante e sconvolgente, la folle e devastante paura delle ombre cinesi e di una Cina che mai come ora è sembrata sempre più pericolosamente vicina  a un potere, quello europeo e occidentale , sempre più privo di immaginazione e sempre più ostaggio e prigioniero di Costruttori di Costruzioni fittizie e  surreali , di opache e traballanti  Cattedrali nel Deserto e di  baluginanti ed ectoplasmatici   Castelli di sabbia. Quando un mondo già maturo e  vecchio e percepito come angusto e oppressivo e i suoi modelli culturali ed educativi tendono ad entrare in cortocircuito e in crisi di fronte all’assalto della nuda e cruda realtà proveniente da nuovi soggetti storici, politici, economici ed ideologici, esso si richiude in se stesso, alla ricerca di presunte univoche e monolitiche radici identitarie . Nel tentativo  di riscoprire la propria cultura e di riattivare le proprie obsolete e vetuste  istituzioni , si richiamano in vita improponibili arcaismi linguistici ed espressivi oltre a conservativi e ricorsivi modelli  educativi tendenzialmente e ossessivamente autoreferenziali , l’educazione umanistica, ad esempio, assolutamente autoriflessiva e auto-euro-centrica , totalmente inadeguata e improponibile a un mondo prevalentemente non umanistico e orientale . In altra sede ci riproponiamo di ritornare su queste difficili e complesse problematiche . Ora , per motivi di spazio e di tempo, ci basta osservare che tale genere di reazione di chiusura e introversione   è tipica di tutti quei conglomerati imperiali e neo-imperiali che , ad esempio , in passato hanno accomunato Imperi come quello romano orientale e cinese . E’ un segno di esaurimento e di avvitamento pericoloso e rischioso . E’ un sintomo di profondo , radicato e radicale malessere che cova nel ventre molle di una società , di una civiltà e dei suoi modelli educativi ed ideologici . E non è certamente  con le chiusure, l’introversione , le sofisticazioni ed estenuazioni intellettualistiche e nazionalistiche che l’Europa e l’Italia possono sperare di rimettersi in piedi e rilanciare . Al contrario è solo il ritorno di  “puri e duri” modelli educativi che tengano conto della realtà , anzi delle nuove realtà emergenti ad Oriente e facendo i conti con esse il più rapidamente possibile e senza pregiudizi  che ci potrà , forse, salvare da un disastro ormai non solo  annunciato.

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