Mezzogiorno di fuoco

Giuseppe Lembo

Giovedì 26 gennaio, nel Salone Bottiglieri del Palazzo della Provincia di Salerno, è stato tenuto a battesimo un nuovo organismo politico-culturale, nato a Napoli circa due anni fa e già operante in alcune realtà meridionali. L’anima pensante e proponente è quella di un parlamentare europeo, Enzo Rivellino, con trascorsi da consigliere regionale nel Consiglio Regionale della Campania. Anche se fortemente perplesso per la scelta del nome dell’organismo, preso da curiosità ho puntualmente raggiunto la sede dell’incontro, per venire a diretta conoscenza del progetto da cui è partita l’idea di “Mezzogiorno di fuoco”. Si tratta di un progetto poco culturale e prevalentemente politico; forti i richiami alla destra campana e meridionale più in generale. Obiettivo dichiarato, un certo rivendicazionismo  meridionale che, anche se condito con salse apparentemente diverse, ha alla base i problemi di sempre; i tanti mali del Sud; dal lavoro che non c’è alle diffuse condizioni di disagio e malessere economico-sociale. Tutti insieme rappresentano i presupposti di partenza di un rivendicazionismo che viene da lontano e che, dopo ondate infuocate (ultimo il movimento dei forconi del Sud, partito dalla Sicilia), poi si sgonfia, lasciando sul campo, le amarezze e le delusioni di sempre, ossia macerie umane e sociali che vanno ad aggiungersi a tante altre macerie di un passato stratificato e senza alcuna prospettiva di cambiamento e tanto meno di futuro possibile. Quando nel messaggio di invito ho letto dell’iniziativa definita “Mezzogiorno di fuoco”, sono rimasto non poco perplesso e curiosamente in attesa di saperne di più. Sono rimasto perplesso perché la moda della pseudocultura degli incendiari, proprio non mi appartiene; sono un convinto pacifista fortemente gandhiano, impegnato nel promuovere la cultura della nonviolenza e della pace, lontana anni luce da chi pensa di risolvere i problemi del malessere meridionale, incendiando per fortuna solo a parole, situazioni già fatte di umanità sofferenti che hanno bisogno di altro e non certamente di violenza incendiaria. Ho un grande rispetto per il fuoco, dai greci inteso come uno dei quattro elementi costitutivi dell’universo; quindi materia divina ed incorruttibile degli astri e dell’anima. Se ne deduce che verso il fuoco così inteso, l’uomo deve avere un grande, sacrale rispetto ed un rifiuto assoluto di strumentalizzarlo per fini innaturali che sono, tra l’altro, anche inopportuni e fuorvianti. Per le lotte culturali ed ancor più politiche non serve infuocare gli animi appellandosi al fuoco; è assolutamente fuorviante e pericoloso. Purtroppo, questo nostro Paese, soprattutto al Sud, da tempo, ci ha abituati al ribellismo strumentalmente governato, per fare in modo che le pretese attese di cambiare tutto, diventano di fatto, condizioni consolidate di un familistico conservatorismo dello statu quo, finalizzato per la convenienza dei soliti pochi privilegiati, di non cambiare assolutamente niente. Ma, a prescindere dal neo Movimento Mezzogiorno di fuoco, il Sud ha bisogno in tutte le sue parti, di concrete politiche di cambiamento e di sviluppo. Ha bisogno di un progetto politico serio e di responsabili azioni tese a rimuovere le tante incomprensioni, causa di un forte e consolidato sottosviluppo; tanto, partendo dall’analisi attenta delle tante risorse umane e territoriali di cui dispone l’intero Mezzogiorno. Il Sud può, anzi deve farcela a camminare positivamente e concretamente insieme al resto d’Italia e d’Europa; questo è certamente possibile solo se cambia la “politica” che, fortemente in crisi e poco rappresentativa della gente per forza d’inerzia ancora governa sgovernando, con gravi danni per i territori sedotti ed abbandonati e per la gente meridionale. Occorre per cambiare, protagonismo d’insieme; occorre saper pensare insieme al bene comune; occorre evitare di dare deleghe in bianco e pensare furbescamente di poter vivere di espedienti e da “assistiti”, dipendere per vivere, dagli altri. Occorre un forte impegno del fare; occorre conoscenza ed acquisizione di nuovi saperi; occorre un’intelligente e partecipata gestione dei processi. Occorre, tra l’altro, rinnovarsi per rinnovare, rimboccandosi le maniche, affidandosi al proprio impegno, al proprio impegno umano e alle proprie conoscenze; tanto, per organizzare  diversamente i propri e gli altrui spazi di vita. Occorre, per tutto questo, incamminarsi insieme sulla via del sapere, della conoscenza, senza abbandonarsi ad inutili e sterili atti di contestazione che non servono a niente e non portano da nessuna parte. Ciascuno deve essere responsabilmente protagonista di se stesso e con forza, fare il proprio dovere, pretendendo che lo facciano responsabilmente anche tutti gli altri ed evitando forme consociative che facilmente degenerano nel gratuito prevalere sugli altri e nelle violenti ed arroganti imposizioni sui più deboli che diventano così prevaricazioni assunte a sistema di vita ed un autentico autoritarismo dei poteri forti sui più deboli. Tutto questo, purtroppo, non è né democrazia, né libertà; tutto questo, non produce né benessere, né crescita umana; tanto meno sviluppo territoriale. Tutto questo ha in sé il virus violento e distruttivo della forza disumana sulla ragione, del profondo malessere sociale e del sottosviluppo, come condizioni di partenza consolidate, per cui difficili da rimuovere, per cambiare le cose. Al Sud occorre un forte protagonismo; occorre lo stare insieme umanamente partecipato che certamente, non si può trovare nei pollai mediatici, ma solo nelle agorà, dove è nata la vera democrazia e la vera anima del protagonismo del popolo meridionale, oggi tradito da egoismi e mode estranee al proprio contesto umano e sociale che, tra l’altro, non producono quella necessaria solidarietà d’insieme, ma solo una forte e crescente divisione, ivi compreso il falso senso di un’appartenenza meridionale, al dire di simpatizzanti neoborbonici, tradita 150 anni orsono, da un Nord invasore. Sono un convinto italiano dell’insieme italiano; l’Unità, checché ne dicano gli emergenti neo borboni, ha giovato all’Italia ed agli italiani, dal Nord al Sud. Mettiamo quindi e per sempre, da parte atteggiamenti da rivendicazionismo nostrano che non giovano a niente ed a nessuno; pensiamo, piuttosto, ad un insieme solidale che ci deve identificare nell’insieme italiano unitario, senza se e senza ma. Il Sud, per questo, può e deve fare la sua parte; il Sud senza piangersi addosso e senza né forconi o inopportuni atteggiamenti di falso rivendicazionismo politico ed umano da “Mezzogiorno di fuoco”, appellandosi alla conoscenza ed ai saperi (ne abbiamo dell’una e degli altri), deve intelligentemente adoperarsi con il resto del Paese, per un’Italia, prima di tutto, politicamente e culturalmente nuova ed attivamente protagonista, così come a viva voce, richiesto dalla storia globale del Terzo Millennio, nella quale tutti devono responsabilmente saperci stare, per evitare avventure pericolose e/o gravi squilibri, per molti versi globalmente mortali. Occorre per il Sud,  per l’Italia, per l’Europa e per il mondo globale un progetto politico fatto di un insieme solidale, basato, prima di tutto sui comuni valori dell’umanità, della cultura e sulla conoscenza. L’Italia degli slogans, com’è l’Italia di oggi, guidata dal governo tecnico di Mario Monti (salva Italia, sviluppo Italia, crescita Italia, e chi più ne ha più ne metta), non è quella che serve all’Italia del futuro ed ai tanti italiani (i nostri figli), che non vogliono morire sprofondando in inutili attese miracolistiche. Tra i tanti slogan di moda non c’è quello “affonda Italia”; ancora, per nostra fortuna, siamo fermi ad “affonda Schettino”, mentre sul titanic Europa c’è già Angela Merkel, capitano coraggioso che, per il bene del suo popolo, non abbandonerà mai la sua nave. Intanto che, come italiani, facciamo i nostri conti con un default sempre più vicino, assistiamo indifferenti alla fuga dei nostri cervelli dalla povertà consolidata del Sud che non permette niente di buono per il futuro del nostro Paese e del Mezzogiorno di fuoco in particolare. Sulle famiglie italiane e meridionali, c’è un sempre più crescente e concreto rischio di povertà diffusa, dovuta ad una crescente e diffusa depressione economica, umana e sociale. C’è un vero e proprio esercito di giovani laureati (novemila in fuga dalla sola Campania, peggio della Sicilia), che sono in fuga verso il Nord. Questi dati ci vengono dall’ISTAT allarmato per come cresce l’emigrazione qualificata verso le realtà economicamente più forti del Paese. Questi dati per chi pensa responsabilmente di rappresentare culturalmente e politicamente il Mezzogiorno, devono allarmare; devono far riflettere e con impegno e responsabilità prendersi in mano da vero e responsabile marinaio, il timone, per cercare, come si conviene, di guidare la nave che affonda, verso acque più tranquille. Se è vero che il Nord della Lega deve smetterla con le inopportune minacce secessionistiche, è altrettanto vero e necessario che anche il Sud deve saper dare segnali di un cambiamento virtuoso e solidale finalizzato, prima di tutto, ad un progetto di sviluppo possibile, con alla base veri processi  di cambiamento e di crescita, partendo dal fattore umano e restituendo ai tanti giovani costretti ad emigrare, la fiducia che oggi non hanno per la loro terra che devono abbandonare, portandosi dentro la struggente nostalgia delle pietre parlanti dei luoghi in cui sono nati, ma che sono costretti ad abbandonare per unica e consolidata colpa di lungo termine di chi li ha governati ed ancora li malgoverna, pensando egoisticamente sempre e solo a se stessi. Nel progetto politico per un nuovo Sud, per creare sviluppo, occorre eliminare i tanti diffusi sprechi, le tante diffuse sacche di profondo malessere umano e sociale, i parassitismi dei furbi che pensano di poter vivere alle spalle degli altri; occorre a chiare lettere, tracciare un inequivocabile percorso d’insieme italiano che, nella differenza delle tante diversità locali, sappia identificarsi in quell’unità italiana, oggi un importante punto di riferimento per il futuro italiano dei nostri figli che, insieme agli altri dell’Italia Unita, devono saper pensare culturalmente, umanamente, politicamente ed economicamente italiano e solo italiano, parte di una Terra-Stato, punto fermo per il futuro che verrà. Il progetto politico italiano deve essere la sommatoria dei tanti progetti regionali e territoriali; la diversità che diventa confronto è una grande risorsa; una grande ricchezza per quel cammino italiano che dobbiamo saper lasciare in eredità ai nostri figli, purtroppo, esposti al grave rischio dei tanti ladri di umanità che si aggirano tra noi, tradendo non solo il presente, ma anche e soprattutto il futuro. Una bella operazione politico/culturale e di impegno per il mondo che verrà dei nostri figli costretti ad emigrare come i loro nonni prima ed i loro padri poi, è quella di costruire insieme, a più voci, con Enzo Rivellino coordinatore in Campania, in Italia e soprattutto in Europa, dove svolge la sua azione politico-istituzionale di parlamentare, un Progetto Campania, evidenziando tutte le possibili risorse che possono essere altrettanto possibili opportunità di lavoro e di sviluppo  per la Campania di oggi e soprattutto per la Campania che verrà. Per questo progetto non c’è bisogno di accendere gli animi con il fuoco che brucia e/o i forconi che portano a pensare ad azioni violente degli uni contro gli altri e purtroppo in guerre tra poveri che hanno solo un forte peso distruttivo e non servono ad altro che a questo. Caro Rivellino non ti conosco più di tanto ed altrettanto non so del tuo, sicuramente attivo impegno in Campania e nel Parlamento Europeo di Strasburgo. Ma, ringraziando, tra l’altro, il Dr. Giuseppe Funicelli che ha creato questa buona occasione di incontro, mi sento di dover fare tutte queste osservazioni d’insieme che possono portare a pensare positivo per percorsi utili a cambiare tutto quanto, in Campania ed al Sud c’è necessariamente da dover cambiare, per non morire. Il primo grande impegno politico-culturale è quello di saper trovare come ben avvitarsi al “paese reale”, assolutamente altro rispetto al quel “paese virtuale”, con cui siamo abituati a vivere e nel quale ciascuno si costruisce per sé, quella dimensione giusta, da cui poter trovare familisticamente tutti quei possibili vantaggi di posizione e di ruolo, facendo e disfacendo solo secondo la propria volontà, con autosufficienza ed assoluta indifferenza per tutto quello che succede attorno, compiacendosi di non vedere e di non sentire assolutamente niente. Caro On. Rivellino le furbizie all’italiana di voler cambiare tutto per non cambiare niente, ormai non incantano più nessuno (a tal proposito mi sovviene e voglio ricordare una frase di Winston Churchill “….. è un peccato non fare niente con il pretesto che non possiamo fare tutto”); è eloquente per come, soprattutto al Sud, si soffre del vizietto dell’immobilismo, convinti, da buoni napoletani, che non serve a niente adoperarsi attivamente a voler cambiare le cose. Io non appartengo a questa schiera di ignavi; sicuramente anche lei e tanti altri come lei, sono attivamente impegnati nel progetto politico-culturale di cambiamento possibile e necessario, per rispondere ai bisogni soprattutto del mondo giovanile, tradito in tutto e soprattutto nel diritto al lavoro – articolo 4 della Costituzione della Repubblica italiana, nel quale i padri costituenti hanno scritto e noi non lo possiamo mai dimenticare “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”. Siamo ormai abituati a dimenticare tutto; anche la Costituzione italiana. Così facendo, ci facciamo male tutti. Troppi, purtroppo, dimenticano che, per l’articolo 4 della Costituzione italiana, il lavoro non è solo un diritto, ma anche un dovere.